mercoledì 1 dicembre 2021

Conte premier

 


Ma i 5 Stelle sono ancora vivi? La domanda è lecita, perché non toccano palla quasi mai, non incidono nel dibattito politico e sembrano costantemente in cerca d’autore. 


Sondaggi. Il M5S viene ancora dato al 15% o giù di lì, che è una cifra enorme tenendo conto della perdurante fase di stallo attraversata dai 5 Stelle dalla caduta del Conte 2 in poi. Quella percentuale scende però all’11% in altri sondaggi, che vedono addirittura Forza Italia (?) tallonarla. La sensazione è che, oggi, chi vota (o voterebbe) i 5 Stelle lo fa (o farebbe) principalmente per stima nei confronti di “Giuseppi”.


Conte. Appunto: Conte. Sta scoprendo quanto sia difficile fare il leader politico, ruolo diversissimo dal Presidente del Consiglio. Non controlla i gruppi parlamentari, pieni di belle persone ma anche di conclamati casi umani. Appoggia Draghi, ma sa bene che più il governo attuale dura e più i 5 Stelle evaporano (deduzione così lapalissiana che ci è arrivato pure Renzi). Anche la canizza sulla Rai è stata comunicata male, perché è parsa la ripicca di una forza politica che non è riuscita a partecipare alla spartizione della torta. Conte era e resta l’ultima spiaggia del M5S, ma forse si è già pentito di non aver fondato un partito tutto suo. E ha scoperto troppo tardi che il Movimento da lui ora guidato rispecchia sin troppo bene la massima resa celebre da Alberto Malesani: “È una giungla, cazzo!”.


Di Maio. È quello più a suo agio dentro il governo Draghi. Abile, scaltro, in grado di controllare ancora buona parte del movimento. Per i detrattori è ormai un democristiano fatto e finito, ma di questi tempi (e non solo di questi tempi) essere “democristiani” non è detto che sia un difetto.


Grillo. Continua a delegittimare sistematicamente Conte, mascherando gli attacchi per battutine insopportabili. Da fuori sembra che sia in atto una noiosissima gara a chi ce l’abbia più lungo tra lui, Conte e Di Maio. A chi giova tutto questo? Ai 5 Stelle no di sicuro.


Azzolina. Cito lei per alludere ai non pochi esponenti 5 Stelle oggi malmostosi, che vorrebbero un M5S più maturo, efficiente e coeso, nonché pienamente progressista e ambientalista. Al momento queste istanze paiono però minoritarie, o quantomeno non suffragate da una reale volontà politica maggioritaria interna al partito (finitela di chiamarlo “movimento”).


Di Battista. Dice spesso cose giuste, sa fare opposizione, è efficace in tivù ed è l’unico con Conte - tra i grillini - a portare ancora gente in piazza, ma col suo (legittimo) desiderio di bastonare anzitutto i suoi ex colleghi rischia di fare il gioco di renziani, berlusconiani e meloniani. Infatti, di colpo, ha cominciato a risultare simpatico alle Gaia Tortora e ai retequattrini: non è un caso.


Ex. Cunial, Barillari, De Vito, Paragone. Per non parlare delle Gambaro, Fuksas, De Pin, Mastrangeli, “Alternativa c’è”, eccetera. I 5 Stelle hanno portato nelle istituzioni personaggi che non meriterebbero di gestire neanche una bicicletta morta. Lo ricordo a chi continua a rimpiangere “il primo M5S”. Ma rimpiangere de che? C’erano buone istanze sicuramente, come pure brave persone, ma c’erano anche troppi scappati di casa e salvati (senza troppo merito) dalla buonanima di Basaglia.


Pd. Sono il primo a sperare che i 5 Stelle creino un campo progressista con Pd, Bersani, Fratoianni, sardine e società civile. È l’unica strada. Resta però un problema di fondo: se i 5 Stelle di Conte diventano un Pd 2 annacquato, perché mai qualcuno dovrebbe votare loro e non direttamente il Pd originale?


(Oggi sul Fatto)

Andrea Scanzi 

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