giovedì 4 ottobre 2012

FEDELI ALLO STATO SEMPRE...


LA CUCCAGNA DI SAGGESE - IL TRUFFATORE DI “TRIBUTI ITALIA” HA FATTO UNA VITA DA GRANDE - METTEVA IN TASCA DIECIMILA EURO AL GIORNO, GIOIELLI ALLA SORELLA E MEGAFESTE AL CASTELLO BROWN DI PORTOFINO PER 250 SINDACI, AEREO E ALBERGO QUATTRO STELLE PAGATI - TOTALE: 20 MLN € SOTTRATTI, DI CUI SOLO 9 SONO STATI INDIVIDUATI (GLI ALTRI SONO ALL’ESTERO)…


Giusi Fasano per il "Corriere della Sera"
SAGGESESAGGESE
Una vita vissuta alla grande. Con autista e guardia del corpo al seguito. Con un prelievo quotidiano da diecimila euro. Con orologi extralusso al polso e diamanti per la sorella comprati come investimento. Al porto il super motoscafo Azimut, in garage la Mercedes blindata da più di centomila euro. E poi feste su feste e le tasche sempre piene di contanti.
Chi lo ha visto all'opera giura che Giuseppe Saggese è sempre stato così. Esagerato. Classe 1960, liceo classico, figlio di un magistrato (scomparso ormai da anni) che non ha fatto in tempo a leggere l'elenco delle tredici procure (tredici) che indagano sul conto di suo figlio.
Castello Brown di PortofinoCASTELLO BROWN DI PORTOFINO
Voleva costruire una fabbrica di soldi, Giuseppe detto Beppe. E l'ha fatto a spese dei contribuenti. Quando nel 1986 mise in piedi la sua prima «creatura» (Publiconsult) si accontentava della riscossione delle imposte sulle insegne e i cartelloni stradali. Roba che a vederla adesso forse si vergognerebbe.
Perché con il tempo l'esattore delle tasse è diventato un gigante della riscossione, ha affinato la tecnica, ha esteso i confini, è arrivato ad aprire 184 esattorie e 14 società partecipate. Un Comune dopo l'altro, incassi su incassi e controlli zero. Ecco la formula magica. E Beppe ha cominciato ad arraffare tutto. Fino a venti milioni di euro, dice l'inchiesta.
Del resto come pagare altrimenti giornate così dispendiose? Prendi le megafeste al Castello Brown di Portofino, per esempio. Biglietto d'invito per 250 sindaci in arrivo da tutt'Italia, aereo e albergo quattro stelle pagati. Gita su battelli presi in affitto per l'occasione. Con catering d'eccezione, champagne di default e orchestrina di amici che lui avrebbe tanto voluto lanciare nel mondo dello spettacolo.
tributi_italia_scioperoTRIBUTI_ITALIA_SCIOPERO
Naturalmente tutto a spese della Tributi Italia. E non è stata una sola occasione, sia chiaro. La testimonianze raccolte dalla Guardia di finanza parlano di almeno tre anni (2005-2007). Ogni settembre, proprio mentre i compaesani di Beppe guardavano i fuochi d'artificio della festa di Recco, lui ospitava i sindaci in una location di lusso: se non Portofino, Santa Margherita. E ogni volta il suo ruolo era tessere rapporti che lo facessero sembrare affidabile.
Poi è arrivato il 2008, la crisi mondiale, l'abolizione dell'Ici per le prime case. E lui ha cominciato a piangere miseria. «Qui non c'è più nessuno che paga» ripeteva ai Comuni ai quali non versava un soldo delle tasse che le sue agenzie intascavano dai contribuenti. E intanto metteva via per sé i milioni che, Ici o non Ici, riusciva a recuperare. Ogni mattina, dicono i finanzieri, la sua segretaria si presentava in banca a riscuotere assegni e cartelle esattoriali, contava diecimila euro e li lasciava nella cassaforte della società perché lui potesse prelevarli. E Beppe Saggese non mancava mai all'appuntamento.
Dichiarava più o meno un milione e mezzo all'anno per 150 giorni di lavoro e considerava quei soldi il suo stipendio. Da reinvestire in mille rivoli. Magari nei gioielli sequestrati a casa sua e di sua sorella Patrizia: diversi orologi da migliaia di euro e una collana di diamanti che i finanzieri hanno sequestrato e che considerano, appunto, un investimento di famiglia.
Alcune sue operazioni finanziarie erano così sfacciate da risultare paradossali. Un esempio: apriva una società intestandola a un suo uomo di fiducia che diventava amministratore e poi gli ordinava di nominarlo consulente per gestirla. Compenso: due milioni e mezzo di euro. Dei venti milioni la Finanza ne ha individuati soltanto nove. Gli altri «sicuramente» sono all'estero, dice la procura. Motivo per cui è «evidente» il pericolo di fuga. Il tesoro custodito altrove, perché, per quanto si credesse impunito, Beppe l'esattore sapeva che in Italia lo avrebbero arrestato: «Me lo sentivo, prima o poi doveva succedere» ha detto lui stesso offrendo i polsi per le manette.

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