Negli
elenchi rinvenuti a Castiglion Fibocchi gli iscritti sono ripartiti anche per
settori di
appartenenza:
uno di questi settori è quello delle Forze Annate, nel quale figurano
cinquantadue
ufficiali
dei carabinieri, nove dell'Aeronautica, ventinove della Marina, cinquanta
dell'Esercito,
trentasette
della Guardia di Finanza e sei della Pubblica Sicurezza.
Dall'elenco
generale degli iscritti sequestrato, peraltro, il numero complessivo degli
ufficiali risulta
anche
superiore (centonovantacinque) e gli iscritti negli elenchi trovano riscontro,
anche se non
completo,
nelle informative inviate alla Commissione
dal SISMI
e dal SISDE.
Il primo
dato che occorre mettere in rilievo in proposito è l'elevato grado ricoperto
dagli affiliati.
Così, ad
esempio, dei cinquantasei ufficiali dei carabinieri, in servizio o a riposo,
che figurano
negli
elenchi, dodici ricoprono il grado di generale ed otto quello di colonnello;
così ancora
troviamo
otto ammiragli, ventidue generali dell'Esercito, cinque generali della Guardia
di Finanza
nonché
quattro generali dell'Aeronautica. Il dato totale, di per sé eloquente, ci dice
che su
centonovantacinque esponenti del mondo
militare, ben novantadue ricoprono il grado di
generale o colonnello.
Ancor più
significativo, per quanto in seguito si dirà, è soffermarsi sulle funzioni
assegnate a molti
dei
nominativi citati: così l'ammiraglio Torrisi che fu capo di Stato Maggiore della Marina
negli
anni
1977-1980 e poi della Difesa negli anni 1980-1981, il generale
Grassini che
diresse il SISDE dal
novembre
1977 al luglio 1981, il generale Santovito che diresse il SISMI dal gennaio 1978
all'agosto
1981 e il generale Picchiotti che fu negli anni 1974-1975 vicecomandante
generale
dell'Arma
dei carabinieri e in precedenza comandante la divisione carabinieri di Roma, il
generale
Palumbo comandante la divisione carabinieri «Pastrengo» di
Milano e poi anch'egli
vicecomandante
generale dell'Arma, il generale Miceli che diresse il SID dal 1970 al 1974, il
generale Musumeci che fu segretario generale del SISMI con il
generale Santovito, i generali
Giudice e Giannini che furono comandanti generali della Guardia
di Finanza, rispettivamente
negli anni
1974-78 e negli anni 1980-1981.
Come è
facile rilevare a prima vista, si delinea una mappa del potere militare più
qualificato, con
personaggi
che hanno spesso assunto un ruolo centrale in vicende di particolare
significato nella
storia
recente del nostro paese, anche in relazione ad avvenimenti di carattere
eversivo.
La maggior
parte degli ufficiali che figurano negli elenchi sono stati sottoposti ad
inchieste
disciplinari
che hanno portato a delle vere e proprie conclusioni solo per quelli che erano
tuttora
in
servizio, per i quali la sanzione è stata generalmente quella del rimprovero,
applicata in poco
più di un
terzo dei casi. Le pronunce di proscioglimento sono state invece emesse perché
non
risultava
pienamente provata l'appartenenza dell'ufficiale alla Loggia P2, facendo a tal
fine
soprattutto
fondamento sul diniego di appartenenza alla loggia dell'ufficiale interessato.
Per un
certo
numero di ufficiali che non erano più in servizio, pur non applicandosi alcuna
sanzione, è
stata
ritenuta provata l'appartenenza alla loggia. Vi è da rilevare infine che per
alcuni ufficiali,
anche di
grado elevato e che hanno avuto compiti di rilievo nelle Forze Armate, non sono
pervenuti
alla Commissione i fascicoli relativi.
Per un
esame del problema vanno in primo luogo ricordate le dichiarazioni rese da
esponenti
della
massoneria (Siniscalchi, Brilli) circa i massicci reclutamenti di militari operati
sulla fine del
mandato di
Gamberini: secondo le voci ricorrenti in ambito massonico il Gran Maestro aveva
proceduto
ad iniziare sul filo della spada circa quattrocento militari, all'uopo presentati
dal Gelli.
Il dato è
probabilmente esagerato, ma è peraltro certo che la prima fase della gestione
gelliana
della
Loggia P2 è contrassegnata da una forte e qualificata presenza di militari:
dato questo che
non
dovrebbe in sé essere considerato particolarmente significativo poiché è
ampiamente
documentata
una tradizionale propensione degli ambienti militari verso istituzioni di tipo
massonico.
L'elemento
invece al quale va prestata adeguata considerazione e che contraddistingue con
carattere
di specificità la Loggia P2 ed il suo intervento in questi ambienti è, per
contro, quello
della
spiccata connotazione politica che al complesso di tali affiliazioni veniva
attribuita da Licio
Gelli, al
quale faceva riscontro, secondo gli atti in nostro possesso, l'accettazione da
parte degli
iscritti
di tale impostazione. Ne è esempio la riunione dei generali tenuta a Villa
Wanda nel 1973;
ed è in
proposito da rilevare che i discorsi che in tale occasione si tennero non erano
del tutto
nuovi, ma
anzi possono ritenersi in certa misura abituali se di essi abbiamo almeno un
altro
significativo
esempio documentabile, quale la lettera che, nel 1972, il Gelli inviò agli
elementi
militari
iscritti alla sua loggia – missiva che non sappiamo se diretta a tutta la
categoria o solo agli
elementi
di maggior spicco - nella quale dai discorsi di condanna generalizzata del
sistema, che già
abbiamo
segnalato, si traeva la conclusione che solo una presa di posizione molto
precisa poteva
porre fine
al generale stato di disfacimento e che tale iniziativa poteva essere assunta
soltanto dai
militari.
Siamo, come si vede, di fronte ad una impostazione politica ben definita che si
pone al
margine
della legalità repubblicana e che non solo non viene dissimulata, ma è oggetto
di
valutazione
e di esame presso alte gerarchie militari. Essa segna certamente un salto di
qualità
rispetto
al tradizionale interessamento massonico per le gerarchie militari,
testimoniato tra l'altro,
presso la
Commissione, dai documenti relativi alla camera tecnico-professionale coperta
dei
militari,
costituita presso la comunione di Piazza del Gesù, dai quali si evince un
interessamento a
questioni
di più ristretto profilo, quali la gestione delle carriere o degli incarichi.
I due
riferimenti documentati citati assumono poi piena credibilità quando si
consideri come le
ventilate
ipotesi di soluzioni di tipo autoritario trovano un adeguato e conforme
retroterra politico
nella
ideologia spiccatamente conservatrice - calata in una prospettiva di avversione
al sistema nel
suo complesso,
e come tale sostanzialmente eversiva - consegnata al nostro esame dalla
documentazione
in possesso della Commissione, più volte citata.
Se
indubbia appare quindi la valenza politica che l'intreccio tra ambienti
militari e Loggia P2
assumeva
nelle prospettive e nei piani di Licio Gelli, un ulteriore approfondimento
analitico ci
dimostra
che tale connotazione politica non rimaneva astretta ad un piano di generica e
velleitaria
progettazione,
ma trovava concreti sbocchi di pratica attuazione. Tale è l’esempio
che ci viene
fornito dalle vicende relative alla divisione
Carabinieri «Pastrengo» di Milano, in ordine alla
quale il tenente
colonnello Bozzo,
che in essa ha prestato servizio, ha testimoniato sulla «presenza
di un vero e proprio gruppo di potere al di
fuori della gerarchia... che aveva una matrice comune nella
provenienza di servizio dalla Toscana».
Il gruppo
comprendeva il generale Palumbo, comandante della divisione, il maggiore
Antonio
Calabrese e il generale Franco Picchiotti, la cui presenza ai
vertici dell'Arma ne contraddistinse il
«periodo di maggior splendore». Succeduto al Palumbo, il generale Palombi, estraneo al gruppo
citato, la
gestione di questi venne contrastata con il trasferimento a Milano di due
ufficiali, il
tenente colonnello Panella ed il tenente colonnello
Mazzei, che
risultano iscritti alla Loggia P2, e
con il
distacco (un'iniziativa dello Stato Maggiore dell'Arma) del Servizio speciale
anticrimine, che
si era
segnalato per i brillanti risultati ottenuti specie nella lotta al terrorismo,
dal comando di
divisione
alla legione di Milano e quindi alle dipendenze del Mazzei e del Penella.
Il Mazzei
ebbe in seguito a subire procedimento disciplinare per la protezione offerta al
professore
Piero Del Giudice, imputato di reati connessi con fatti di
terrorismo; prima della chiusura di tale
procedimento
il Mazzei diede le dimissioni dall'Arma, assumendo presso
il Banco Ambrosiano
un incarico per lui appositamente creato e
che al suo decesso non venne ulteriormente
ripristinato.
La situazione
sommariamente delineata si presta a due osservazioni: la prima è relativa al
riscontro
che essa trova nell'appartenenza di tutti i nominativi del gruppo citato alla
Loggia P2, e
in
particolare alla circostanza che tre di essi (Picchiotti, Palumbo, Calabrese)
sono altresì presenti
alla
riunione in Villa Wanda del 1973.
La seconda
concerne il rilievo strategico e politico che il comando della divisione
«Pastrengo»
venne ad
assumere nella seconda metà degli anni Settanta nella lotta contro il terrorismo,
che
faceva di
quell'incarico un punto nevralgico sia per l'importanza della piazza di Milano,
sia perché
la
divisione ha competenza territoriale estesa a tutta l'Italia settentrionale.
Il generale
Dalla Chiesa ha deposto
in proposito, denunciando l'impressione ricevuta, durante il
suo
comando alla brigata di Torino, di una scarsa collaborazione da parte degli
elementi della
divisione
di Milano.
Il
progredire e lo svilupparsi della Loggia P2 denota un sempre più marcato
interessamento di
Licio
Gelli per gli ambienti militari, soprattutto con riferimento alle alte
gerarchie; per le nomine
relative,
secondo quanto ha testimoniato il generale Fulberto Lauro, il capo della Loggia P2 era
comunque
sempre estremamente informato in anticipo, con riferimento sia all'Esercito che
ai
Carabinieri
ed alla Guardia di Finanza.
Iniziando
dalla Guardia di Finanza si succedono al comando generale: Raffaele
Giudice dal 1974
al 1978, Marcello
Floriani dal 1978
al 1980, Orazio Giannini dal 1980 al 29 luglio 1981.
Gelli si
interessa alla nomina di Giudice, che figura tra gli iscritti alla loggia,
unitamente a
Palmiotti, iscritto anch'egli alla Loggia P2 e segretario dell'onorevole
Mario Tanassi,
all'epoca
ministro
delle Finanze, titolare della competenza per la sua nomina: gli stretti legami
tra Gelli e
Giudice
sono del resto ampiamente documentati dal fascicolo
M.FO.BIALI.
Gelli
propone al generale Floriani di iscriversi alla massoneria e probabilmente alla
Loggia P2 e si
vanta poi
di averlo fatto nominare al comando generale della Guardia di Finanza. Quanto
al
generale
Giannini questi ammette di essere iscritto alla massoneria e figura tra gli
iscritti alla
loggia:
Gelli lo indica come futuro comandante della Guardia di Finanza (risultano
infatti
interventi
di Gelli, per la sua nomina), mentre l'interessamento di Giannini, al momento
del
sequestro
operato a Castiglion Fibocchi, è ampiamente rivelatore dei suoi legami con
Gelli.
Per quanto
riguarda i Carabinieri il generale Enrico Mino, che ne è comandante generale dal 1973
al 1977,
non figura tra gli iscritti alla Loggia P2, ma ad essa lo indicano come
appartenente
l'onorevole
Pannella, nella
sua audizione in Commissione, e il senatore Giovanni Leone. Il
maggiore Umberto Nobili ha dichiarato che Gelli affermò di essere
riuscito a determinarne la
nomina a
comandante generale dell'Arma; ed è comunque provato che il generale Mino
conosceva
bene Gelli
ed era con lui in stretti rapporti.
E’ altresì
documentato in atti che Licio Gelli si interessò alla nomina del successore del
generale
Mino prima
ancora della sua naturale scadenza. Le intercettazioni telefoniche del
fascicolo
M.FO.BIALI
ci mostrano che la successione in esame fu oggetto di attivo interessamento da
parte
di Gelli, Giudice, Trisolini e dei consigliere Ugo
Niutta, che
discutono del problema con sicurezza
di toni e
con padronanza dell'argomento: dalle conversazioni emerge una preferenza di
Licio Gelli
per il
generale Santovito. Successore del generale Mino risultò alla fine il generale
Pietro Corsini.
Per quanto
riguarda i comandi dei Servizi segreti Gelli, nella deposizione resa al giudice
Vigna,
ammise di
essersi interessato per la nomina del generale Miceli a capo del SID: questa
deposizione
è
suffragata da testimonianze del generale Rosseti e del giornalista Coppetti.
Anche dopo la riforma dei Servizi segreti nel
1978, i capi dei Servizi risultano tutti negli elenchi
della P2: il generale Grassini capo del
SISDE, il generale Santovito capo del SISMI ed il
prefetto Pelosi capo del CESIS, che doveva
coordinare i due servizi precedenti.
Il
generale Musumeci assume l'incarico di capo dell'ufficio controllo e sicurezza
e la segreteria
generale
del SISMI all'epoca di Santovito. Di particolare interesse ai nostri fini la
figura di questo
ufficiale,
che non solo troviamo accanto al generale Santovito, ma che, secondo
attendibile
testimonianza,
mentre dipendeva dal comando della XI brigata in Roma era in stretta
frequentazione
con il generale Palumbo - presso la I divisione in Milano - dal quale non
dipendeva
gerarchicamente.
Il contatto
tra il Palumbo ed il Musumeci, al di fuori dei rapporti gerarchici e delle
strette esigenze
di
servizio, denota una consuetudine di legami e di interessi comuni che,
considerato unitamente
al dato
relativo alla circostanza che gli stessi nominativi di iscritti alla loggia si
trovano sempre
assegnati
a destinazioni comuni, segnala alla nostra attenzione una rete di interessi e
di legami che
corre
parallela ai normali vincoli gerarchici.
Per il
generale Santovito vi è anche da osservare che egli continua, pure dopo il 17
marzo 1981, a
tenere
stretti rapporti con ambienti massonici e con ambienti che possono configurarsi
come
continuatori
dell'opera della Loggia P2: significativo a tale riguardo è il suo rapporto con
Francesco Pazienza e il potere da costui assunto all'interno
del SISMI, a documentare il quale
esistono
precise ed inequivocabili testimonianze.
Va,
rilevato, come osservazione generale, che i legami che gli esponenti delle
Forze Armate
assumevano
con l'iscrizione alla Loggia P2 e la «dipendenza» nella quale si ponevano nei
riguardi
di Licio
Gelli venivano a costituire una situazione per la quale esponenti di primo
piano del potere
militare
si inserivano attivamente nel programma e nelle finalità politiche di Gelli e
della Loggia
P2,
finalità difficilmente riportabili al servizio delle istituzioni democratiche,
quanto piuttosto alle
direttive
di centri di potere estranei, se non ostili, ad esse.
In
definitiva, attraverso loro Gelli e la Loggia P2 erano in grado di condizionare
scelte importanti
di alcuni
settori delle Forze Armate, con riferimento ai loro obiettivi politici.
Indubbiamente
almeno
alcuni militari agirono, a volte, anche per interessi personali o parteciparono
a traffici
illeciti,
cui erano interessati direttamente e che riguardavano anche uomini politici ad
essi
collegati,
secondo quanto può desumersi dal coinvolgimento di Giudice, Lo Prete e Trisolini in
vicende
come quelle attinenti al traffico dei petroli, per le quali pendono vari procedimenti
avanti
l'autorità
giudiziaria. Non si può escludere che anche tali traffici non si esaurissero
solo
nell'ambito
dell'interesse economico di coloro che ne sono stati coinvolti; ma il dato che
più
interessa,
ai fini della nostra analisi, è quello politico e a tal fine un episodio meglio
di ogni altro
illumina
questo aspetto della problematica allo studio: la riunione dei generali tenuta
ad Arezzo
nel 1973.
In proposito un dato analitico di estremo interesse è la brevità del preavviso
della
convocazione
che denuncia chiaramente come quella riunione non fu un evento eccezionale, ma
si
inseriva
in una consuetudine collaudata di rapporti e di frequentazioni.
Non è
comunque senza disagio che può essere rievocata la convocazione nella sua villa
di alcuni
generali
della Repubblica da parte di un personaggio ampiamente al margine
dell'ortodossia e
della
legalità come Licio Gelli; e veramente inaudito appare che essi
ascoltassero da questi, alla
stregua di un capo di Stato maggiore ombra,
concioni sullo svolgimento delle loro delicate
mansioni, facendosi destinatari dell'ordine
di trasmetterle ai propri quadri subalterni.
La lettura
dell'audizione del generale Palumbo, delle reticenze, delle scuse e delle mezze
ammissioni
in ordine all'episodio citato non possono non suonare offesa a quanti, e sono
la
maggioranza,
indossano la divisa con dignità e senso dell'onore.
La
propensione degli ambienti militari verso istituzioni di tipo massonico e la
forte
compenetrazione
tra vertici militari e Loggia P2 sono peraltro argomenti che richiedono una
qualche
considerazione di ordine più generale.
Una
conclusione politicamente significativa su tali vicende non può infatti
prescindere dalla
considerazione
che il delicato tema del rapporto tra esercito e società civile va forse,
rimeditato
alla luce
dei gravi episodi illustrati, evitando di cadere nelle opposte ed egualmente
perniciose
tentazioni
di una neutralizzazione che si ammanti di ipocrita tecnicismo da una parte e di
una
appropriazione
partitica, mascherata da pretestuosi ideali di motivazione politica dall'altra.
Si pone in
primo luogo il problema della responsabilità politica del controllo e della
direzione di
questi
apparati, tema che per sua natura non può che essere rinviato e proposto dalla
Commissione
al dibattito del Parlamento. In questa sede, alla luce delle conoscenze
acquisite, è
peraltro
dato rilevare che l'attuazione di forme associative parallele alla struttura
gerarchica
ufficiale
va, prima che stigmatizzata, compresa nelle sue radici e nelle sue motivazioni.
Per
valutare appieno questo fenomeno è d'uopo riportarsi alla posizione che i
militari sono venuti
a
rivestire nella società italiana a partire dal dopoguerra, sottolineando la
particolare
sterilizzazione
politica che nei loro confronti si era venuta ad operare, nella classe politica
come
nella società
civile, per una serie di ragioni, che qui non è il caso di analizzare a fondo,
sulle quali
comunque
influirono in modo determinante sia l'esito del conflitto, sia il cambiamento
istituzionale.
Basti qui
riportarsi ai discorsi che gli elementi più accreditati dei nostri vertici
militari propongono
attualmente
sulla esigenza di un accordo permanente e fecondo tra esercito e società
civile, per
non
ritenere azzardato l'affermare in questa sede che l'elemento di novità della
Loggia P2 sta nella
scoperta,
o meglio riscoperta, a partire dalla metà degli anni Sessanta, del ruolo e - in
termini di
presenza
politica - dell'importanza che i militari possono assumere ed in fatto assumono
nella vita
del Paese.
Trattasi di una conclusione che, se accettata, fornisce ampia materia di
riflessione non
solo ai
fini di una valutazione della Loggia P2 nel suo complesso, ma di una
interpretazione del
personaggio
Gelli, del suo peso specifico, dei suoi eventuali punti di riferimento politico
e
strategico:
poiché è di palese evidenza che simile intuizione politica trascende il
personaggio Gelli.
L'inserimento
prepotente della Loggia P2 negli ambienti militari (spesso non a caso definiti
«casta») è stato
certamente effetto di una disattenzione della società civile e politica nei
confronti di
un
ambiente che trova il suo momento di coesione in motivazioni a torto spesso
ritenute superate
dalla
moderna società, fortemente laicizzata e contrassegnata da una cultura,
soprattutto di ordine
superiore,
al tempo problematica e dissacrante. Un non corretto od incompleto circuito di
motivazioni
e di ideali tra società civile e società militare può certo generare quelle
situazioni di
frustrazione
morale e materiale che hanno costituito il fertile terreno di coltura
dell'interessato
proselitismo
di Gelli e della Loggia Propaganda, facendo balenare la possibilità di una
presenza
nella vita
del paese che finiva per trascendere, pervertendolo, il ruolo che in un moderno
Stato
costituzionale
i cittadini in divisa devono, in quanto tali, legittimamente ricoprire, nel
quadro delle
leggi e
degli ordinamenti generali.
E’ dato
qui individuare uno dei punti di possibile debolezza del sistema, nel quale
trova spazio
per
inserirsi un operazione di segno sostanzialmente eversivo quale quella al
nostro esame. Un
dato
interpretativo di estremo interesse ai nostri fini sta nella considerazione che
il piano di
rinascita democratica, pur contenendo un'analisi dettagliata,
corredata da proposte di riforma,
praticamente
di tutti gli apparati esecutivi, ignora completamente il settore delle Forze
Armate. E’
questa una
disattenzione che non può non destare meraviglia, attesa la pignoleria
argomentativa
del
documento, e che non può non essere interpretata se non nel senso che questi
problemi
costituivano
per il Venerabile e per i suoi tutori una sorta di riserva personale da non
porre in
alcun modo
in discussione con terzi.
Questa
osservazione è suffragata dall'esame dei vari documenti citati sinora, dai
quali emerge la
constatazione
che essi, contenendo argomentazioni critiche intorno ai più vari problemi della
società,
non toccano mai i problemi del mondo militare, pur essendo in sostanza tali
ambienti tra i
destinatari
più qualificati di questi discorsi.
L'enucleazione
della tematica militare da questo contesto argomentato, non può non colpire in
modo
significativo e va, a questo punto del discorso, interpretata alla luce
dell'analisi svolta nel
precedente
paragrafo sulla appartenenza di Licio Gelli all'ambiente dei Servizi, ovvero al
settore
che del
mondo militare costituisce uno dei centri nevralgici di maggiore interesse
politico.
Ricordiamo a tal proposito che il Gelli ebbe
a testimoniare di aver influito sulla nomina di
Miceli a capo del SID, e di averlo introdotto
negli ambienti della massoneria facendolo iniziare
da Salvini. Questa notizia, presa con la dovuta cautela
che la fonte merita, quando fosse da
considerarsi
vera non potrebbe che indicare come il Gelli nell'ambito dei Servizi aveva
conquistato
un proprio
potere contrattuale, che non lo sottraeva al loro potere di controllo
ultimativo, come
dimostra l'episodio Pecorelli,
ma gli attribuiva di certo un margine di spazio autonomo. Tale
spazio può
essere spiegato sia con il peso che il Gelli aveva nel frattempo conquistato
come capo
della
Loggia P2, sia ipotizzando altri possibili punti di riferimento per
l'operazione piduista,
nell'ambito
dei quali i Servizi trovavano collocazione non esclusiva. In altri termini, la
carriera di
Gelli,
volendo prestare fede a questa sua testimonianza, lungi dal contestare la tesi
espressa sulla
sua
appartenenza ai Servizi, verrebbe ad indicare che la parabola percorsa in
quell'ambiente
segna un
percorso in parte analogo a quello seguito nella massoneria, dove da delegato
del Gran
Maestro
egli era al fine pervenuto ad impadronirsi della Loggia P2 ed a condizionare la
vita
dell'intera
comunione. In tale ottica il Commissario Gabbuggiani ha rilevato come il
rapporto tra
Gelli ed i
Servizi si qualifica come un rapporto non a senso unico.
In questo
senso può essere estesa in via generale l'osservazione formulata con
riferimento ai
Servizi
segreti dai Commissari Mattarella e Rizzo, ipotizzando che la compenetrazione
tra la
Loggia P2
e gli ambienti del vertice della gerarchia militare aveva finito per creare una
situazione
nella
quale l'accesso alla loggia costituiva una sorta di passaggio obbligato per
accedere a superiori
livelli di
responsabilità. Del resto, testimonianze in tal senso, già ricordate,
denunciano la
pressione
di ufficiali superiori nei confronti dei subalterni con la indicazione
dell'ingresso
nell'organizzazione
per accedere ai gradi superiori della gerarchia ed a certe destinazioni
particolarmente
qualificate. Una concordante indicazione può essere colta nella testimonianza
del
generale
Dalla Chiesa il quale, pur in modo sfumato, inquadra in tale contesto la
proposta di
iscrizione
alla Loggia P2 rivoltagli dal generale Picchiotti.
Il tema
dei Servizi segreti è stato dal Commissario Ruffilli inquadrato in un più ampio
contesto di
argomentazione
politica, partendo dal rilievo che un ragionato esame di questo problema non
può
prescindere
dalla considerazione della collocazione internazionale del nostro Paese, quale
punto
di
raccordo, di particolare rilievo, per la sua collocazione tra mondo occidentale
e mondo
orientale,
nei conflitti che tra tali aree politiche si instaurano all'interno di una zona
cruciale quale
il bacino
del Mediterraneo. Queste considerazioni spiegano come l'Italia sia diventata,
secondo
tale
Commissario, una base di operazione per i servizi segreti dì diverse
appartenenze; e in
relazione
a tale divenire storico trova allora comprensibile riscontro quella che il
Commissario
Andò ha
definito l'ambivalenza ideologica dei nostri Servizi, nei quali, a partire da
un certo
momento,
si sono identificati per lo meno due partiti: quello filo-arabo che faceva capo
al generale
Miceli e
quello filo-israeliano che si riportava al generale Maletti, entrambi, come
noto, iscritti alla
loggia pur
se dichiaratamente nemici.
Nell'ambito
di questa dialettica di rapporti, si comprende come la Loggia P2 abbia potuto
acquisire
un ruolo determinante quale stanza di compensazione per l'assorbimento di
tensioni e di
contrasti
che per loro natura non potevano che essere mediati in sede riservata. Che poi
tale sede
fosse, per
così dire, affidata a persona riconducibile all'ambiente, ovvero controllata,
ma ad esso
non
appartenente in forma ufficiale, come precedentemente abbiamo cercato di
dimostrare, questa
appare
conclusione non solo logica, ma addirittura imprescindibile.
L'ordine
di discorsi al quale siamo pervenuti solleva una serie di problemi fondamentali
per il
corretto
funzionamento dell'ordinamento democratico che richiedono di essere
conclusivamente
inquadrati
per consentire un approfondito dibattito del Parlamento su questa complessa
materia.
A tal fine il Commissario Crucianelli ha
rilevato come una corretta determinazione del quadro,
entro il quale svolgere l'analisi, richieda
di evitare da un canto la prospettazione dei Servizi
come variabile impazzita del sistema, dotata
di autonoma soggettività politica, dall'altro il
pericolo di ipotizzare meccanici rapporti di
dipendenza, risetto al potere politico per apparati
che, per definizione, si muovono
nell’indistinto e conservano, sotto ogni latitudine, una rete
articolata di legami orientati in più
direzioni. La complessa dialettica di questi rapporti è
argomentata nel discorso di tale Commissario
con la interpretazione fornita agli eventi del 1974,
punto culminante della strategia della
tensione, e dalla successiva emarginazione dall'apparato
del Miceli e del Maletti, massimi
responsabili dei Servizi, che segue, in quel tragico anno, alla
denuncia che il ministro della difesa,
onorevole Andreotti, fa dell’esistenza di altri due tentativi
di colpo di Stato (oltre quello Borghese) previsti
per il gennaio e l'agosto del 1974.
Riservandoci
di soffermarci più approfonditamente su tale periodo cruciale della storia del
nostro
paese, in
tema di analisi dei collegamenti con l'eversione, si vuole qui sottolineare, in
via
conclusiva,
il rilievo, ampiamente condiviso dalla maggioranza dei Commissari, che
l’intreccio tra
Loggia P2,
Servizi segreti ed ambienti militari assume nell'interpretazione del fenomeno
oggetto
dell'inchiesta
parlamentare un rilievo centrale e che come tale pone l'imprescindibile
esigenza che
su tale
delicato argomento si possa svolgere un discorso che rifugga da
schematizzazioni
preconcette,
che ad altro risultato non conducono se non a quello di impedire la
comprensione dei
fenomeni
nella loro reale portata.
Non è chi
non veda peraltro che le conclusioni alle quali si è pervenuti hanno comunque
un rilievo
politico
generale di straordinario rilievo, perché conducono ad una interpretazione di
Gelli e della
sua
attività, attraverso lo strumento della Loggia P2, che amplia il tema dei
rapporti tra Gelli, gli
ambienti
militari ed i Servizi segreti ben oltre la primitiva portata, di riferimento al
dato di
immediata
percezione della presenza nella Loggia P2 dei vertici militari e dei Servizi.
Prendere le
mosse
dall'assunto che Licio Gelli è pertinenza dei Servizi sin da antica data
rovescia il discorso
sulla
materia da un taglio in ultima analisi riduttivo, sull'inquinamento dei servizi
segreti, alla
prospettiva,
di valenza politica diametralmente opposta, di una attività di inquinamento che
i
Servizi
possono aver progettato di svolgere ed in fatto svolto, attraverso questo abile
e fortunato
personaggio.
Volendo sintetizzare in una formula, corre tra le due ipotesi tutta la
differenza che c'è
tra
Servizi segreti inquinati e Servizi segreti inquinanti, tra strumento corrotto
ed agente
corruttore,
tra oggetto e soggetto di attività eversive del sistema democratico.
E’,
questo, argomento che per la sua portata di ampio respiro politico coinvolge
sedi ed autorità
cui
spetta, in via istituzionale, la competenza su questa delicata materia. Essi
peraltro hanno già
dovuto
prendere atto nella storia della Repubblica di fenomeni di segno eversivo, che
hanno
sollecitato
più di un intervento correttivo. Il contributo che la Commissione può portare è
quello
di offrire
a tali sedi ed al dibattito democratico tra le forze politiche il dato
istruttorio che siamo
venuti
cercando di enucleare dai documenti e dagli atti in nostro possesso.
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