Quando si
passi ad esaminare il ruolo ricoperto da Gelli nella massoneria e la portata
dell'influenza
da lui esercitata nell'ambito dell'istituzione, e fuori di essa valendosi della
sua
posizione
massonica, il dato al quale occorre in primo luogo dare adeguato rilievo è
quello relativo
alla data
relativamente recente della sua militanza massonica. Il Gelli infatti,
personaggio che
domina la
scena massonica dalla fine degli anni sessanta sino all'inizio degli anni
ottanta, entra in
massoneria
solo nel 1965 e apparentemente non senza contrasti, poiché la sua domanda di
ammissione
viene fermata per un anno prima di essere messa in votazione. Ma già l'anno
successivo
il Gran Maestro aggiunto, Roberto Ascarelli, segnala Licio Gelli al Gran Maestro,
Giordano Gamberini, raccomandandolo come elemento in grado di
portare un contributo
notevole
all'istituzione, in termini di proselitismo di persone qualificate. E’ così che
il Gelli, ancora
fermo al
primo grado della gerarchia (apprendista), viene prima cooptato dalla
originaria Loggia
Romagnosi
alla Loggia riservata Hod che fa capo allo stesso Ascarelli - con un
provvedimento di
avocazione
del fascicolo personale preso direttamente dal Gran Maestro Gamberini - per
essere
quindi
nominato nel 1971 segretario organizzativo della Loggia Propaganda che diventa
«Raggruppamento
Gelli-P2».
Se il
procedimento di cooptazione è, come prima rilevato, tipico della organizzazione
massonica,
bisogna
pertanto constatare che esso funziona, nel caso di Gelli, in modo
particolarmente
accelerato,
poiché successivamente al primo trasferimento ricordato, già di per sé anomalo,
il Gelli
appare già
nel 1969 investito di delicate mansioni che concernono questioni di massimo
rilievo per
l'intera
comunità massonica nazionale. Pur senza infatti rivestire alcuna carica
ufficiale nel vertice
di Palazzo
Giustiniani, il Gelli nel 1969 ha l'incarico, secondo un documento in possesso
della
Commissione,
di operare per la unificazione delle varie comunità massoniche, secondo
l'indirizzo
ecumenico
proprio della gran maestranza di Gamberini, che operava sia per la
riunificazione con
la
comunione di Piazza del Gesù, sia per far cadere le preclusioni esistenti con
il mondo cattolico.
Licio Gelli quindi, a pochi anni dal suo
ingresso in massoneria, appare ricoprire un ruolo di
rilievo, d'intesa con il vertice dell'Istituzione ed in modo
del tutto personale, sia per la portata
delle
questioni affidate alla sua gestione, sia per la posizione affatto speciale che
gli viene
attribuita.
La
posizione di preminenza assunta con rapida ascesa da Licio Gelli nella
comunione di Palazzo
Giustiniani
non è in realtà spiegabile se non attraverso l'analisi dei rapporti che questi
riuscì ad
intrattenere
con i dirigenti dell'organizzazione ed in particolare con i Gran Maestri, a
cominciare
dal
Gamberini, che patrocinò l'ascesa iniziale di Gelli, in sintonia con il Gran
Maestro aggiunto
Roberto
Ascarelli. Terminata la Gran Maestranza del Gamberini nel 1970, a questi
succedeva,
all'insegna
della continuità, il medico fiorentino Lino Salvini, il quale provvedeva a ritagliare al
predecessore
un proprio spazio di influenza, affidandogli l'incarico retribuito di
sovrintendere alle
pubblicazioni
della comunione, nonché quello di tenere i rapporti con le massonerie estere e,
secondo
vari testimoni, con la CIA. Di fatto quindi il Gamberini veniva ad assumere il
ruolo di
plenipotenziario
per i contatti internazionali del Grande Oriente conservando nell'istituzione
una
posizione
di personale prestigio e influenza, che gli avrebbe consentito di traversare
indenne, a
differenza
del suo successore Salvini, le vicende burrascose e le aspre polemiche, spesso
poco
«fraterne»,
che contrassegnano la vita della comunità negli anni settanta. Sarà comunque il
Gamberini,
all'uopo retribuito dal Gelli, a presenziare, nella sua qualità di Gran
Maestro, alle
iniziazioni
che si tenevano presso l'Hotel Excelsior ed è ancora il Gamberini che - secondo
un
documento
in possesso della Commissione (debitamente periziato) - provvede a redigere la
minuta
della lettera con la quale il Salvini eleva nel 1975 il Gelli alla dignità di
Maestro Venerabile;
un
documento, questo, che getta una luce invero rivelatrice sulla natura dei
rapporti che
correvano
tra Gelli e la Gran Maestranza, quale ne fosse il titolare, palesando una
continuità di
indirizzo
per la quale è legittimo chiedersi quali radicate motivazioni essa avesse e
quali ambienti
ne fossero
la reale fonte ispiratrice. Non meno stretti sono peraltro i rapporti di Gelli
con il Gran
Maestro
Salvini che egli dichiarava, agli inizi degli anni settanta, di poter
distruggere in qualsiasi
momento. A
testimonianza del legame non certo limpido tra i due personaggi vale a tal fine
ricordare
l'attacco che il Gelli, manovrando dietro le quinte, fece portare da Martino
Giuffrida al
Gran
Maestro nel corso della Gran Loggia di Roma (1975). L'operazione sostanziata da
una serie
di.
precise accuse sul piano della correttezza e moralità personali, venne fatta
cadere solo dopo un
incontro
riservato tra il Gelli ed il Salvini, intervenuto a seguito della mediazione
dell'onnipresente
Gamberini. Quanto infine ai rapporti con il successore del Salvini, generale
Battelli, basti qui ricordare i documenti - in possesso della
Commissione - che riportano le
dichiarazioni
scritte di testimoni, secondo le quali il Battelli ed il suo Gran Segretario, Spartaco
Mennini, erano finanziati dal Gelli per le spese di campagna
elettorale, oltre che regolarmente
retribuiti.
In questa
cornice di rapporti, che si svolgono sotto il segno della prevaricazione e
della
compromissione
reciproche, vanno inquadrate la carriera massonica di Licio Gelli e lo sviluppo
della
Loggia Propaganda Due, l'una e l'altra strettamente connesse, poiché vedremo
che non solo
la
presenza e l'opera di Licio Gelli nella massoneria si risolvono sostanzialmente
nella sua gestione
della
Loggia P2, ma altresì che l'organizzazione e la consistenza di questa seguono
di pari passo la
storia
personale del suo Venerabile Maestro e le vicende che lo vedono protagonista,
al di dentro
come al di
fuori della istituzione. La costante relazione tra il personaggio e l'organismo
a lui
affidato,
che viene alla fine a risolversi in una sostanziale identificazione,
costituisce non solo,
come
vedremo, un valido strumento ìnterpretativo ma si pone altresì come fonte di
preziose
considerazioni
in sede conclusiva.
Il punto
di partenza di questa duplice vicenda, dopo i prodromi descritti, va fissato
con l'inizio
della Gran
Maestranza di Lino Salvini (1970), il quale, tre mesi dopo la sua elezione,
delegava al
Gelli «la
gestione» della Loggia P2, conferendogli altresì la facoltà di iniziare nuovi
iscritti.
Provvedimento
questo del tutto inusitato nell'istituzione massonica, essendo il potere di
iniziazione,
a norma degli statuti, esclusivamente riservato al Gran Maestro e ai Maestri
Venerabili,
o in caso di loro impedimento, a chi già aveva ricoperto tali cariche.
Nel
settembre dell'anno successivo il Salvini provvedeva quindi a nominare Licio
Gelli «segretario
organizzativo della Loggia P2», incaricandolo di «voler predisporre uno studio per la ristrutturazione della
stessa»; ed a tal proposito è interessante rilevare che, pochi
mesi dopo (19 novembre 1971), Salvini
si
esprime, in una lettera a Gelli, nei termini seguenti: «prima che le cose entrino in funzione, avremo
un faticoso lavoro di assestamento per i
residui della passata gestione».
I dati
esposti si prestano ad alcune osservazioni di rilievo non secondario. E’ d'uopo
innanzi tutto
osservare
che la carica di segretario organizzativo non è compresa in alcun modo tra
quelle
componenti
il «Consiglio delle luci» (dirigenti della loggia) ed è appositamente
escogitata da
Salvini
per attribuire un incarico fiduciario e personale a Licio Gelli nell'ambito
dell'organismo
che, da
quel momento, assume connotati di spiccata personalizzazione anche nella
denominazione,
che diviene quella di «Raggruppamento Gelli - P2».
Assistiamo,
in buona sostanza, con le iniziative esposte al concreto inserimento di Gelli
nella
Loggia P2;
ed è interessante notare come esso si accompagni ad una prima ristrutturazione
dell'organizzazione,
realizzata al di fuori dell'ortodossia statutaria. E’ questo il primo esempio
concreto,
secondo il rilievo esposto in premessa, del peculiare incardinamento di Licio
Gelli nella
Loggia
Propaganda e della circostanza che esso si accompagna immediatamente ad un
intervento
che incide
non marginalmente nelle strutture e nella natura stessa della Loggia.
Va in
proposito sottolineato come questa operazione contrassegni la Gran Maestranza
del Salvini
sin dal
suo primo esordio; ed appare significativo come lo spiccato interesse del nuovo
Gran
Maestro
verso i «fratelli coperti» non si esaurisca con l'adozione dei provvedimenti
studiati,
poiché,
nel 1971, il Gran Maestro firma la bolla di fondazione di un'altra
organizzazione coperta, la
Loggia P1,
che nelle intenzioni del Salvini doveva essere ancor più segreta ed elitaria:
di essa
infatti
avrebbero potuto far parte solo coloro che nell'amministrazione dello Stato
avessero
raggiunto
il grado quinto. Criterio, questo, di proselitismo sufficientemente rivelatore
della reale
natura di
questi organismi. Non è dato allo stato attuale della documentazione esprimere
un
avviso
definitivo sull'esistenza di questa organizzazione, ma quello che più conta è
rilevare che nel
mentre
Salvini dava avvio ad un processo di sostanziale spossessamento da parte del
Grande
Oriente
della Loggia Propaganda, tentava di costituire o meglio ricostituire
nell'ambito della
comunione
una struttura analoga a quella che aveva ceduto in delega a Licio Gelli.
Il senso dell'operazione appare ancor più
chiaro quando si pensi che pochi mesi dopo il
provvedimento concernente la Loggia
Propaganda Uno il Salvini aveva, durante una seduta
della Giunta esecutiva del Grande Oriente,
esternato le sue crescenti preoccupazioni per quanto
stava accadendo nella Loggia P2, per il gran
numero di generali e colonnelli affidati ad un
uomo come Licio Gelli, che, a detta del Gran
Maestro, stava preparando un colpo di Stato.
A
completare il quadro descritto va ricordato che sempre nel luglio del 1971
Gelli aveva affermato,
di fronte
a Benedetti e Gamberini, di avere «la possibilità di girare l'interruttore e di
rovinarlo»
(Salvini)
- vedremo in seguito la conseguenza di questo episodio - e va infine rilevato
che Gelli
pervenne
ad entrare nel progetto salviniano della Loggia P1, facendosi in essa
riconoscere
l'incarico
di Primo Sorvegliante.
Il
complesso dei dati offerti all'attenzione e le vicende che attraverso essi si
dipanano consentono
al
relatore di fornire un quadro abbastanza preciso dei rapporti che sin
dall'inizio si instaurano tra
Licio
Gelli e Lino Salvini e, tramite questi, tra Licio Gelli e il Grande Oriente.
Grazie al successore
di
Giordano Gamberini, Gelli compie infatti un sostanziale secondo passo in avanti
nella
comunione
giustinianca, che gli consente questa volta, dopo i primi progressi iniziali
dianzi
esaminati,
di entrare direttamente in armi nel cuore più riposto dell'istituzione, la
Loggia
Propaganda,
dando avvio ad un processo di appropriazione personale della sua più tutelata
ed
efficiente
struttura di intervento nel «mondo profano».
In realtà
il carteggio Ascarelli-Gamberini ci mostra che Gelli non solo aveva avallato il
proprio
ingresso
in massoneria ed il suo successivo passaggio alla Loggia P2 dimostrandosi in
grado di
avvicinare
e reclutare «gente qualificata»1,
ma altresì di avere sin dall'inizio piani precisi di ampia
portata in
materia di organizzazione delle strutture massoniche. La rapida ascesa,
agevolata dal
Gamberini,
porta Gelli, nel giro di pochi anni e attraverso posizioni di rilievo
strategico, a
pervenire
al centro della comunione di Palazzo Giustiniani e vede come esito conclusivo
di questa
prima fase
il provvedimento ricordato con il quale il Salvini delega al Gelli la funzione
di
«rappresentarmi presso i Fratelli che ti ho affidato, prendere contatto
con essi, esigere le quote di capitazione,
coordinare i lavori, iniziare i profani ai
quali è stato rilasciato regolare brevetto».
Una delega
di poteri di così vasta portata illumina meglio di ogni altra considerazione la
posizione
affatto
speciale che Licio Gelli viene ad occupare nella massoneria, per consapevole
volontà dei
massimi
responsabili della comunione, i quali, attraverso successivi provvedimenti,
consegnano la
Loggia
Propaganda ad un elemento che dimostra sin dagli esordi di avere idee ben
precise
sull'impiego
al quale si può pervenire di uno strumento di tal fatta.
La Loggia
Propaganda è in questa prima fase un organismo contrassegnato da una
connotazione
di
accentuata riservatezza che confina (se non probabilmente rientra) con una
situazione di vera e
propria
segretezza. Licio Gelli non solo procede ad accentuare tali caratteristiche -
come si evince
dalla
circolare 20 settembre 1972 nella quale viene data notizia che «con
l'elaborazione degli
schedari
in codice, è stata ultimata l'organizzazione della nuova impostazione,
adeguandola alle
più
recenti esigenze» - ma soprattutto dà all'organizzazione un nuovo impulso di
attività. Così nel
medesimo
testo è dato leggere: «Nonostante il nostro Statuto non preveda
riunioni, a seguito di
sollecitazioni pervenute è stato disposto un
calendario di incontri fra elementi appartenenti allo stesso
settore di attività».
Un'azione
questa di vasto respiro che il Gelli porta avanti in piena intesa con la Gran
Maestranza
del Grande
Oriente, come ci dimostra a sua volta la circolare con la quale Lino Salvini comunica
agli
iscritti: «Sono lieto di informarti che la P2 è stata
adeguatamente ristrutturata in base alle esigenze del
1 Lettera
dell’11 agosto 1966.
2 Circolare
in data 11 dicembre 1972.
momento oltre che per renderla più
funzionale, anche, e soprattutto, per rafforzare ancor più il segreto di
copertura indispensabile per proteggere
tutti coloro che per determinati motivi particolari, inerenti al loro
stato, devono restare occulti. Se fino ad
oggi non è stato possibile incontrarci nei luoghi di lavoro, con questa
ristrutturazione avremo la possibilità ed il
piacere, nel prossimo futuro, di avere incontri più frequenti, per
discutere non solo dei vari problemi di
carattere sociale ed economico che interessano i nostri Fratelli, ma
anche di quelli che riguardano tutta la
società».
La
Commissione ha agli atti il verbale di una di queste riunioni. Da essa ci è
dato apprendere:
vanno
annoverati «la situazione politica ed economica
dell’Italia, la minaccia del Partito comunista
italiano, in accordo con il clericalismo,
volta alla conquista del potere, la carenza di potere delle forze
dell'ordine, il dilagare del malcostume,
della sregolatezza e di tutti i più deteriori aspetti della moralità e del
civismo, la nostra posizione in caso di
ascesa al potere dei clerico-comunisti, i rapporti con lo Stato italiano».
Inviando
il verbale della riunione agli iscritti che ad essa non avevano potuto prendere
parte, Licio
Gelli così
si esprime: «Come potrai osservare, la filosofia è stata
messa al bando, ma abbiamo ritenuto,
come riteniamo, di dover affrontare solo
argomenti solidi e concreti che interessano la vita nazionale»; ed
aggiungeva:
«Molti hanno chiesto - e non ci è stato possibile dar
loro nessuna risposta perché non ne
avevamo - come dovremmo comportarci se un
mattino, al risveglio, trovassimo i clerico-comunisti che si
fossero impadroniti del potere: se chiuderci
dentro una passiva acquiescenza, oppure assumere determinate
posizioni ed in base a quali piani di
emergenza».
Un'altra
circostanza di estremo interesse al fine di valutare il clima politico della
Loggia P2 in
questa sua
prima fase organizzativa - e la natura dell'attività attraverso essa condotta
da Licio
Gelli - è
la testimonianza di una riunione tenuta presso il domicilio aretino del Gelli
(villa Wanda)
nel 1973.
Partecipano a tale riunione il generale Palumbo, comandante la divisione carabinieri
Pastrengo
di Milano, il suo aiutante colonnello Calabrese, il generale Picchiotti, comandante la
divisione
carabinieri di Roma, il generale Bittoni, comandante la brigata carabinieri di Firenze,
l'allora
colonnello Musumeci, il dottor Carmelo Spagnuolo, procuratore generale presso la corte
d'Appello
di Roma. Licio Gelli si rivolse agli astanti, affermando che la situazione
politica era
molto
incerta; esortandoli a tenere presente che la massoneria, anche di altri Stati,
è contro
qualsiasi
dittatura di destra e di sinistra e che la Loggia P2
doveva appoggiare in qualsiasi
circostanza un governo di centro, il Venerabile invitava infine i presenti
ad operare a tal fine con i
mezzi a
loro disposizione e pertanto a ripetere il discorso ai comandanti di brigata e
di legione alle
loro
dipendenze. In questo contesto di discorsi fu altresì ventilata l'ipotesi di un
governo
presieduto
da Carmelo Spagnuolo, sulla quale, come sull'intero episodio, ci si soffermerà
più
diffusamente
in seguito.
Altra
riunione della quale è di un certo interesse, ai nostri fini, fare menzione è
quella tenuta il 29
dicembre
1972, presso l'Hotel Baglioni di Firenze, dallo stato maggiore della Loggia P2.
Dal
verbale
agli atti della Commissione, si evidenzia un'intensa attività organizzativa e
di solidarietà,
la
previsione di una articolazione in «gruppi di lavoro atti a seguire situazioni e
problemi attinenti alle
varie discipline di interessi», la proposta dell'invio «ad alcuni Fratelli di una lettera in cui si chiede di
voler fornire quelle notizie di cui possano
venire a conoscenza e la cui diffusione ritengano possa tornare
utile... le notizie raccolte, previo esame
di un non precisato "comitato di esperti" dovrebbero essere poi
passate all'Agenzia di Stampa O.P ».
Tale
ultima proposta non venne accettata per la decisa opposizione del generale Rosseti, uscito
poi dalla
Loggia P2 in aperta polemica con Licio Gelli.
I dati
proposti all'attenzione ed i documenti relativi consentono alla Commissione di
delineare in
termini
sufficientemente definiti il quadro di intenti e di attività entro il quale si
muove la Loggia
P2 durante
questa prima fase di espansione. Ci ritroviamo di fronte ad un'organizzazione
caratterizzata
da una forma di riservatezza - innestata con connotati accentuativi nell'ambito
della
riservatezza
rivendicata come propria dalla comunione di Palazzo Giustiniani - che evolve
verso
forme di
indubbia segretezza quale certamente denotano l'adozione di appositi codici per
gli
iscritti
nonché di un nome di copertura, «Centro studi di storia contemporanea», per
indicare
l'organismo.
La loggia
si muove comunque ancora nell'ambito della tradizione massonica e conserva
sostanziali
legami
strutturali ed operativi con l'istituzione che ad essa ha dato origine. Ne sono
testimonianza
la
presenza di un forte numero di militari - a due di essi, De
Santis e Rosseti, sono tra l'altro
assegnate
le funzioni di segretario amministrativo e di tesoriere - che s'inquadra nella
tradizionale
propensione
della massoneria verso tali ambienti, nonché il ruolo ancora centrale del Gran
Maestro
nella gestione della loggia, pur se esercitato in condominio con il personaggio
emergente
che
all'organismo ha dato nuovo impulso: il segretario organizzativo Licio Gelli.
Quello che
appare invece affatto nuova è l'accentuata connotazione politica
dell'organizzazione,
che, sotto
il profilo operativo, si rivela come in tutto dedita alla gestione e
all'intervento nelle
attività
«profane» inquadrate nell'ambito di una ben definita connotazione politica e
gestite ad un
livello di
impegnativo rilievo. A tal proposito è di primario interesse rilevare che la
Loggia P2,
formalmente e sostanzialmente strutturata
come loggia massonica, non conduce peraltro
nessuna attività di tipo rituale, quale correntemente esplicata dalle logge
massoniche; la vita della
loggia
infatti, «messa al bando la filosofia», si palesa del tutto incentrata nella
gestione della
solidarietà
tra affiliati e, in un più ampio contesto, nell'attenzione rivolta alle vicende
politiche del
Paese. Il
progetto politico sottostante a tale contesto organizzativo potrebbe apparire
informato ad
una
generica visione di stampo conservatore, di per sé non particolarmente
allarmante e
perfettamente
lecita, se non fosse accompagnata da due elementi meritevoli di particolare
attenzione.
Il primo è rilevabile nella posizione di rilievo assunta nella vita della
loggia da
elementi
di spicco della gerarchia militare, che divengono così destinatari dei discorsi
politicamente
contraddistinti in modo univoco tenuti nelle riunioni di loggia, secondo quanto
ci
documenta
la riunione tenuta ad Arezzo nel 1973: un dato questo che impone di prestare la
dovuta
attenzione a quelle che altrimenti potrebbero essere considerate banalità prive
di concreto
valore
politico.
La seconda
osservazione è relativa alla connotazione marcatamente antisistematica della
loggia, i
cui
affiliati svolgono un discorso che denuncia una posizione di critica
generalizzata nei confronti
di tutto
il sistema politico, sbrigativamente identificato nella formula
clerico-comunista, e delle
soluzioni
legislative che da esso promanano nei più vari campi: dalla magistratura alla
politica
sindacale,
dalla riforma dei codici alla riforma scolastica, che, si legge sempre nel
documento
citato,
avrebbe dovuto essere preceduta da un piano di riforme elaborato «non da politici, ma da
tecnici».
Lo
sviluppo della Loggia Propaganda nell'ambito della comunione di Palazzo
Giustiniani,
secondo le
linee tracciate, non mancò peraltro di provocare ripercussioni all'interno
della famiglia,
poiché le
iniziative di Salvini determinarono, sin dal primo momento, la reazione di un
gruppo di
dissidenti
interni che sotto le insegne della denominazione: «massoni democratici»,
raccolse la
parte
politicamente meno retriva della comunione giustinianea, conducendo una serrata
battaglia
contro la
coppia Gelli-Salvini. Questo gruppo esercitò una notevole influenza nel portare
a
conoscenza
dell'opinione pubblica fatti e trame destinati altrimenti a restare ignoti,
grazie alla
copertura
fornita dai vertici di Palazzo Giustiniani, anche se non è del tutto chiaro il
senso
dell'operazione,
poiché alcuni almeno degli oppositori di Gelli ne conoscevano i
trascorsi fascisti
sin dal
momento del suo ingresso in massoneria, che peraltro non vollero o non poterono
contrastare
in modo risolutivo.
I
cosiddetti «massoni democratici» si fecero promotori di due iniziative di
portata ufficiale
nell'ambito
massonico, decisamente avverse alla gestione Gelli: la prima era incentrata in
una
tavola di
accusa firmata da Ferdinando Accomero, membro della Giunta esecutiva del Grande
Oriente.
Il documento era relativo alle affermazioni del Gelli sul suo potere di ricatto
nei confronti
del Gran
Maestro Salvini, nonché alle attività di Gelli a danno dei partigiani,
durante la guerra
di liberazione. Il Salvini decise per un sostanziale non
luogo a procedere, non ritenendo colpa
massonica
i fatti addebitati e disponendo che gli atti del procedimento restassero
nell'archivio
personale
del Gran Maestro. La seconda iniziativa si sostanziò nella denuncia del «caso Gelli»,
effettuata
dal Grande Oratore, Ermenegildo Benedetti, nel corso di uno dei momenti più
significativi
della vita dell'istituzione: la Gran Loggia Ordinaria (1973).
Anche
questa seconda operazione non condusse peraltro a nessuna conseguenza immediata,
rimanendo
priva di eco nella comunione la denuncia effettuata in una occasione
particolarmente
solenne da
colui che ne era pur sempre uno dei massimi dignitari.
Il punto
che a tale proposito è da valorizzare è che mentre la requisitoria di Benedetti
non sortì
effetto
alcuno, ci è dato constatare che, nell'anno seguente (1974), il Grande Oriente
delibera di
prendere
le distanze dalla Loggia P2 e dal suo capo, Licio Gelli.
Sul
rilievo politico che quell'anno assume nella nostra storia ci si soffermerà più
diffusamente in
seguito,
ma rileviamo per il momento che in un anno che vede giungere al suo apice
quella che fu
definita la strategia della tensione, con gli episodi dell'Italicus e di Piazza della
Loggia, Lino
Salvini
confida al confratello Sambuco di ritenere opportuno non allontanarsi per l'estate da
Firenze
perché è stato informato da Gelli sull'eventualità
di possibili soluzioni politiche di tipo
autoritario.
Non si può
per il momento non sottolineare, salvo l'approfondimento successivo, che è
proprio a
chiusura
di una fase politica così travagliata e di un anno così denso di eventi
eccezionali che i
Maestri
Venerabili riuniti nella Gran Loggia di Napoli decretano la «demolizione» della
Loggia P2.
Come
questo voto rimarrà disatteso nella sostanza, è materia che verrà studiata
nella sezione
successiva;
l'elemento di grande interesse è la coincidenza riscontrabile tra eventi di
così grave
rilievo
politico ed il manifestarsi di una precisa volontà da parte dei rappresentanti
più qualificati
del
«popolo massonico» di sbarazzarsi di Licio Gelli, la cui presenza era ormai
avvertita, anche
all'interno
di Palazzo Giustiniani, come un peso ingombrante, per le sue collusioni con
eventi
politici
di segno inquietante.
Il voto
della Gran Loggia di Napoli denuncia, al di là di ogni dubbio, da un lato la
effettiva
consistenza
dei rapporti equivoci di Gelli e della sua loggia con
ambienti e situazioni fuori
della legalità politica, che verranno in seguito analizzati
diffusamente, dall'altro che tale realtà
non era
ignota all'interno della famiglia giustinianea, secondo una conoscenza che
certamente
coinvolgeva
in maggiore misura i vertici della comunità, ma che era comunque sufficiente a
rendere
avvertito il «popolo massonico» dei pericoli cui la «famiglia» poteva andare incontro
per
il peso
che in essa aveva acquistato il Venerabile Maestro della Loggia P2.
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