martedì 17 aprile 2012

Monti-ABC contro l’insania tedesca

 
Il fiscal compact va bene. Ma bisogna che l’Italia e i suoi alleati impongano a Berlino e a Francoforte di ridiscutere nientemeno che le condizioni di esistenza di una zona euro. Monti si sente impaludato. Bersani pure, per via dell’esplosione di antipolitica (soldi ai partiti, Lega, caso Lavitola, Puglia, ce n’è per tutti). Alfano cerca una linea, l’abbraccio corporativo con Marcegaglia uscente e la tutela di interessi piccolo imprenditoriali non basta. Casini s’impaluda anche lui con Monti, e dell’antipolitica è un bersaglio facile. Oggi si vedono per tracciare la road map della crescita economica in un paese in recessione scura. Come per un “in bocca al lupo”, ecco i nostri appunti.

Devono leggersi bene un pezzo di Paul Krugman del 15 aprile, fonte New York Times, e uno di Wolfgang Münchau dello stesso giorno, fonte Financial Times. A New York e a Londra non sono infallibili e nemmeno uniti nel giudizio, ma sono bene informati sui mercati, sulle crisi finanziarie, sui guai del modello europeo di sviluppo legato alla moneta unica, l’euro. I due articoli dicono la stessa cosa, riassumibile in modo triviale o proverbiale: il problema è nel manico. Non abbiamo risparmiato complimenti alla coppia Monti-Fornero, quando ci è sembrato giusto farlo. Non abbiamo sottovalutato i loro risultati, e sopra tutto le loro buone intenzioni, il loro stile. Non sono tecnocrati al servizio della lobby di republicones e manettari affini che vuole scassare tutto, che predica la zizzania, che ha fortissimamente voluto il governo tecnico per sospendere la democrazia populista (noi eravamo contrari) e ora lo vuole fuori dai piedi perché non si piega alla loro logica distruttiva (e noi siamo contrari). Ci siamo anche detti berlusconiani, scusate la parola, tendenza Monti, scusate l’ardimento. Ma il problema è nel manico.

Krugman e Münchau non sono come noi dei Lavitola di complemento, sono intelligenze rispettate e ascoltate nel mondo degli affari e dei mercati (e non solo). L’importante è poi quel che dicono. Dicono che il moralismo tedesco è smentito dal caso Spagna, ora al centro della crisi. La Spagna aveva conti in ordine, debito e deficit, ma una bolla immobiliare: ora è in condizioni di estrema criticità, con una disoccupazione vicina al 30 per cento e quella giovanile al 50 per cento, e le politiche di austerità nazionale, i compiti a casa, rischiano seriamente di compromettere qualsiasi risanamento, inducono sfiducia nei mercati, e addirittura incrementano la crisi finanziaria che l’austerità, in quei modi e in quelle forme, vorrebbe risolvere. Usano parole grosse, parlano di “insania” quando parlano del fiscal compact e della direttiva di Berlino: risparmiate, curatevi con dosi massicce di rigore, intanto che Europa e Banca centrale tengono a bada l’inflazione, mentre la Germania rifiuta di impegnarsi in politiche espansive sue e di sostenere quelle dei partner dell’euro. Münchau aggiunge che le riforme di struttura sono benvenute, ma non risolvono il problema vero e profondo. Krugman parla dei suicidi nella crisi e del suicidio dei governi europei. Qui si tratta di errori pro-ciclici che potrebbero impegnare nel disastro un decennio e più delle nostre vite. L’unica decisione compra-tempo positiva è considerata quella di Mario Draghi, prestare molto e a buon saggio di interesse alle banche, accettare come pegno i titoli di stato. Lo spread italiano è intorno a 400, senza quella decisione, ora variamente contestata dalla taccagneria tedesca, avrebbe superato i livelli di emergenza segnati alla fine del governo Berlusconi.

Monti si è riconquistato
un certo grado di fiducia facendo i compiti. ABC smaniano di sostenerlo e condizionarlo con vari gradi di intelligenza della posta in gioco. Visto come stanno le cose, non bastano opere pubbliche, leggi delega fiscali senza risorse per alleviare la pressione in modo significativo, e altri progetti minori per quanto utili. In Italia sta partendo un business che può affermare un modello storico in Europa, nonostante lo scetticismo anche giustificato di molti: un treno italo-francese che agisce come impresa privata sulla principale direttrice di viaggio da sempre monopolizzata dalle ferrovie dello stato o trenitalia che dir si voglia. Non siamo necessariamente un paese periferico. Possiamo fare cose importanti. Ma senza mettere la Merkel di fronte alle sue resposabilità, senza esercitare un vero potere di condizionamento sulla decisione europea insieme con molti altri paesi alleati firmatari della lettera dei dodici sulla crescita economica, non ne usciremo con le ossa sane.

Marco Valerio Lo Prete osserva una cosa semplice.
Sarkozy, pessimo coautore del disastro europeo, in campagna elettorale si lascia sfuggire un’opinione che fino a ieri si era censurata in bocca: la Banca di Francoforte è la chiave di tutto. E’ la rottura di un patto infido siglato con la Merkel e con Monti: silenzio sulla Bce. Ma in campagna elettorale, di fronte alla sovranità popolare in discussione, certe cose perfino un cocciuto come lui le ha dovute dire. E Rajoy, il premier spagnolo, ha un’investitura popolare alle spalle quando dice che il rientro dal deficit deve farlo a suo modo se non vuole rompere il grugno al suo paese. Bene. Monti l’investitura non ce l’ha. La campagna elettorale politica in Italia è vicina e lontana. Ci trastulliamo con compitini e offensive scandalistiche e antipolitiche. Partiti e governo non hanno una linea chiara. Una cosa avvilente.

Ora, se Monti e ABC vogliono combinare qualcosa, devono sottoscrivere un patto in nome di un paese che è ben rappresentato, che ha fatto perfino scuola sulle pensioni, e che non sta lesinando duri sforzi per evitare all’Europa e al mondo l’imbarazzo di un’esplosione di nichilismo economico, frustrazione e sfiducia. La base del patto è che o la Merkel si rende conto della situazione, e autorizza un bilanciamento serio di rigore ed espansione monetaria a difesa dei titoli espressi in euro, oppure niente può essere escluso. E quel “niente” vuol dire la rimessa in discussione del contratto fondativo dell’euro. Se non lo faranno loro, lo faranno Sarkozy o Hollande, a seconda dei risultati del 6 maggio. Conviene all’Italia portarsi avanti con il lavoro e fare da battistrada. Per una volta nel segno di una convergenza di responsabilità, politica e tecnica.

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