di Guido Scorza
Secondo la Corte di giustizia europea, la ritrasmissione online di contenuti, coperti da diritto d'autore, trasmessi originariamente su altra piattaforma costituisce una forma di comunicazione al pubblico ed è da considerarsi vietata in assenza di autorizzazione
Se c'era qualche dubbio, la Corte di Giustizia dell'Unione Europea sembra ora averlo definitivamente dissipato.
La ritrasmissione online di contenuti - coperti da diritto d'autore - trasmessi originariamente su altra piattaforma (digitale terrestre, satellite, cavo ecc) costituisce una forma di comunicazione al pubblico di tali contenuti ed è, come tale, da considerarsi vietata in assenza di esplicita autorizzazione da parte dei titolare dei diritti.
E' irrilevante - secondo i Giudici della Corte - che la comunicazione sia destinata esclusivamente ai medesimi utenti che potrebbero legittimamente fruire del contenuto attraverso l'originario canale di trasmissione e che l'attività di ritrasmissione sia svolta in forma lucrativa o non lucrativa.
Sono queste le conclusioni alle quali la Corte di Giustizia è giunta nel decidere una questione pregiudiziale rimessale dai Giudici inglesi ai quali, numerose emittenti televisive di Sua Maestà si erano rivolte per chiedere di accertare l'illegittimità dell'attività di TVcatchup Ltd, società che acquisiva, ricodificava e rendeva accessibili i contenuti trasmessi da tali emittenti al pubblico inglese dopo aver chiesto a quest'ultimo di confermarle che avesse effettivamente il diritto di accedere ai medesimi contenuti attraverso piattaforme "tradizionali".
Ovviamente TVcatchup, a fronte di tale opportunità riconosciuta gratuitamente al proprio pubblico, raccoglieva pubblicità sulla propria piattaforma e la inseriva, tra l'altro, nella fase di login ed avvio di ogni riproduzione dei video in questione pur senza intervenire sulla pubblicità contenuta nelle originarie trasmissioni.
Non è però questo - secondo quanto scrivono i Giudici della Corte Europea - a fare la differenza.
Le conclusioni, infatti, sarebbero state le stesse se TVcatchup avesse agito senza perseguire alcuno scopo di lucro.
L'unica vera differenza - lo si legge tra le righe della Sentenza - si sarebbe registrata se il servizio fornito dalla TVcatchup fosse stato qualificabile come meramente tecnico e finalizzato esclusivamente a consentire al proprio pubblico una migliore fruizione - in termini qualitativi e non di nuova piattaforma - dei contenuti trasmessi, magari già on line, dalle emittenti che hanno fatto ricorso ai giudici inglesi.
Dura lex sed lex, viene da dire, mentre non resta che aspettare che da qualche parte, qualcuno, scriva in una legge che, le conclusioni a cui sono giunti i Giudici UE sono sacrosante ma a condizione che tutti i contenuti audiovisivi siano disponibili contemporaneamente ed a condizioni non discriminatorie su tutte le piattaforma tecnologiche e commerciali esistenti.
Ma questo, naturalmente, è solo un auspicio ed un punto di vista e non un principio di diritto, sin qui, recepito in un qualche provvedimento di legge.
Articolo già pubblicato su Wired
La ritrasmissione online di contenuti - coperti da diritto d'autore - trasmessi originariamente su altra piattaforma (digitale terrestre, satellite, cavo ecc) costituisce una forma di comunicazione al pubblico di tali contenuti ed è, come tale, da considerarsi vietata in assenza di esplicita autorizzazione da parte dei titolare dei diritti.
E' irrilevante - secondo i Giudici della Corte - che la comunicazione sia destinata esclusivamente ai medesimi utenti che potrebbero legittimamente fruire del contenuto attraverso l'originario canale di trasmissione e che l'attività di ritrasmissione sia svolta in forma lucrativa o non lucrativa.
Sono queste le conclusioni alle quali la Corte di Giustizia è giunta nel decidere una questione pregiudiziale rimessale dai Giudici inglesi ai quali, numerose emittenti televisive di Sua Maestà si erano rivolte per chiedere di accertare l'illegittimità dell'attività di TVcatchup Ltd, società che acquisiva, ricodificava e rendeva accessibili i contenuti trasmessi da tali emittenti al pubblico inglese dopo aver chiesto a quest'ultimo di confermarle che avesse effettivamente il diritto di accedere ai medesimi contenuti attraverso piattaforme "tradizionali".
Ovviamente TVcatchup, a fronte di tale opportunità riconosciuta gratuitamente al proprio pubblico, raccoglieva pubblicità sulla propria piattaforma e la inseriva, tra l'altro, nella fase di login ed avvio di ogni riproduzione dei video in questione pur senza intervenire sulla pubblicità contenuta nelle originarie trasmissioni.
Non è però questo - secondo quanto scrivono i Giudici della Corte Europea - a fare la differenza.
Le conclusioni, infatti, sarebbero state le stesse se TVcatchup avesse agito senza perseguire alcuno scopo di lucro.
L'unica vera differenza - lo si legge tra le righe della Sentenza - si sarebbe registrata se il servizio fornito dalla TVcatchup fosse stato qualificabile come meramente tecnico e finalizzato esclusivamente a consentire al proprio pubblico una migliore fruizione - in termini qualitativi e non di nuova piattaforma - dei contenuti trasmessi, magari già on line, dalle emittenti che hanno fatto ricorso ai giudici inglesi.
Dura lex sed lex, viene da dire, mentre non resta che aspettare che da qualche parte, qualcuno, scriva in una legge che, le conclusioni a cui sono giunti i Giudici UE sono sacrosante ma a condizione che tutti i contenuti audiovisivi siano disponibili contemporaneamente ed a condizioni non discriminatorie su tutte le piattaforma tecnologiche e commerciali esistenti.
Ma questo, naturalmente, è solo un auspicio ed un punto di vista e non un principio di diritto, sin qui, recepito in un qualche provvedimento di legge.
Articolo già pubblicato su Wired
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