Le prove ottenute dal Guardian mostrano
l’assalto coordinato e illegale dell’UE ai diritti delle persone che
cercano di attraversare il Mediterraneo.
di Daniel Howden, Apostolis Fotiadis e Zach Campbell
The Guardian, 12 Mar 2020
Con il calar della sera del 26 marzo 2019, due piccole imbarcazioni
si dirigono verso a nord attraversando il Mediterraneo. Gommoni sgonfi e
instabili: quasi impossibile per chi è a bordo arrivare in Europa in
quelle condizioni. Da nord, un aereo a doppia elica dell’Unione europea
gli arriva sopra la testa. Da sud, la guardia costiera del paese da cui
erano appena fuggiti, la Libia, è anch’essa in arrivo.
L’aereo, giunto per primo, non sembra dar segnali di portare soccorso
a nome dell’Europa. Il velivolo, Seagull 75, manda invece segnali radio
ai libici, dando loro le coordinate dei gommoni “nove miglia nautiche,
davanti alla vostra prua”. L’inesperto equipaggio della guardia libica,
però, ha bisogno di qualcosa in più delle coordinate. “Il mio radar non è
buono, non va bene, se rimani [sopra la barca] ti seguo”, è il
messaggio della guardia costiera libica, come da registrazioni della
radio marina VHF intercettato da una nave vicina.
Seagull 75 a quel punto inizia a volare in circolo sopra i gommoni.
L’equipaggio di quel volo fa parte dell’operazione Sophia, una missione
navale dell’UE di pattuglia sul Mediterraneo centro-meridionale dal
2015. Dopo aver partecipato a migliaia di soccorsi nei suoi primi
quattro anni, Sophia ha ritirato le sue navi dal marzo 2019, lasciando
unicamente aerei nell’area di salvataggio. È diventata nota come la
missione navale senza navi.
“Abbiamo ancora cinque minuti di autonomia”, comunica l’equipaggio di
Seagull 75 ai libici. “Andremo sopra i gommoni e accenderemo i nostri
fari di atterraggio.” Il volo Sophia e la nave della guardia costiera
libica si cercano l’un l’altro al buio. “Non vi vediamo, provate voi a
cercare le nostre luci”, comunica l’equipaggio dell’aereo. I libici
chiedono maggiori informazioni. “Aspetta, sto solo aggiornando la tua
posizione. Aspetta” rispondono dal velivolo.
“Virate a sinistra di circa 10 gradi. È a circa tre miglia nautiche a
prua”, informa Operazione Sophia un minuto dopo. Il volo, a corto di
carburante, deve tornare alla base. “Guardia costiera libica, ti
contatteremo tramite FHQ, passo”, dice l’equipaggio di volo, riferendosi
alla base tattica da cui è gestita l’Operazione Sophia.
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La confusione in mare quella notte non è stato un episodio isolato,
ma una dimostrazione dettagliata delle misure a cui l’Europa ha dovuto
ricorrere per fare in modo che i migranti non raggiungano il continente.
Mentre il livello di violenza al confine tra Grecia e Turchia ha
scioccato molti europei, la ritirata dell’Europa dalla difesa dei
diritti dei rifugiati non è iniziata la scorsa settimana. La decisione
della Grecia di sigillare i suoi confini e negare il diritto di asilo è
solo l’escalation più visibile di un assalto al diritto di donne e
uomini di chiedere protezione internazionale.
Le fondamenta sono state poste nel Mediterraneo centrale, dove l’UE e
l’Italia hanno messo in atto un “meccanismo per procura” per fare ciò
che non potevano fare da soli senza violare apertamente le leggi
internazionali: intercettare i migranti indesiderati e riportarli in
Libia.
La strategia si è basata sul continuo diniego di ogni responsabilità
per operato della guardia costiera libica. Ma la connivenza che ne viene
fuori dalle registrazioni audio è supportata da lettere inedite tra
vari funzionari UE di alto livello, poi confermate da altre fonti
interne e infine messe a nudo dalle e-mail della guardia costiera
libica, tutto materiale raccolto dal Guardian. Nel loro insieme, queste
prove schiaccianti rivelano in maniera inequivocabile una vera e propria
cospirazione in atto nel Mediterraneo, che ha calpestato il diritto
internazionale in nome del controllo dell’immigrazione.
Il Mediterraneo è il teatro in cui l’idea europeista dei diritti
umani si trova a combattere contro l’ansia dei politici continentali nei
confronti dell’immigrazione africana. Fino al 2009, la Libia era un
“tranquillo” paese di rimpatrio, perché paesi come l’Italia dicevano che
lo era. Le navi italiane intercettavano i migranti persuadendoli a
salire sulle loro imbarcazioni con la promessa di un passaggio in
Italia, per poi ammanettarli e riportarli a Tripoli.
Nel 2009 l’Italia ha rispedito in Libia circa 900 persone. Tra i
rimpatriati c’erano 11 eritrei e somali che si sono appellati alla corte
europea dei diritti umani. La sentenza del tribunale del 2012 ha detto
che l’Italia si è resa colpevole di respingimento illegittimo, ha
violato il diritto di asilo che quelle persone avevano, e che non ha
permesso loro l’approdo in un porto sicuro. Nel rigettare la posizione
dell’Italia, uno dei giudici ha sottolineato che “i rifugiati hanno il
diritto di avere diritti”.
Questa sentenza, denominata “sentenza Hirsi” dal nome di una delle
persone rimpatriate illegalmente, implica che qualsiasi operazione di
“refoulement” (respingimento), anche se eseguita per procura, diventa
illegale secondo il diritto internazionale quando si dimostra che a
controllarla e’ uno stato dell’UE. L’Europa, dopo questa sentenza, ha
dovuto quindi trovare alleati in Libia in grado di intercettare i
migranti in alto mare senza una chiara azione direzione da parte degli
europei.
Il progetto dei “respingimenti per procura” è decollato nell’estate
del 2017. A quel tempo la Libia, nel mezzo di una guerra civile, non
aveva una guardia costiera centralizzata e nessuna capacità di gestire
la propria area SAR (ricerca e salvataggio). Fin dall’inizio si trattava
di un progetto congiunto tra Roma e Bruxelles: l’Italia forniva navi
mentre l’UE formava e pagava le nuove guardie costiere, spesso
reclutando personale tra milizie e contrabbandieri vari.
Per dare un segno di legittimità alla nuova guardia costiera, i
documenti dovevano essere depositati presso l’Organizzazione marittima
internazionale, che quindi avrebbe dichiarato che era la Libia ora a
gestire la propria zona SAR. Alcuni documenti giudiziari di un processo
presso la corte di Catania, Sicilia, avrebbero successivamente
dimostrato che uno dei primi numeri di telefono elencati come
appartenenti alla guardia costiera libica era di fatto un numero
italiano.
Ma denaro e materiali europei non erano affatto sufficienti a creare
una forza libica di controllo efficace. Gli ex miliziani e
contrabbandieri, ora in uniforme da guardia costiera libica, non ce la
facevano da soli a ridurre gli sbarchi. Secondo alcuni documenti interni
dell’operazione Sophia del 2018, dopo oltre un anno di addestramento e
supporto finanziario, la guardia costiera libica non era ancora in grado
di controllare la propria area SAR. Per ridurre un numero maggiore di
sbarchi in l’Europa, avrebbero avuto bisogno di ancora più aiuto.
Dal 2017 l’UE ha iniziato quindi ad estendere i voli di
pattugliamento sul mediterraneo centro-meridionale. Dopo due anni, i
voli dell’agenzia Frontex sono quasi raddoppiati. In base alla legge del
mare, i suoi piloti erano tenuti a contattare qualunque nave si
trovasse nella posizione migliore per assistere qualsiasi barca in
pericolo. Ma quando i libici hanno iniziato a far valere la loro
presenza nel Mediterraneo, i voli europei, e chi li coordinava, hanno
iniziato a dare la preferenza alle navi che avrebbero portato i
naufraghi verso sud, nonostante che la Corte Europea e l’Agenzia per i
Rifugiati delle Nazioni Unite concordino sul fatto che la Libia non sia
un porto sicuro.
Gravi conseguenze legali sembrano profilarsi all’orizzonte. Ben
quattro sono le richieste davanti a tribunali internazionali, e due
presso quelli italiani, che accusano l’Italia, l’Unione Europea o
entrambi di finanziare e dirigere la guardia costiera libica.
“L’Italia ha ingannevolmente bypassato la sentenza “Hirsi” usando i
libici, ma la sentenza [di un tribunale internazionale] potrebbe
dimostrare che non si può far questo per eludere le proprie
responsabilità”, ha dichiarato Itamar Mann, un avvocato israeliano che
sta conducendo azioni legali contro l’UE e l’Italia.
La più recente di queste è una denuncia presentata alla Corte dei
Conti Europea, il controllore finanziario dell’UE. L’accusa all’UE e’
quella di aver infranto le proprie stesse leggi indirizzando ben 90
milioni di euro destinati alla riduzione della povertà verso la guardia
costiera libica.
Mann sostiene che mentre i libici effettuano le intercettazioni,
sullo sfondo è l’UE a tirare le fila. “L’UE sta usando l’Italia nello
stesso modo in cui l’Italia sta usando la Libia, per sfuggire alle sue
responsabilità. Il principale colpevole è a Bruxelles.”
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Nel momento in cui Seagull 75 lascia la scena del salvataggio, la guardia costiera libica contatta di nuovo Sophia
per avere una volta ancora conferma delle coordinate.
“Tre-quattro-zero-tre nord, zero-uno-quattro-tre-uno”, chiede la guardia
costiera. “Confermo”, risponde l’equipaggio di Seagull 75. I libici
continuano l’inseguimento delle barche dei migranti verso l’estremo nord
della zona SAR libica.
La nave della guardia costiera pero’ non riesce ancora a trovare il
primo gommone. Il secondo e’ monitorato da un altro aereo Sophia, un
aereo spagnolo, Cotos, anche lui a corto di carburante. Risulta sempre
più chiaro che solo una delle barche sarebbe stata intercettata quella
notte.
Pochi minuti piu’ tardi un elicottero europeo entra in contatto
radio. La risposta è veloce e confusa. “Guardia costiera nazionale
libica, guardia costiera nazionale libica, puoi parlare lentamente?”
chiede l’equipaggio dell’elicottero. “Hai contatto visivo con il
gommone?”
I libici riescono ad arrivare al primo gommone e riportano in Libia
tutti quelli che erano a bordo. Il volo spagnolo segue la seconda barca
migrante fino a quando, a corto di carburante, deve fare necessariamente
rientro alla base. I funzionari dell’UE successivamente sosterranno che
quelli a bordo del secondo gommone sono stati salvati da una tanker
commerciale. Tuttavia, più di un testimone a bordo della nave cisterna
affermano che quella notte non hanno effettuato nessun salvataggio. Le
registrazioni radiofoniche VHF di quella notte lo confermano.
Il salvataggio comporta la responsabilità legale di far sbarcare i
naufraghi in un porto sicuro. Dopo il 2012, però, con la Libia ormai non
piu’ un porto sicuro e con l’aumento del “costo politico” del
salvataggio in mare dei migranti, i leader europei si sono dovuti
inventare un altro modo per controllare il Mediterraneo.
All’inizio del 2019 nella sede centrale dell’UE a Bruxelles e a
Frontex, l’agenzia europea di controllo delle coste e delle frontiere,
gli alti funzionari erano ben consapevoli che l’entità del loro
coinvolgimento con i libici rischiava di renderli legalmente
responsabili del destino dei migranti rimpatriati. Un mese prima del
caso del Seagull 75, Fabrice Leggeri, capo di Frontex, scrive a
Paraskevi Michou, il funzionario di grado più alto dell’UE in temi di
immigrazione, delineando il problema.
“Lo scambio diretto di informazioni operative con l’MRCC [Centro di
coordinamento per il salvataggio marittimo] in Libia in merito a casi di
ricerca e salvataggio può innescare interventi della guardia costiera
libica”, scrive Leggeri. “la nascita di una guardia costiera libica è
finanziata, come sapete, dall’Unione Europea. Tuttavia, la Commissione e
in generale le istituzioni potrebbero trovarsi di fronte a questioni di
natura politica a seguito degli scambi operativi di informazioni
relativi alla SAR. ”
In parole povere, il principale funzionario di frontiera europeo
sembrava chiedere al funzionario di alto rango se secondo lui si stava
arrivando troppo oltre.
La risposta di Michou un mese dopo cerca di rassicurare in merito al
fatto che, legalmente, tutto era in regola. Tuttavia, osserva: “[Molti]
dei recenti avvistamenti di migranti nella SRR [zona di salvataggio]
libica sono stati fatti da assetti aerei dell’[Operazione Sophia] e sono
stati notificati direttamente all’RCC libico responsabile della propria
area”.
In altre parole, stava diventando evidente che le risorse aeree
dell’UE – che nel 2019 erano costate più di 35 milioni di euro solo per
gli aerei Frontex – erano diventate gli occhi e le orecchie di una forza
di intercettazione libica.
In privato, alcuni funzionari delle agenzie europee direttamente
coinvolti erano a disagio con il livello di cooperazione. Un funzionario
di frontiera dell’UE, che ha chiesto di non essere identificato, ha
detto al Guardian che oramai non c’era differenza “tra riportare
qualcuno in un paese non sicuro o pagare di qualcun altro per
riportarcelo”.
Nello stesso periodo in cui la guardia costiera libica è stata
costruita in modo operativo e le si e’ data una facciata di legittimità,
le imbarcazioni di salvataggio private gestite da associazioni
nonprofit europee hanno dovuto affrontare una sostenuta campagna di
attacco con chiusure dei porti, arresti e sequestri di imbarcazioni.
“La guardia costiera libica non è in grado di localizzare e
rintracciare le imbarcazioni dei migranti. Per poterle intercettare,
devono essere aiutati dalla sorveglianza aerea “, ha affermato Tamino
Böhm, capo missione della ONG tedesca Sea Watch. “Quasi nessuna
intercettazione avrebbe luogo senza che le forze aeree dell’UE
assistessero i libici.”
Böhm, la cui ONG vola con il suo piccolo aereo di monitoraggio negli
gli stessi cieli di Sophia, elenca caso per caso i voli dell’UE che
hanno trasmesso dati su imbarcazioni in pericolo alla guardia costiera
libica e alle altre imbarcazioni libiche. Rileva inoltre che le navi
delle ONG e le altre navi europee spesso non sono nemmeno state invitate
a effettuare soccorsi, il che costituisce una possibile violazione del
diritto marittimo internazionale.
“Gli attori europei non sono solo complici, ma direttamente responsabili dei respingimenti in Libia”, ha aggiunto Böhm.
L’inviato speciale dell’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati
per il Mediterraneo centrale, Vincent Cochetel, ha affermato che nessuno
nella comunità internazionale può fingere di non aver capito quanto sia
diventata pericolosa la Libia.
In queste circostanze, ha affermato, “nessuna risorsa di un paese
terzo – navale, aerea o di intelligence – dovrebbe essere utilizzata per
facilitare il ritorno dalle acque internazionali in Libia”.
Il principale punto di contatto tra la sorveglianza aerea europea e
le barche libiche in mare è ancora il centro di coordinamento e
salvataggio di Roma. Secondo due legali tedeschi, Anuscheh Farahat e
Nora Markard, ciò rende l’Italia responsabile di atti internazionalmente
illeciti, “ovvero laddove viola i suoi obblighi ai sensi del diritto
internazionale del mare per assicurarsi che un’operazione di salvataggio
porti a una consegna in un porto sicuro.”
Mario Giro è stato viceministro degli esteri italiano per due anni,
mentre la strategia di supporto alla guardia costiera libica era in fase
di sviluppo. Giro ha affermato di credere che i leader italiani ed
europei, e in particolare l’allora ministro degli interni italiano,
Marco Minniti, fossero così concentrati ad impedire il flusso di persone
dalla Libia da sorvolare su aspetti fondamentali. La volontà italiana
ed europea di trattare direttamente con membri della milizia e
trafficanti è stata “un errore, punto e basta”, ha detto Giro.
“A quel tempo era chiaro che tutti in Italia e in Europa a destra e a
sinistra erano ossessionati dalla questione dei migranti. E tutti
volevano una soluzione rapida e immediata in nome del tentativo di
tenere sotto controllo l’opinione pubblica “.
Fino ad ora l’UE e l’Italia hanno sostenuto che esiste una differenza
tra il finanziamento e il sostegno della guardia costiera libica e il
controllo e quindi la responsabilità delle sue operazioni. Anche quando
la maschera è scivolata, come quando il numero di telefono elencato per
il nuovo centro di soccorso della Libia era elencato come numero
italiano, il diniego di ogni responsabilità e’ andato avanti.
“Il nostro personale non è imbacato sulle navi della guardia costiera
libica e il personale Eunavfor Med [European Naval Force Mediterranean]
non fa parte della guardia costiera libica e del processo decisionale
della sua marina”, ha affermato Peter Stano, portavoce del Servizio
europeo per l’azione esterna, il Corpo diplomatico dell’UE. “Né EUnavfor
Med ha il diritto di esercitare alcun controllo e autorità sulla
guardia costiera libica e sulle unità o sul personale della sua marina”.
Stano ha negato qualsiasi coordinamento diretto della guardia
costiera libica. “Le attività aeree [UE] non esercitano alcun
coordinamento delle navi libiche durante le operazioni di salvataggio.
Non esiste un programma di ricognizione “, ha detto.
Tuttavia, un’e-mail inviata da un ufficiale della guardia costiera
libica a Alarm Phone, gruppo indipendente volontario di monitoraggio nel
Mediterraneo, nell’agosto 2019, ottenuta dal Guardian, afferma che gli
aerei dell’UE trasmettono direttamente loro informazioni. “Si informa
che ieri PV LNCG FEZZAN ha condotto n. 2 S.A.R. eventi, due gommoni in
pericolo (affondamento) con circa 30 e 50 persone a bordo, a nord-ovest
di Tripoli (circa 70 NM), in PSN 3350N-01239E e 3348N-01218E correlati
ai rapporti delle attività aeree EUNAVFORMED D0102 e D0105 “, recita
l’e-mail.
Nonostante i continui dinieghi, la resa dei conti appare sempre più
vicina mentre una serie di azioni legali internazionali esamina ogni
aspetto di questa cooperazione. Ciò che emerge, sostengono gli avvocati,
è un disegno architettato per aggirare il diritto internazionale ed
eludere la responsabilità per cosi’ bloccare efficacemente il
Mediterraneo.
Un alto funzionario dell’UE vicino alla politica libica dell’epoca ha
descritto la strategia mediterranea dell’UE come una “bomba politica”.
“La reputazione dell’UE e’ in una situazione di grande difficolta’”,
ha dichiarato questo funzionario. “Stiamo mettendo il nostro destino
nelle mani di imbroglioni, e le conseguenze stanno per arrivare”.
Alla fine del 2017, i responsabili di Bruxelles erano divisi tra un
gruppo di sostenitori della linea dura che desideravano esternalizzare
il controllo della migrazione in Europa in Libia e una riduzione a tutti
i costi degli sbarchi, e gli altri che invece sostenevano che Sophia e
le navi delle ONG avrebbero dovuto continuare a operare salvataggi. Ha
vinto la linea dura. Ora, più di due anni dopo, la presenza di navi da
soccorso europee nel Mediterraneo centrale è ridotta al minimo.
Alla fine dell’anno prossimo, Frontex, che ha iniziato ad assumere un
ruolo maggiore nelle operazioni in Libia, diventerà la più grande
agenzia dell’UE per finanziamenti.
Il destino di coloro che cercheranno di fuggire ancora dalla Libia
probabilmente sara’ lo stesso riservato ai migranti catturati dalle luci
di Seagul 75 nel marzo dello scorso anno. Un gommone intercettato con
successo dalla guardia costiera libica e un altro – come lasciano
intendere le prove raccolte – andato a fondo.