giovedì 19 ottobre 2023

Nils Liedholm

 


C'era, in noi, la certezza assoluta che fosse il più bravo di tutti.

    Addirittura un libriccino, a celebrarlo: “Il calcio di Liedholm”... un'ottantina di pagine, carta bianca lucida quasi patinata, prezzo di copertina 3800 lire. E dentro, corredato da disegnini abbastanza ingenui, l'abbicci' del pallone;  l'esatta postura per battere un calcio d'angolo e per impostare un dribbling: come si anticipa l'avversario, e il modo corretto di stoppare il pallone o di portare il tackle. 

    Era scritto tutto lì, nero su bianco, in quell'epoca piena zeppa di teoria e di manuali. E di Liedholm ci si poteva fidare perchè, nel pallone, era quanto di più autorevole passasse il convento... Liedholm stava al calcio come le Giovani Marmotte stavano alla costruzione di palafitte nel bosco, Silvan ai trucchi con le carte e Nonna Papera alle torte di mele. 

     

     Bravo e saggio, il “Barone”. 

     Di quell'eleganza algida ma non distaccata, e quell'aureola di infallibilità che i giornalisti gli avevano cucito addosso, elevandolo di una spanna sul resto dei colleghi, ai quali ogni giorno era facile scoprire un difetto: non dico il Bearzot perennemente sulla graticola (trionfo di Spagna a parte), ma anche il Trap, che fischia come un mandriano, o Radice, con quello sguardo da allucinato... Castagner, poco autorevole, e Bersellini, troppo incazzoso: Marchesi, scoppiettante come un impiegato comunale, Mazzone poco più che un provinciale. Bagnoli tristissimo, Vinicio e Giagnoni ormai bolliti e “Picchio” De Sisti, al quale anche Oronzo Canà, della Longobarda, si sente in diritto di spezzare la noce del capocollo.

    Liedholm, invece, era perfetto, al di là del bene  e del male... Qualsiasi cosa dicesse, la diceva bene. Ogni mossa dava l'impressione di essere, in quel preciso momento, la migliore possibile. Le sue squadre potevano perdere per colpa dei calciatori in scarsa giornata, per la sfortuna, l'arbitraggio o per il vento. Mai per colpa sua: che, redivivo Napoleone,  le azzeccava regolarmente tutte.

    Mai una polemica, nemmeno la più piccola... In compenso, la capacità di trasformare l'acqua in vino: Di Bartolomei e Prohaska, che con la sua Roma “zonarola” sembrano quasi due fulmini da guerra. Chierico che vale Bruno Conti, Strukely che è la copia sputata di Falcao e Righetti che non ha niente da invidiare a Beckenbauer: Valigi, che in molti vorrebbero in Nazionale... Tassotti, che grazie a Liedholm “impara a giocare a pallone”. Maldera, che fluidifica come gli olandesi, Bigon “falso nueve” con trent'anni di anticipo: il povero Chiodi, che non la butta dentro nemmeno per sbaglio. Ma alla fine trova il modo di essere decisivo anche lui, nel Milan della “Stella”.


    Fu una favola, quella del Barone. 

    Talmente perfetta che per trovargli un difetto bisogna ritornare ai tempi da giocatore, quando (narra la leggenda) sono i suoi stessi tifosi ad applaudirlo due minuti filati per la soddisfazione di vedergli finalmente sbagliare un passaggio.

    Poi, arriva Roma-Liverpool, finale di Coppa: 30 Maggio 1984, e quell'appuntamento fallito con la storia sarà una specie di sliding door all'incontrario... Come se, in mezzo al bailamme di quei rigori, il grande Nils Liedholm avesse perso la bacchetta magica. E con lei, tutta quella carica taumaturgica che ne aveva fatto una specie di santone infallibile. 

    E infatti, la parabola si chiuderà poco tempo dopo: a Milano, dove Berlusconi ha una gran fretta di vincere, e si è innamorato di Capello e di Arrigo Sacchi, che viaggiano a velocità doppia rispetto al “Barone”. E per esonerarlo, deve ricorrere a una bugia pietosa.


   Il tempo è finito anche per Liedholm, che viaggia ormai per i settanta... Si ritirerà a Cuccaro, nel Monferrato, dove ha preso a produrre vini rossi tanto da diventarne un intenditore: lui che, fino ai quarant'anni, aveva bevuto solo latte.

   Morirà dimenticato, o quasi. Ma questo è il destino di tutti, ormai... Perchè il mondo non sa cosa farsene della memoria, e  ricordare qualcuno sembra una insopportabile perdita di tempo.

   

    Però Liddas, oggi, farebbe cento (e uno ) anni.

    E per quello che mi ricordo,  e che ho cercato di raccontare, era un protagonista. Non uno qualsiasi.

    E mi è piaciuto scriverlo.


Riccardo Lorenzetti

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