In queste ore i soliti miserabili stanno cominciando a infettare i social (specie sotto certi giornalacci di destra) sbavando bile, ignoranza e cattiveria pura contro la giornalista Cecilia Sala, imprigionata da otto giorni in un carcere iraniano.
“Se la tengano pure”.
“Si sta facendo le vacanze di Natale in carcere per scrivere il libro”.
“La Boldrini indossi il burka e vada a farla liberare…”
“Diamogli la Salis in cambio”.
E poi via delle solite sciocchezze da bar vomitate sotto le decine di notizie sull’arresto.
“Cosa ci faceva in Iran?”
Lavorava. Come tutti noi. Di mestiere fa la giornalista. E all’Iran ha dedicato libri, podcast, inchieste.
“Perché andare in un Paese dittatoriale? Se l’è cercata”.
Perché è questo che fanno gli inviati di guerra e nei teatri più pericolosi: documentare le dittature e le violazioni dei diritti umani e farle conoscere. Si chiama giornalismo.
“Dove sono ora le femministe?”
Dove sono sempre state e dove saranno sempre (quelle vere): ad alzarsi in piedi contro un regime liberticida e brutale contro le donne e a sostenere la liberazione di Cecilia Sala.
“E adesso chi paga?”
Nessuno. Donne e uomini di Stato sono al lavoro (giustamente in silenzio) per riuscire a liberarla con ogni mezzo e canale diplomatico. Ma, se fosse necessario, sarei ben felice che le nostre tasse fossero utilizzate per riportare in Italia una giornalista la cui unica colpa è quella di fare il proprio mestiere.
Non c’è cifra, invece, che possa ripagarci di tanta miseria.
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