di Niccolò Valentini - 17 marzo 2013
Una volta la pubblicità era l'anima del commercio, oggi è l'anima del consumismo. Le aziende non investono più sui prodotti, ma su spot, telepromozioni, concorsi, premi e iniziative commerciali volte a vendere di più. In una parola sola, nel marketing
Capitalism, a love story è il titolo del film di Michael Moore sul declino del capitalismo. Una storia d'amore che, come tante altre, purtroppo è finita, finita male. Dopo la Seconda Guerra Mondiale mancava tutto, non c'era niente, ma c'erano tante opportunità per chi aveva qualche buona idea e un po' di spirito imprenditoriale. Nacquero molte nuove aziende che sfornavano tanti nuovi prodotti. Internet non esisteva ancora, e la radio e la TV erano dispositivi che pochi potevano permettersi. Come far conoscere questi prodotti ai consumatori e invogliarli a comprare?
Attilio Manzoni, farmacista, sapeva già come fare quando nel 1863 fondò la A. Manzoni & C., all'epoca società di commercio all'ingrosso di prodotti farmaceutici e chimici, attualmente concessionaria pubblicitaria del Gruppo Editoriale L'Espresso.
Manzoni aveva intuito che poteva sfruttare i giornali per promuovere i suoi prodotti, così comprò alcune pagine per far sapere alla gente che erano nati nuovi farmaci per curare gravi malattie o fastidiosi disturbi. Fondò la prima concessionaria pubblicitaria italiana e probabilmente fu il primo in Europa ad impostare un sistema di compravendita delle inserzioni promozionali. E così in breve tempo la quarta pagina dei quotidiani, destinata agli avvisi commerciali, cominciò ad ospitare anche la pubblicità di aziende che non avevano nulla a che vedere con l'industria farmaceutica.
Si dice che la pubblicità è l'anima del commercio, ma forse lo era una volta: adesso la pubblicità è l'anima del consumismo. Già perché in un mercato saturo, in cui l'offerta supera di gran lunga la domanda, le aziende hanno capito che, per battere i competitor, per aumentare il fatturato e massimizzare il profitto, non vale più la pena di investire sui prodotti per migliorarli ma è più redditizio investire negli spot, nelle telepromozioni, negli eventi, nei concorsi, nei premi e in tutte le altre iniziative commerciali che hanno come unico fine quello di vendere di più. In una parola sola, nel marketing.
Stamattina mi chiamano dalla banca sul telefonino, dicono che devo passare in filiale a firmare dei documenti sulla privacy. Vado di persona in filiale, ormai con l'home banking se ci vado una volta l'anno è grasso che cola. Mi siedo davanti all'impiegata che stampa un modulo e mi fa vedere dove devo firmare. Il modulo chiede al correntista se vuole fornire i consensi per utilizzare i propri dati personali a fini di marketing, ovvero autorizza la banca a rompermi le scatole per offrirmi di tutto: dalle assicurazioni ai prodotti finanziari. Il modulo che mi presenta, però, ha già le "x" stampate su "fornisco il consenso". Rimango un secondo a fissare il modulo, sono indeciso se denunciarli o chiudere il conto, alla fine le dico di ristamparlo immediatamente senza le "x" che ovviamente metto io a penna negando tutti i consensi.
Vado in ufficio dove mi hanno assegnato un progetto che prevede di ricontattare gli utenti non più abbonati per offrirgli il servizio a metà prezzo. Ho un po' di nausea, vado a pranzo. Mentre mangio mi chiama un'operatrice di Mediaset Premium per propormi 3 mesi gratis di visione, 20 film gratis in pay-per-view, le partite di calcio gratis e un set di pentole in omaggio. Le dico per l'ennesima volta che secondo me il loro servizio è pessimo e che, in base alla legge sulla privacy, vorrei che cancellassero i miei dati dai loro database. Mi dice che lo farà e continua a rovinarmi il pranzo con le sue offerte imperdibili. La metto in attesa e continuo a mangiare, probabilmente la telefonata costerà a Mediaset più del valore mensile dell'abbonamento...
Torno in ufficio per concepire una nuova promo cosiddetta in opt out ovvero una promozione che prima ti dà qualcosa gratis e poi, quando finisce il periodo di gratuità, ti addebita il costo del servizio a meno che tu non lo abbia disdetto. Tutto regolare, non avete letto il contratto quando avete lasciato il vostro numero di telefono in fase di registrazione? Bastava prendere il microscopio e avreste certamente visto il link in fondo alla pagina...
Mi torna la nausea, sarà stato il panino o forse la telefonata dell'operatrice telemarketing. Mi avvio verso casa. Provo ad ascoltare un po' di musica in macchina ma la radio trasmette solo TG e pubblicità, attacco l'iPhone e John Lennon mi accompagna fino a destinazione. Controllo se nella cassetta della posta c'è qualcosa ma, a parte i soliti volantini di pizza a domicilio egiziana, nulla. Entro nell'appartamento e accendo la TV per vedere il telegiornale ma tolgo l'audio per evitare che il bombardamento pubblicitario faccia evaporare i pochi neuroni che ancora mi rimangono a fine giornata.
Guardo i titoli: Berlusconi ha una nuova malattia e quindi salta un altro processo, situazione politica sempre in stallo alla messicana e fumata ancora nera-grigia, comunque non bianca. Mi preparo da mangiare e mi rifugio nei canali di Sky Cinema: lì infatti la pubblicità non c'è, se non prima e dopo i film, ma c'è pur sempre il telecomando.
Il telecomando, lo scettro del potere domestico, mio inseparabile amico delle serate passate sul divano a guardare la TV... Non lasciatelo mai il telecomando, non appoggiatelo neanche sul bracciolo, neppure un secondo. Non accettate passivamente tutte le offerte che vi strillano addosso, non credete apaticamente a tutti gli slogan delle réclame, non bevetevi pigramente le balle che vi propinano di continuo.
Caricate sempre bene le pile del vostro telecomando, del vostro spirito critico, perché quando saranno esaurite non avrete più alcuna difesa. Potreste addirittura ritrovarvi nel carrello della spesa il detersivo con i micro-granuli di Marsiglia che lava pure il bucato del vicino, o scoprire sull'estratto conto l'addebito di un servizio che non avete disdetto prima che diventasse a pagamento, o magari votare uno che vi aveva promesso di restituirvi i soldi della tassa sulla casa che lui aveva già prima tolto e poi rimesso!
Attilio Manzoni, farmacista, sapeva già come fare quando nel 1863 fondò la A. Manzoni & C., all'epoca società di commercio all'ingrosso di prodotti farmaceutici e chimici, attualmente concessionaria pubblicitaria del Gruppo Editoriale L'Espresso.
Manzoni aveva intuito che poteva sfruttare i giornali per promuovere i suoi prodotti, così comprò alcune pagine per far sapere alla gente che erano nati nuovi farmaci per curare gravi malattie o fastidiosi disturbi. Fondò la prima concessionaria pubblicitaria italiana e probabilmente fu il primo in Europa ad impostare un sistema di compravendita delle inserzioni promozionali. E così in breve tempo la quarta pagina dei quotidiani, destinata agli avvisi commerciali, cominciò ad ospitare anche la pubblicità di aziende che non avevano nulla a che vedere con l'industria farmaceutica.
Si dice che la pubblicità è l'anima del commercio, ma forse lo era una volta: adesso la pubblicità è l'anima del consumismo. Già perché in un mercato saturo, in cui l'offerta supera di gran lunga la domanda, le aziende hanno capito che, per battere i competitor, per aumentare il fatturato e massimizzare il profitto, non vale più la pena di investire sui prodotti per migliorarli ma è più redditizio investire negli spot, nelle telepromozioni, negli eventi, nei concorsi, nei premi e in tutte le altre iniziative commerciali che hanno come unico fine quello di vendere di più. In una parola sola, nel marketing.
Stamattina mi chiamano dalla banca sul telefonino, dicono che devo passare in filiale a firmare dei documenti sulla privacy. Vado di persona in filiale, ormai con l'home banking se ci vado una volta l'anno è grasso che cola. Mi siedo davanti all'impiegata che stampa un modulo e mi fa vedere dove devo firmare. Il modulo chiede al correntista se vuole fornire i consensi per utilizzare i propri dati personali a fini di marketing, ovvero autorizza la banca a rompermi le scatole per offrirmi di tutto: dalle assicurazioni ai prodotti finanziari. Il modulo che mi presenta, però, ha già le "x" stampate su "fornisco il consenso". Rimango un secondo a fissare il modulo, sono indeciso se denunciarli o chiudere il conto, alla fine le dico di ristamparlo immediatamente senza le "x" che ovviamente metto io a penna negando tutti i consensi.
Vado in ufficio dove mi hanno assegnato un progetto che prevede di ricontattare gli utenti non più abbonati per offrirgli il servizio a metà prezzo. Ho un po' di nausea, vado a pranzo. Mentre mangio mi chiama un'operatrice di Mediaset Premium per propormi 3 mesi gratis di visione, 20 film gratis in pay-per-view, le partite di calcio gratis e un set di pentole in omaggio. Le dico per l'ennesima volta che secondo me il loro servizio è pessimo e che, in base alla legge sulla privacy, vorrei che cancellassero i miei dati dai loro database. Mi dice che lo farà e continua a rovinarmi il pranzo con le sue offerte imperdibili. La metto in attesa e continuo a mangiare, probabilmente la telefonata costerà a Mediaset più del valore mensile dell'abbonamento...
Torno in ufficio per concepire una nuova promo cosiddetta in opt out ovvero una promozione che prima ti dà qualcosa gratis e poi, quando finisce il periodo di gratuità, ti addebita il costo del servizio a meno che tu non lo abbia disdetto. Tutto regolare, non avete letto il contratto quando avete lasciato il vostro numero di telefono in fase di registrazione? Bastava prendere il microscopio e avreste certamente visto il link in fondo alla pagina...
Mi torna la nausea, sarà stato il panino o forse la telefonata dell'operatrice telemarketing. Mi avvio verso casa. Provo ad ascoltare un po' di musica in macchina ma la radio trasmette solo TG e pubblicità, attacco l'iPhone e John Lennon mi accompagna fino a destinazione. Controllo se nella cassetta della posta c'è qualcosa ma, a parte i soliti volantini di pizza a domicilio egiziana, nulla. Entro nell'appartamento e accendo la TV per vedere il telegiornale ma tolgo l'audio per evitare che il bombardamento pubblicitario faccia evaporare i pochi neuroni che ancora mi rimangono a fine giornata.
Guardo i titoli: Berlusconi ha una nuova malattia e quindi salta un altro processo, situazione politica sempre in stallo alla messicana e fumata ancora nera-grigia, comunque non bianca. Mi preparo da mangiare e mi rifugio nei canali di Sky Cinema: lì infatti la pubblicità non c'è, se non prima e dopo i film, ma c'è pur sempre il telecomando.
Il telecomando, lo scettro del potere domestico, mio inseparabile amico delle serate passate sul divano a guardare la TV... Non lasciatelo mai il telecomando, non appoggiatelo neanche sul bracciolo, neppure un secondo. Non accettate passivamente tutte le offerte che vi strillano addosso, non credete apaticamente a tutti gli slogan delle réclame, non bevetevi pigramente le balle che vi propinano di continuo.
Caricate sempre bene le pile del vostro telecomando, del vostro spirito critico, perché quando saranno esaurite non avrete più alcuna difesa. Potreste addirittura ritrovarvi nel carrello della spesa il detersivo con i micro-granuli di Marsiglia che lava pure il bucato del vicino, o scoprire sull'estratto conto l'addebito di un servizio che non avete disdetto prima che diventasse a pagamento, o magari votare uno che vi aveva promesso di restituirvi i soldi della tassa sulla casa che lui aveva già prima tolto e poi rimesso!
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