giovedì 16 gennaio 2014

Due Italie

di Paolo Becchi


È sempre più chiara, ormai, la spaccatura che attraversa l’Italia, che la divide in due. C’è una prima Italia, partitocratica, parassitaria, che vive in un immaginario “Paese alla rovescia”, dove un Parlamento formato attraverso una legge elettorale dichiarata illegittima continua ad essere legittimo. È questa, infatti, la trovata della Corte Costituzionale che, costretta a “cassare” il Porcellum, ha tentato di fare la frittata senza rompere le uova: pur dichiarando incostituzionale la legge elettorale vigente, la Consulta – per il «principio fondamentale di continuità dello Stato» – ha ritenuto valida la precedente elezione di tutti i parlamentari, compresi quanti sono stati eletti in forza di quel premio di maggioranza che la Corte stessa ha definito distorsivo e costituzionalmente illegittimo. Ma c’è di più: il premio di maggioranza previsto dal Porcellum, secondo la Corte, sarebbe illegittimo in quanto produrrebbe «un’eccessiva divaricazione tra la composizione dell’organo della rappresentanza politica, che è al centro del sistema di democrazia rappresentativa e della forma di governo parlamentare prefigurati dalla Costituzione, e la volontà dei cittadini espressa attraverso il voto, che costituisce il principale strumento di manifestazione della sovranità popolare, secondo l’art. 1, secondo comma, Cost.». In altri termini, il premio di maggioranza è stato dichiarato incompatibile «con i principi costituzionali in base ai quali le assemblee parlamentari sono sedi esclusive della “rappresentanza politica nazionale” (art. 67 Cost.), si fondano sull’espressione del voto e quindi della sovranità popolare». La questione non è proprio di lana caprina: il premio di maggioranza non viola la Costituzione per qualche vizietto di forma, ma perché si pone direttamente in contrasto con l’articolo 1 (sovranità popolare) e l’articolo 67 (rappresentanza nazionale delle Camere) della Costituzione. Eppure, pazienza: per la Corte, l’elezione rimane ferma, perché ormai è «un fatto concluso», scrive, «posto che il processo di composizione delle Camere si compie con la proclamazione degli eletti». Strana logica giuridica e formale, che lasciamo analizzare dai costituzionalisti. Resta l’assurdità: una legge elettorale illegittima, un premio di maggioranza che è stato applicato violando l’art. 1 della Costituzione, ma tutto è salvo, perché, in fin dei conti, ormai le cose sono fatte. Logica giuridica o logica da Strapaese (“chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato”)?
Ma poi non è neppure questo il punto. Diamo atto del fatto che la Corte debba limitarsi a stabilire se una legge sia o meno conforme alla Costituzione, senza entrare nel merito di valutazioni politiche. Le valutazioni politiche, però, vanno fatte: se tutto quello che sta avvenendo dopo le ultime elezioni è legale (secondo i due principi della Corte: o è “un fatto concluso” o vale la “continuità dello Stato”), ben difficilmente potrà essere definito legittimo sotto il profilo sostanziale, della legittimità politica democratica del Parlamento. Questo Parlamento non ha più, dopo la decisione della Corte, nessuna credibilità. È stato eletto – e questo la Corte lo ha anche scritto a chiare lettere – in violazione del principio della sovranità popolare, dell’art. 1 della Costituzione. E questo non può, politicamente, essere considerato “un fatto concluso”: è anzi il fatto all’ordine del giorno! E’ il riconoscimento che questa Italia, l’Italia dei partiti, del Governo Letta, del Presidente Napoletano, è il Paese del colpo di Stato permanente. Abbiamo un Parlamento che la Corte continua a ritenere legittimo, ma che è formato da parlamentari in parte eletti con un premio di maggioranza che viola l’art. 1 della Costituzione. Abbiamo un Presidente della Repubblica eletto da quel Parlamento. Abbiamo un Governo che si regge su una maggioranza illegittima, con un Presidente del Consiglio messo lì da un patto di pacificazione nazionale ormai sepolto.
Ma tutti, oggi, sono felici perché tutto può continuare come prima, dal momento che la Corte, con un tratto di penna, in poche righe ha detto che i parlamentari non decadranno, perché ormai la loro elezione è un “fatto compiuto”. È ancora una repubblica, questa, o è una repubblica delle banane?
C’è, però, un’altra Italia. L’Italia di cittadini attivisti di un movimento che per la prima volta nella storia universale votano in rete, e i cui portavoce in Parlamento faranno valere quel voto. Ieri il reato di clandestinità, oggi la Fini-Giovanardi, domani la nuova legge elettorale: sono i cittadini che decidono. Pochi, forse, ma che importa? Galileo era da solo quando sconvolse il sistema tolemaico. Mentre la prima Italia discute tra talk show e “ospitate” in televisione la nuova legge elettorale proposta da un concorrente di quiz e ruote della fortuna, il M5S aprirà a breve la discussione in rete e dall’intelligenza collettiva nascerà la nuova legge elettorale del MoVimento.
Il vecchio e il nuovo: un’Italia divorata dal cancro dei partiti e la nuova Italia della rete e della democrazia. Tra le due non ci può essere compromesso: o vince l’una o vince l’altra.
Paolo Becchi

biografia

E' professore ordinario di Filosofia del Diritto presso la facoltà di Giurisprudenza all’Università di Genova. E' autore dell'eBook "Nuovi scritti corsari" (Adagio 2013)

http://www.lafucina.it/2014/01/16/due-italie/

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