Risultano presenti negli elenchi della Loggia
P2 sedici magistrati in servizio più tre collocati a
riposo. I detti magistrati sono stati sottoposti a
procedimento disciplinare dal Consiglio Superiore
della
magistratura, che con sentenza emessa in data 9 febbraio 1983 ha deciso di
assolvere quattro
degli
affiliati, pronunciando per gli altri sentenze varie di condanna, ivi compresa
la rimozione.
Con
riferimento alla questione dei rapporti tra la Loggia P2 e la magistratura (intesa
nella sua
interezza,
come ordine giudiziario), gli accenni più significativi si rinvengono nel piano di
rinascita democratica in cui si delinea il ruolo della
magistratura nel complessivo disegno politico
descritto
nel documento e si evidenzia la necessità - a tal fine - di stabilire un
raccordo «morale e
programmatico» con la corrente di Magistratura
Indipendente dell'ANM «che raggruppa oltre il 40 per
cento dei magistrati italiani su posizioni
moderate per poter contare su un prezioso strumento già operativo
nell'interno del corpo, anche ai fini di
taluni rapidi aggiustamenti legislativi che riconducano la giustizia
alla sua tradizionale funzione di elemento
di equilibrio della società e non già di eversione».
Lo stesso
documento indica poi quali debbano essere, nel quadro della riforma dello Stato
delineata,
le modifiche da apportarsi al vigente ordinamento giudiziario, sia nel breve
che nel
lungo
periodo.
Le
indicazioni sono le seguenti: a breve termine in tema di ordinamento
giudiziario: « -
responsabilità civile (per colpa) del
magistrato; - divieto di nominare sulla stampa i magistrati comunque
investiti di procedimenti giudiziari; - la
normativa per l'accesso in carriera (esami psicoattitudinali
preliminari); - la modifica delle norme in
tema di facoltà di libertà provvisoria in presenza di reati di
eversione - anche tentata - nei confronti
dello Stato e della Costituzione, nonché di violazione delle norme
sull'ordine pubblico, di rapina a mano
armata, di sequestro di persona e di violenza in generale».
A medio e
lungo termine: «- unità del Pubblico Ministero (a norma
della Costituzione - articoli 107 e 112
ove il Pubblico Ministero è distinto dai
giudici); - responsabilità del Guardasigilli verso il Parlamento
sull'operato del Pubblico Ministero (modifica
costituzionale); - istruzione pubblica dei processi nella
dialettica fra pubblica accusa e difesa di
fronte ai giudici giudicanti, con abolizione di ogni segreto istruttorio
con i relativi e connessi pericoli ed
eliminando le attuali due fasi d'istruzione; - riforma del Consiglio
Superiore della magistratura che deve essere
responsabile verso il Parlamento (modifica costituzionale); -
riforma dall'ordinamento giudiziario per
ristabilire criteri di selezione per merito delle promozioni dei
magistrati, imporre limiti di età per
funzioni di accusa, separare le carriere requirente e giudicante, ridurre a
giudicante la funzione pretorile; -
esperimento di elezione di magistrati (Cost. art.106) fra avvocati con 25
anni di funzioni in possesso di particolari
requisiti morali».
La
richiamata sentenza disciplinare del Consiglio Superiore ha rilevato in
proposito che, per lo
meno con
riferimento alla magistratura, il piano ha superato lo stadio di mera
elaborazione
programmatica
per diventare effettivamente operativo mediante iniziative di finanziamento
della
stampa del
gruppo di Magistratura Indipendente e di versamento di somme in favore del
segretario
generale dello stesso.
Anche in
tema di magistratura è dato constatare che il piano si pone in linea di continuità
con
altri
documenti nei quali si era constatata e lamentata l'influenza sulla
magistratura dell'azione
dei
politici, «i quali cercano di strumentalizzarla
conculcandone la libertà dispositiva», nonché la perdita
delle
prerogative dell'autonomia e dell'Indipendenza conseguente all'espandersi, nel
suo ambito,
«delle varie intendenze e fazioni politiche che compromettono e sfaldano
la compattezza dall'Istituto».
L'interesse
che la Loggia P2 riservava alla magistratura e la completezza e vastità delle
informazioni
di cui disponeva al riguardo, emergono poi dall'elenco di magistrati, anch'esso
sequestrato
a Maria Grazia Gelli e contenente una vera e propria schedatura degli stessi,
con la
indicazione
della corrente dell'ANM di rispettiva appartenenza e con la ulteriore
specificazione
della loro
qualità di «opportunisti» o «attivisti»: occorre pertanto rilevare che del
documento
medesimo
sono ignoti sia l'autore che il destinatario.
Inoltre il
collegamento esistente con la magistratura, e segnatamente con la corrente di
Magistratura
Indipendente di cui si è sopra detto, si sarebbe manifestato anche con la
corresponsione
di somma di denaro: il condizionale è d'obbligo perché del documento che
riferisce
di un finanziamento di lire 26 milioni a favore di magistrati dirigenti di quel
gruppo per
le
elezioni del Consiglio dell'ANM, non sono state accertate né l’autenticità, né
la provenienza, né
la
destinazione.
Al
riguardo si ricorda, per inciso, che la lettera in oggetto risulta inserita nel
fascicolo intestato al
magistrato
Antonio Buono di cui innanzi si è scritto, fascicolo che contiene
altri documenti
comprovanti
la frequenza ed intensità di rapporti tra il medesimo e Gelli, rapporti che
avevano
per
oggetto anche segnalazioni o raccomandazioni richieste a Buono a favore di
persone coinvolte
in
procedimenti giurisdizionali. Con riferimento a tal documento è il caso di
ricordare - per
completezza
espositiva - che il Consiglio Superiore della magistratura, con provvedimento
del 5
aprile
1984, ha deciso l'archiviazione dell'indagine iniziata nei confronti dei
magistrati nominati
dalla
suddetta lettera, proprio per l'assenza di riscontri probatori in ordine ai
fatti riportati.
A
proposito di finanziamenti alla corrente associativa di Magistratura
Indipendente, la sentenza
disciplinare
del Consiglio Superiore ha accertato che in favore del magistrato dottor Pone, e per la
stampa
della rivista di corrente denominata Critica giudiziaria, l'editore Rizzoli si assunse un
consistente
onere economico, per decisione del direttore generale Tassan
Din, «certamente richiesto
di intervenire dal Gelli».
Per
completare il quadro dei rapporti tra la Loggia P2 e la magistratura vanno
ricordate una serie
di altre
risultanze attinenti le posizioni del banchiere Roberto Calvi e di Francesco Pazienza, i
quali
assumono posizioni di rilievo nella fase finale della vicenda della Loggia P2 e
nella fase
successiva
al sequestro di Castiglion Fibocchi. A tal fine numerosi elementi testimoniali
e
documentali,
denunciano una frenetica attività di Roberto Calvi indirizzata nei confronti di
ambienti
giudiziari al fine di sistemare le proprie pendenze penali .
Presso la
procura della Repubblica di Brescia fu instaurato un procedimento penale, poi
trasmesso
all'ufficio
istruzione della stessa città, nei confronti di Roberto Calvi, Licio Gelli, Marco Cerruti
(noto
esponente della Loggia P2), Mauro Gresti, Luca Mucci e Ugo Zilletti per fatti connessi al
sequestro
e alla restituzione del passaporto a Roberto Calvi a seguito del processo
promosso a suo
carico a
Milano per reati valutari e societari. Il procedimento penale a Brescia veniva
poi
riunificato
con gli altri procedimenti pendenti avanti agli uffici giudiziari di Roma,
concernenti la
vicenda
della Loggia P2.
Nell'ambito
dei procedimento suindicato venne assunta la testimonianza del dottor Carlo
Marini,
all'epoca
procuratore generale della Repubblica presso la corte d'appello di Milano, il
quale riferì
di aver
appreso dal procuratore della Repubblica Mauro Gresti che quest'ultimo era stato
sollecitato
a restituire il passaporto a Roberto Calvi da Ugo Zilletti, all'epoca
vicepresidente del
Consiglio
Superiore, e dal magistrato Domenico Pone.
Ha
aggiunto inoltre il Marini che, dopo l'avocazione del processo al suo ufficio,
ricevette una
telefonata
dal medesimo Zilletti che lo pregò di adottare la massima cautela nel trattare
il
procedimento
a carico di Calvi, procedimento nell'ambito del quale era avvenuto il ritiro
del
passaporto,
e che lo stesso Zilletti gli mandò, sempre per lo stesso motivo, come suo messaggero,
il
dottor Giacomo
Caliendo,
componente del Consiglio.
Dopo
l'istruttoria compiuta, prima a Brescia e poi a Roma, il consigliere istruttore
di Roma,
Ernesto Cudillo, proscioglieva, con la sentenza-ordínanza
emessa in data 17 marzo 1983, tutti gli
imputati
con ampia formula, non ravvisando nella attività di nessuno di essi
comportamenti
penali
rilevanti; la procura generale presso la corte d appello di Roma rinunciava
all'appello in
precedenza
interposto sul punto avverso la sentenza-ordinanza istruttoria suindicata.
Clara Canetti, vedova Calvi, interrogata presso la
procura della Repubblica di Milano in data 19
ottobre
1982, ha riferito che, nella primavera dello stesso anno e anche in precedenza,
essa e il
marito
avevano ricevuto diverse visite da parte di un magistrato di Como, il dottor Ciraolo, che
spesso
veniva in compagnia dell'avvocato Taroni di Como, officiato dal Calvi per la sua difesa nel
processo a
suo carico pendente innanzi all'autorità giudiziaria di Milano; la Calvi ha
riferito che il
marito
aveva dato al Ciraolo il numero di una sua riservatissima utenza telefonica che
serviva la
casa di
Arezzo e a tale numero spesso riceveva telefonate dal suddetto magistrato.
La vedova
di Roberto Calvi in data 24 novembre 1983 ha altresì dichiarato ai giudici
istruttori di
Milano che
suo marito aveva instaurato con il magistrato dottor Gino
Alma,
procuratore aggiunto
presso la
procura della Repubblica di Milano, del quale si parla anche nel procedimento
attinente
la
restituzione del passaporto cui sopra si è fatto riferimento, un rapporto in
base al quale il
suddetto
magistrato percepiva dal Presidente dell'Ambrosiano un emolumento mensile fisso
e si
impegnava
di comunicare a Calvi tutte le notizie che lo riguardavano raccolte negli
uffici
giudiziari
milanesi.
Emilio Pellicani, nella sua audizione in Commissione il 24
febbraio 1983, riferisce poi che Flavio
Carboni e Armando Corona, eletto Gran Maestro della massoneria di
Palazzo Giustiniani in
successione
al generale Battelli, avevano rapporti con due magistrati milanesi Pasquale
Carcasio e
Francesco Consoli, rapporti relativi alla ricerca di appoggi
per la nomina del Consoli a
procuratore
generale di Milano. A tal fine vi fu una riunione conviviale in Roma alla quale
parteciparono
l'onorevole Roich e Graziano Moro, nella quale si parlò anche del processo a
carico
di Calvi e
degli interessamenti in atto per farlo concludere con l'assoluzione
dell'imputato.
Va
sottolineato che questi episodi s'inquadrano nell'azione svolta nei confronti
della magistratura
da parte
di Roberto Calvi per sistemare le pendenze giudiziarie scaturite dalla vicenda
P2, nelle
quali
erano coinvolti lo stesso Calvi, Licio Gelli, Umberto Ortolani, Angelo Rizzoli
e Bruno Tassan
Din.
Secondo
quanto dichiara in più occasioni Emilio Pellicani, Calvi stava cercando di
mettere insieme
somme di
denaro, che dovevano raggiungere la cospicua somma di 25 miliardi, sollecitando
a tal
fine la
collaborazione di Rizzoli e Tassan Din, somme che dovevano essere consegnate
all'avvocato
Wilfredo Vitalone.
Anche
Rizzoli e Tassan Din riferiscono che Calvi, tramite Francesco Pazienza, li
sollecitò a versare
somme
cospicue per ottenere una soluzione favorevole alle pendenze giudiziarie
suindicate.
Rizzoli fa
esplicito riferimento ai «giudici di Roma» e al conflitto di competenza poi risolto
dalla
Corte di
cassazione con la riunificazione dei diversi procedimenti presso la
magistratura romana.
Sempre
secondo quanto riferisce Rizzoli anche Gelli ed Ortolani avevano versato somme
di
denaro e
Calvi aveva precisato minacciosamente che, se non avessero pagato, Rizzoli e
Tassan Din
non se la
sarebbero cavata.
Conclusivamente,
volendo tentare una sommaria analisi sulla scorta delle risultanze degli
elenchi
di
Castiglion Fibocchi circa la composizione del gruppo dei magistrati iscritti in
base all'ufficio di
rispettiva
appartenenza, si rileva che la Loggia P2 aveva conseguito significative
adesioni a livello
di
presidenti di tribunali, seppur in modo sporadico. L'infiltrazione della loggia
si presentava
invece più
debole con riferimento sia agli uffici di procura della Repubblica, sia alla
Suprema
Corte di
cassazione, pur non potendosi escludere una certa influenza, in considerazione
delle
vicende
processuali che coinvolgevano esponenti della loggia. Gli episodi citati peraltro
testimoniano
di una tentata penetrazione deviante nei confronti della procura di Milano, che
prescinde
dal dato meramente formale dell'iscrizione.
Notevole,
concentrata e capillare era invece la penetrazione realizzata all'interno del
Consiglio
Superiore
sia a livello di componenti dell'organo di autogoverno (Buono, Pone), sia con
riferimento
agli uffici di segreteria (Pastore, Croce, Palaia).
L'attenzione
e i propositi della Loggia P2, nonché le sue penetrazioni a livello della
magistratura,
appaiono
comunque pericolose sotto più di un profilo.
In primo
luogo vi è da osservare che le connotazioni di segretezza e di accentuata
solidarietà, in
termini di
concorso mutualistico tra gli iscritti nelle attività professionali, assumevano
maggiore
gravità con
riferimento all'attività dei magistrati ed alle guarentigie fissate
dall'ordinamento a
tutela
della loro indipendenza.
Questi
rilievi vengono in considerazione non solo per quanto attiene gli sviluppi di
carriera per il
singolo
magistrato - già di per sé fatto sospetto - ma per quanto riguarda possibili
condizionamenti
che il magistrato potrebbe subire a livello della sua attività giurisdizionale,
soprattutto
allorché tale attività abbia ad oggetto procedimenti importanti, con
implicazioni anche
di natura
politica.
Infatti la
solidarietà intesa in aggiunta alla segretezza dei rapporti potrebbe influire
sulle scelte del
magistrato
e sulla sua attività giurisdizionale, ponendo in dubbio la sua imparzialità o
almeno la
sua
serenità di giudizio.
L'elemento
che viene peraltro in maggiore considerazione è che le proposte in materia di
ordinamento
giudiziario - alcune delle quali implicanti anche modifiche di natura
costituzionale –
sono tese
a ridare una struttura gerarchica alla magistratura, con particolare riferimento
agli uffici
del
Pubblico Ministero e ad intaccare il principio della separazione dei poteri
(vedasi in merito la
riforma
del Consiglio Superiore). Tutto ciò acquista rilievo particolare con
riferimento al piano
politico
generale, più volte espresso da Gelli ad esponenti della Loggia P2, di
accentuare il
momento
autoritario nella vita dello Stato.
La ricerca
di contatti con magistrati anche non iscritti alla P2 (alcuni nomi di
magistrati ricorrono
in altri
atti in possesso della Commissione) - induce a sospettare che si siano almeno
tentate
iniziative
rivolte ad influire sull'andamento dì alcuni procedimenti che o riguardavano
uomini
della
istituzione o comunque avevano ad oggetto fatti nei quali la istituzione era
coinvolta
direttamente
o indirettamente o ai quali era in qualche modo attenta.
A tale
proposito non può passarsi sotto silenzio come la riunificazione disposta dalla
Corte di
cassazione
di tutti i procedimenti giurisdizionali attinenti la Loggia P2 presso gli
uffici giudiziari
di Roma -
anche se poteva trovare giustificazione in norme processuali e in motivi di
opportunità -
non abbia
giovato alla speditezza dell'istruttoria e al raggiungimento di un risultato
concreto (a
tale
proposito una rogatoria rivolta all'autorità giudiziaria svizzera relativa al
cosiddetto Conto
Protezione, già trasmessa dalla magistratura di Brescia prima
della riunificazione dei
procedimenti
a Roma, attende ancora la sua evasione a distanza di quasi tre anni).
Non può
ancora passarsi sotto silenzio come la requisitoria del procuratore della
Repubblica di
Roma,
dottor Gallucci (in data 29 maggio 1982) e la successiva sentenza
istruttoria del dottor
Cudillo (in data 17 marzo 1983) tendono a rappresentare la
Loggia P2 come un fenomeno
associativo
di scarsa pericolosità, attribuendo al solo Gelli e a pochi altri i reati più
gravi,
scolorendo
il loro significato politico complessivo e svalutando la genuinità della
documentazione
proveniente
dalla perquisizione del 17 marzo 1981. Questa conclusione degli organi
inquirenti
romani si
è posta, come ha rilevato il Commissario Trabacchi, in palese contraddittorietà
con la
richiesta
di avocazione del procedimento, motivata dal procuratore della Repubblica di
Roma con
la
definizione della Loggia P2 quale «nucleo ad altissimo potenziale criminogeno,
versatilmente
impegnato nella consumazione di eteroformi
attività delittuose».
Come è
noto, la sentenza istruttoria è stata impugnata dal Procuratore generale presso
la corte di
appello di
Roma; e si attende la decisione della sezione istruttoria della Corte.
Si ha
anche l'impressione che i magistrati che hanno adottato le decisioni suindicate
non abbiano
completamente
e tempestivamente preso visione di una serie di atti che, almeno
indirettamente,
avrebbero
potuto contribuire a fornire ulteriormente elementi ai fini di una valutazione
del
fenomeno
P2 e della condotta degli imputati. Così documenti relativi alle indagini su
Gelli svolte
nel 1974
dalla Guardia di Finanza, al loro rinvenimento presso l'archivio di Gelli e
alle vicende
connesse a
tali indagini - inviati dalla procura della Repubblica di Milano a quella di
Roma - per
lungo
tempo non sono stati reperibili presso gli uffici romani. Tra l'altro numerosi
degli iscritti alla
Loggia P2
- anche personaggi di rilievo – non risultano mai interrogati: si è omesso
anche di
procedere
contro due capigruppo della Loggia P2 e cioè De Santis Luigi e Niro Domenico. Infine
- per ciò
che vale - non può tacersi che già nel gennaio 1982 Gelli, in una telefonata
all'avvocato
Federico Federici, si diceva convinto dell'esito più che
favorevole dell'istruttoria in corso a suo
carico
presso gli uffici giudiziari romani.
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