lunedì 4 marzo 2013

IL PIANO DI RINASCITA DEMOCRATICA ED IL PRINCIPIO DEL CONTROLLO



L'analisi sviluppata nel corso di questo capitolo trova puntuale conferma in due documenti di
singolare ed illuminante contenuto: il piano di rinascita democratica ed il memorandum sulla
situazione politica in Italia.
L'esame dei due documenti lascia ritenere che la loro redazione materiale sia riconducibile a
persona in grado di formulare analisi politiche non prive di finezza interpretativa, nonché dotato
di una preparazione giuridica di ordine superiore; trattasi inoltre, e lo testimonia la padronanza di
terminologie proprie agli addetti ai lavori, di persona in dimestichezza con gli ambienti
parlamentari.
Il piano di rinascita democratica può essere datato, in ragione di riferimenti interni, con
sufficiente approssimazione, alla seconda metà del 1975 o agli inizi del 1976. Si tratta certamente di
due testi comunque non redatti dal Gelli personalmente, se non altro per la sua carenza di cultura
giuridica specifica, ma da lui direttamente ispirati a persona molto vicina.
L'attenzione da rivolgere al piano di rinascita democratica è giustificata dalla considerazione che il
documento si pone come il risultato finale di una serie di testi nei quali è consegnata al nostro
studio una ideologia che abbiamo già definito di stampo genericamente conservatore,
contrassegnata da una propensione di avversione al sistema nel suo complesso e da un
superficiale apprezzamento del ruolo dei quadri tecnici in rapporto alla dirigenza politica. Sono
queste le osservazioni già sviluppate, analizzando il verbale della riunione di loggia del 1971,
rispetto al quale il piano di rinascita democratica si pone come una successiva e più sistematica
articolazione.
Altro riferimento documentale al quale riportarsi è il piano elaborato dal gruppo Sogno all'incirca
nello stesso torno di tempo.
Va infine ricordato che la terza nota informativa dell'ispettore Santillo denuncia la circolazione
nell'ambiente della loggia di un documento del quale si riassumono i punti principali, in modo da
consentirci di affermare che il testo in questione era il piano al nostro esame o documento
estremamente simile.
I riferimenti formali e sostanziali enunciati ci consentono pertanto di collocare nella giusta
prospettiva il piano di rinascita democratica che, rispetto a questi testi, si contraddistingue,
secondo una linea di continuità, come la più articolata e consapevole espressione di una somma di
opinioni ed idee che costituivano il minimo comune denominatore ideologico dei gruppi che si
esprimevano nella Loggia
P2. Come tale il piano non va né sottovalutato, riducendolo a semplice manifesto propagandistico
agitato soprattutto a fini di confusione dell'osservatore esterno, né sopravvalutato considerandolo
come le immutabili tavole di un organismo che, come sappiamo, «metteva al bando la filosofia». Un
documento quindi che deve essere preso in considerazione e studiato per quello che esso
realmente vale: ovvero il riepilogo rivelatore degli umori politici di ambienti determinati, la cui
qualificata presenza nella vita del Paese deve indurci a non trascurare alcun dettaglio conoscitivo.
In tale prospettiva lo studio del piano di rinascita democratica, sotto il profilo dei contenuti,
conferma la filosofia di fondo di stampo conservatore, o meglio pre-democratica secondo le parole
del Commissario Ruffilli, che ci è nota, concretando in tale direzione un ulteriore stadio di
sviluppo quando si consideri la finalizzazione che esso postula del funzionamento della società e
delle sue istituzioni al perseguimento dell'obiettivo della massima incentivazione della
produzione economica. Traspare infatti dalle righe di questo singolare breviario politico, calata in
una prospettiva genericamente tecnocratica, l'immagine chiusa e non priva di grigiore di una
società dove si lavora molto e si discute poco.
L'analisi a tal fine svolta nel testo degli istituti politici ed amministrativi viene condotta, con
conoscenza di causa, nel dettaglio dei problemi: dalla riforma del pubblico ministero agli
interventi sulla stampa, dai regolamenti parlamentari alla politica sindacale, sino alla legislazione
anti-monopolio ed a quella sull'assetto del territorio, nulla sembra sfuggire all'attenzione
dell'anonimo redattore del documento eccezion fatta per i problemi del settore militare, secondo il
rilievo prima analizzato.
Il dato di analisi che occorre qui sottolineare è che il piano di rinascita democratica non è un testo
astratto dì ingegneria costituzionale, come molti affermano proponendo incauti paragoni, né un
documento di intenti che lo possa qualificare come il manifesto della Loggia P2. Esso è piuttosto
un piano di azione che, oltre a fissare degli obiettivi, predispone in dettaglio le conseguenti linee
di intervento e come tale ne arriva a preventivare perfino il fabbisogno finanziario.
E’ facile constatare infatti che l'analisi in esso effettuata e le terapie predisposte non appaiono
astratte ed avulse dal concreto della realtà politica italiana; valga per tutte considerare quanto
previsto dal punto D dei n. 3: «dissolvere la RAI-TV in nome della libertà di antenna ex art.21 della
Costituzione». Affermazione questa che offre ampi spunti di meditazione quando si ponga mente
alla data della sua formulazione (1975) nonché alla singolare, a dir poco, preveggenza di quanto
verificatosi successivamente. Di maggior pregio il riscontro che le operazioni politiche effettuate in
danno della Democrazia Cristiana e del Movimento Sociale Italiano, sopra citate in dettaglio,
trovano nel testo puntuale e specifica previsione.
Si vuole ancora portare all'attenzione il passaggio del testo in cui possiamo leggere: «Primario
obiettivo ed indispensabile presupposto dell'operazione è la costituzione di un club (di natura rotariana per
l'eterogeneità dei componenti) ove siano rappresentati, ai migliori livelli, operatori imprenditoriali e
finanziari, esponenti delle professioni liberali, pubblici amministratori e magistrati nonché pochissimi e
selezionati uomini politici che non superi (sic) il numero di 30 o 40 unità. Gli uomini che ne fanno parte
devono essere omogenei per modo di sentire, disinteresse, onestà e rigore morale tali cioè da costituire un
vero e proprio comitato di garanti rispetto ai politici che si assumeranno l'onere dell'attuazione del piano e
nei confronti delle forze amiche nazionali e straniere che lo vorranno appoggiare. Importante è stabilire
subito un collegamento valido con la massoneria internazionale».
Non vi è difficoltà a riconoscere nel testo citato, al di là del farisaico riferimento alle virtù degli
affilati, una descrizione fedele ed esauriente della Loggia Propaganda, dove non si sa se
apprezzare di più l'illuminante riferimento alla eterogeneità dei componenti od il richiamo alla
massoneria internazionale. Altra notazione da sottolineare è il tipo di rapporto delineato con il
mondo politico, per il quale si avverte l'assoluta indifferenza verso precise scelte di campo, come
quando, in altro punto del testo, si ipotizza l'eventualità di avvicinare («selezionare gli uomini»)
esponenti di forze politiche diverse, appartenenti ad aree persino opposte. Ma certo una delle
peculiarità del documento è l'approccio asettico e in certo senso neutrale che esso prospetta nei
confronti delle forze politiche, viste come uno degli elementi del sistema sui quali influire, di
nessuna sposando per altro la causa politica in modo determinato. Rivelatore è in proposito il
brano dianzi citato, dove si legge: «uomini... tali da costituire un vero e proprio comitato di garanti
rispetto ai politici che si assumeranno l'onere dell'attuazione del piano...».
Traspare da queste parole una concezione di subalternità e di strumentalità della politica in genere
che costituisce uno dei tanti motivi di riflessione che siamo venuti a sottolineare nel corso del
nostro lavoro sulla reale portata del personaggio Gelli e sui possibili suoi punti di riferimento
politico e strategico.
Come si può constatare, la ricostruzione sinora condotta dei rapporti politici e dell'azione politica
della Loggia P2 trova puntuale riscontro nei contenuti del piano di rinascita democratica e viene
pertanto confermata sul versante ideologico oltre che su quello immediatamente operativo. A non
dissimile conclusione infatti possiamo pervenire, rispetto a quanto prima enunciato, affermando
che la vera filosofia di fondo, che permea le pagine di questo documento, è quella di un approccio
ai problemi della società, finalizzato al controllo e non al governo dei processi politici e sociali. La
denuncia inequivocabile di questa concezione politica, sottesa a tutto il documento, sta proprio nel
ruolo subalterno che alle forze politiche viene assegnato nel contesto dei progetto sistematico
racchiuso nel documento, che a sua volta collima con il miraggio dell'opzione tecnocratica intesa
come alternativa a quella politica, secondo una indicazione ricorrente sin dal primo documento in
nostro possesso. Un ruolo che abbiamo definito strumentale, secondo un rilievo che ci consente di
affermare a tutte lettere come la Loggia P2, secondo quanto il piano di rinascita conferma, non sia
in realtà attribuibile a nessun partito politico in quanto tale, né sia essa stessa filiazione del sistema
dei partiti. Lungi infatti dal porsi l'obiettivo di correggere le eventuali disfunzioni di tale sistema,
essa s'innesta su di esse ed esse mira a coltivare ed incentivare; perfettamente logico appare, in tale
distorta prospettiva, che nel piano di rinascita democratica si prospetti la creazione di due nuove
formazioni politiche in funzione di contrappeso a quelle esistenti.
Ci si svela, in questi passaggi nei quali si prevede di «selezionare gli uomini» e di intervenire sulle
formazioni politiche esistenti, una delle connotazioni principiali del progetto politico della Loggia
P2, individuata dal Commissario Occhetto nell'operare attraverso continue mediazioni, che si
innestano nelle divisioni del sistema, una continua ricomposizione della classe dirigente.
La logica del controllo, vera chiave di volta interpretativa della storia della Loggia P2, è appunto
quella di interagire sulle forze presenti nel sistema, e tra queste e le forze politiche, pedine sulla
scacchiera alla pari delle altre, per pervenire al raggiungimento degli obiettivi del piano non con
assunzione diretta di responsabilità, ma per via di delega: sono questi i politici ai quali affidare
l'attuazione del piano che l'ignoto redattore qualifica con sinistra e involontaria ironia, «onere».
La logica del controllo contrapposta a quella del governo balza qui in evidenza con tutta la cinica
conseguenzialità di una visione politica che tende a situare il potere negli apparati e non nella
comunità dei cittadini, politicamente intesa. E’ alla razionalizzazione degli apparati e dei processi
produttivi, infatti, non del sistema di rappresentanza della volontà popolare - del quale i partiti
sono manifestazione - che il piano sintomaticamente si finalizza con lucida coerenza: una
razionalizzazione che appare calata dall'alto - o iniettata dall'esterno? - e che non promana come
frutto dei processi politici attraverso i quali una società libera e vitale esprime le proprie tensioni e
trova i suoi assetti istituzionali.
Questo è il limite storico del piano di rinascita e dell'esperimento politico della Loggia P2: il vizio
d'origine che ne fa una soluzione alla lunga; perdente per una società nella quale la libera
dialettica delle diverse scelte politiche costituisce presupposto imprescindibile per la vita delle
istituzioni. Ma sarebbe assurdo e pericoloso adagiarsi su tale certezza e non riconoscere che in
quella libera dialettica, o meglio nelle sue possibili disfunzioni, si può celare il punto nevralgico di
possibili debolezze sulle quali fenomeni come la Loggia P2 s'innestano e fanno leva per dispiegare,
in tal modo, tutta la forza di eversione corruttrice di cui sono potenzialmente capaci.
In questo ordine di idee possiamo allora affermare che la Loggia P2 si contraddistingue per una
connotazione politica che ci è dato definire come di sostanziale neutralità, volendo con tale
termine individuare in primo luogo la potenzialità del progetto, al di là delle pregiudiziali
ideologiche, ad uniformarsi alle situazioni politiche che si determinano nel sistema, quella che il
Commissario Padula ha chiamato la versatilità della Loggia P2, ovvero la sua capacità di
adattamento. Neutralità che non deve peraltro confondersi con una generica indifferenza verso le
vicende politiche che, al contrario, ricevono un diverso grado di attenzione e quindi di tradimento,
secondo quanto ci dimostra l'analisi storica effettuata ed il diverso impegno programmatico ed
organizzativo che da essa traspare nelle vicende dell'organismo studiato. Neutralità vuole infine
indicare la sostanziale posizione di esteriorità nella quale il sistema viene collocato dal progetto
piduista: un sistema che viene prospettato come entità esterna da sottoporre, per l'appunto, a
controllo. In questo senso la Loggia P2 attraversa, per usare l'espressione del Commissario Rizzo,
il potere politico senza identificarsi mai completamente con esso; stabilisce rapporti e contatti con
le forze politiche organizzate in partiti, che il dato delle affiliazioni indica in modo emblematico,
ma di certo non esaurisce, però si pone comunque sempre rispetto ad esse, come del resto rispetto
alle altre situazioni con cui entra in contatto, in termini di esternità, ovvero di strumentalizzazione.
Un esempio di questo ambiguo rapporto che la Loggia P2 intesse con il potere può essere
individuato nella vicenda del Presidente della Repubblica, Giovanni Leone, nel senso indicato dal
Commissario Petruccioli quando ha rilevato come il Gelli che rivolge le sue blandizie al neoeletto
Presidente, pervenendo a farsi da questi ricevere, ed il Gelli che si vanta con l'onorevole Craxi di
poter condizionare la suprema magistratura della Repubblica, non solo non siano figure in
contrasto tra loro ma possano in ipotesi essere considerati due concordanti aspetti di un identico
modo di porsi di fronte al potere politico. Una ipotesi questa che la gravità del problema e
l'altissima responsabilità che ne viene interessata impongono di prendere in attenta e non
preclusiva considerazione.
In armonia con queste considerazioni si pone l'insistente accenno al ruolo dei tecnici, contrapposti
dialetticamente ai politici più che ad essi coordinati in funzione di ausilio e collaborazione: è
infatti nella rottura dell'equilibrio tra decisione politica ed attuazione tecnica che viene
individuato, con modernità di approccio, un cuneo di inserimento per l'attuazione dell'operazione
di controllo.
Ponendosi in questa prospettiva esegetica possiamo allora allargare ad un più generale ordine di
considerazioni lo spunto interpretativo emerso nel capitolo riservato ai vertici militari, per
affermare che una delle idee centrali della operazione piduistica è appunto la riscoperta e
l'accentuazione del valore mediatamente politico che gli apparati rivestono al di là ed oltre
l'immediata fruibilità meramente tecnica ed esecutiva che di essi sembra avere una diffusa seppur
non apertamente professata cultura di governo.
Ancora una volta, per apprezzare il rilievo del progetto piduistico, dobbiamo scendere sul piano
dei contenuti, osservando che negli elenchi di Castiglion Fibocchi sotto questo profilo non è tanto
l'aspetto quantitativo, il numero degli iscritti, a colpire l'attenzione; non è cioè il fatto che vi si
trovino molti direttori generali di ministero, ma il rilievo che ve ne sono alcuni che sono titolari di
precise determinate direzioni generali, quali ad esempio il direttore generale del Tesoro e il
segretario generale della Farnesina. Sono questi titolari di funzioni sul cui tavolo passa quanto di
decisivo e di politicamente significativo interessa un ministero, incarichi il cui peso ed il cui
significato possono essere apprezzati solo prendendo a metro di paragone il ruolo del ministro.
Comprendiamo allora perché nel piano di rinascita venga prospettato il reinserimento dei
segretari generali nei ministeri, di un istituto amministrativo cioè invalso nell'epoca liberale e poi
largamente caduto in disuso, anche per la sua funzione di stabile contraltare amministrativo
contrapposto dialetticamente alla provvisorietà dei titolari del dicastero. Il progetto politico
piduista mira a ristabilire queste situazioni per garantirsi l'esistenza di una rete permanente ad
alto livello nella quale potersi inserire ed esplicare quella funzione di controllo che, come abbiamo
già detto, costituisce la chiave di volta di tutta l'operazione: una funzione di controllo messa al
riparo della naturale provvisorietà che contrassegna l'evoluzione delle fasi politiche. Ci si mostra
ancora una volta, nel dettaglio analitico, la lucidità di un disegno che dà pregio a quel dato di
antica conoscenza sulla stabilità degli apparati e sul loro perpetuarsi attraverso diversi regimi.
La individuazione di questa filosofia di condizionamento surrettizio delle strutture non può non
indurre ad alcune considerazioni sul pericolo di un distorto rapporto tra il potere politico, che
ripete la sua legittimazione dai processi elettivi, e il potere burocratico, in sé autoperpetuantesi: è
attraverso le smagliature di tale sistema che possono venire a crearsi i punti di attacco per
operazioni che nel loro risultato finale finiscono per porsi come fenomeni sostanzialmente
eversivi. E non è chi non veda come un rapporto tra queste due attività di governo, pur diverse
per segno ed intensità, che si consumi in situazioni di traumatico impegno che la prima può
esercitare sulla seconda al momento della nomina, in quella fase concentrando tutto il suo potere
di primazia, può dare spazio ad una debolezza del sistema che sarebbe pernicioso sottovalutare.
Lo studio del fenomeno P2 ci ricorda che l'attività di governo consiste anche in un pedestre rinvio
alla quotidianità, nella applicazione vigile allo sviluppo delle cose e degli eventi attraverso il loro
apparentemente insignificante dettaglio: quella che, con terminologia a torto superata, veniva
chiamata l'arte del buon governo.
In questo senso possiamo affermare che la vicenda della Loggia P2 rappresenta la rivincita degli
apparati poiché vale a riportare alla nostra attenzione la constatazione di indubbio rilievo politico
che il funzionamento fisiologico di un sistema democratico risiede non solo nella presenza di una
opinione pubblica vigile e matura, ma altresì nel corretto funzionamento delle strutture di
governo, considerate anche nelle loro ramificazioni operative e nella garanzia che il potere politico
assicuri, alla comunità e per conto della comunità, la loro affidabilità.
E’ questa una concezione che, come abbiamo accennato, denota una modernità di impostazione
che sarebbe pernicioso sottovalutare, poiché una simile posizione rimarcherebbe una non corretta
comprensione del rilievo che, lo sviluppo tecnologico e la molteplicità di compiti che ad uno Stato
moderno vengono assegnati, comportano in termini di immediata valenza politica. Lo sviluppo
degli apparati, che in un moderno Stato industriale corre in parallelo all'allargamento della base
democratica di consenso - secondo un nesso di inscindibile correlazione funzionale, con esso
ponendosi in rapporto di consequenzialità - impone alle forze politiche una non effimera ed
approfondita rimeditazione del rapporto da instaurare con strutture che, lungi dal rappresentare
l'elefantiaca espansione delle articolazioni amministrative elaborate dallo Stato liberale, sono
l'indispensabile strumento che consente alla volontà politica dei cittadini, fondamento dello Stato
democratico, di tradursi in modelli di libertà e benessere.

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