venerdì 31 ottobre 2014

Per le calotte glaciali il punto di non ritorno è superato

"Le nostre osservazioni danno oggi la prova che un largo settore della calotta glaciale dell’Antartico Ovest è entrato in una fase di arretramento irreversibile. Il punto di non ritorno è superato". Ecco ciò che ha dichiarato recentemente il glaciologo Eric Rignot, professore dell’Università di California, Irvine, le cui proposte sono riportate dal New York Time (1).
Il professore Rignot coordina un programma di ricerche sull’evoluzione dei sei chiacciai che si buttano nel Mar di Amundsen (riva occidentale del continente antartico). La regione ha la forma di una ciotola, aperta dalla parte dell’oceano. Lo zoccolo roccioso sul quale i ghiacciai avanzano è situato sotto il livello del mare e non presenta asperità significative, capaci di frenarli. Per il riscaldamento delle acque, lo strato di ghiaccio va assottigliandosi verso il bordo della ciotola. Per questo fatto, le masse di ghiaccio situate a valle accelerano il loro scivolamento verso le acque più profonde, che accelera la loro fusione e aumenta il rischio di rottura.

Da 1,2 a 4 metri
La calotte glaciale dell’Antartico Ovest raggiunge fino a quattro kilometri di spessore. I volumi dei ghiacciai coinvolti sono pertanto enormi. Secondo l’equipe del professore Rignot, da sola, la scomparsa dei sei ghiacciai studiati farà salire il livello degli oceani di 4 piedi (1,2 metri) in qualche secolo. Non è tutto: questa scomparsa destabilizzerà molto probabilmente i settori adiacenti della calotta, in maniera che il livello dei mari potrebbe alzarsi, alla fine, di circa 4 metri.
Queste conclusioni sono confermate da un altro studio, i cui risultati sono stati scoperti simultaneamente. Diretto dal professor Ian Joughin dell’Università di Washington, esso analizza uno dei sei ghiacciai della regione, Thwaites, uno dei più importanti. Secondo questa equipe di ricercatori, la scomparsa lenta di Thwaites è inevitabile e irreversibile. Anche se le acque calde si disperdono in una maniera o nell’altra, ciò sarebbe “troppo poco, troppo tardi per stabilizzare la calotta glaciale” secondo Ian Joughin. E aggiunge: "non c’è meccanismo di stabilizzazione".
In effetti, ho avuto l’occasione di spiegarlo, un giorno, poco prima dell’uscita di questi studi (2); il solo meccanismo capace di stabilizzare la situazione, e anche di rovesciare la tendenza, sarebbe una nuova glaciazione. Ora, secondo gli astrofisici, questa non interverrà che prima di 30.000 anni…

35 anni di messa in guardia
Le osservazioni di Rignot e Joughin vanno a confortare le messe in guardia lanciate da parecchi anni da altri specialisti. Gli autori dell’articolo del New York Time riportano anche che un primo avvertimento rispetto alla fragilità della calotta glaciale l’aveva lanciata fin dal 1978 John H. Mercer, glaciologo dell’Università dello Stato dell’Ohio. Secondo Mercer, il riscaldamento dovuto alle emissioni di gas serra faceva pensare ad una "minaccia di disastro".
Questo pronostico era stato molto contestato all’epoca. Ma dieci anni più tardi, e un anno dopo la morte di Mercer, il climatologo in capo della NASA, James Hansen, lanciava lo stesso avvertimento davanti ad una commissione del Congresso degli Stati Uniti. E ancora dieci anni più tardi, nel 2008, Hansen e otto altri scienziati pubblicavano in Sciences un articolo che analizzava nel dettaglio la minaccia evocata per la prima volta da Mercer.
Mercer arrivava alla sua conclusione da un ragionamento teorico fondato da una conoscenza profonda delle caratteristiche dell’Antartico Ovest. Hansen e i suoi colleghi vi arrivano interrogando i paleologhi. La loro dimostrazione era impressionante: 65 milioni di anni fa, la terra era senza ghiaccio; la glaciazione dell’antartico si è prodotta all’incirca 35 milioni di anni fa; a questo punto, una soglia fu superata, caratterizzata da parametri precisi in termini di irraggiamento solare, di albedo, e di concentramento atmosferico di gas a effetto serra; paragonando i valori stimati di questi parametri oggi e nel passato, gli autori concludevano noi stavamo probabilmente superando la soglia nell’altro senso…

La conferma dall’osservazione
La novità degli studi che escono oggi è che essi si basano su osservazioni e misure, e non su ragionamenti. Eric Rignot ha fatto ricorso a osservazioni dal satellite, mentre Ian Joughin ha concepito un modello matematico dell’evoluzione del ghiacciao Thwaites. Il fatto che questi metodi differenti portano a risultati concordanti con le spiegazioni teoriche e non lasciano alcun serio dubbio sull’estrema gravità della situazione. Niente permette tuttavia di sperare che i decisori ne tireranno le conclusioni.
Quanto alle cause, Rignot e Joughin confermano il meccanismo già messo in luce da altri ricercatori prima di loro: non è il riscaldamento dell’aria ma quello dell’acqua che provoca la dislocazione della calotta. I negazionisti climatici al soldo delle lobbies petrolifere e carbonifere saranno soddisfatte evidentemente di questo elemento per gridare alto e forte che il cambiamento climatico non c’entra niente. I ricercatori, da parte loro, legano i due fenomeni nella maniera seguente: l’atmosfera al di sopra dell’Antatartico è mantenuta a una temperatura molto bassa da venti violenti che girano intorno al continente: per il fenomeno del riscaldamento, la violenza di questi venti si accresce, perché il differenziale di temperatura tra l’antartico e il resto del globo aumenta; e la forza del vento provoca un movimento delle acqua che "tira" per così dire le acque più calde dei grandi fondi verso la superficie.

Ecosocialismo o barbarie: è vero!
Conviene precisare che le proiezioni avanzate sopra per quanto riguarda l’innalzamento del livello dei mari (1,2 m. e vicino ai 4m. nel giro di alcuni secoli) vengono considerati solo i sei ghiacciai studiati e la zona circostante l’Antartico Ovest. Ora, la fragilità delle calotte mina anche altre regioni, in particolare, la Groenlandia e la penisola antartica – la regione del mondo dove il riscaldamento (e qui, si tratta certo di riscaldamento dell’aria) è più rapido (0,5°C per decennio). I ghiacci accumulati in queste regioni, se dovessero sparire totalmente, equivarrebbero rispettivamente a sei e cinque metri di aumento del livello degli oceani.
Conviene ricordare anche che, secondo il professore Kevin Anderson, direttore di uno dei più prestigiosi centri di studio del cambiamento climatico (Tyndall Center on climate change Research) il ritmo attuale di aumento della concentrazione atmosferica in CO2 ci mette sulla strada di un riscaldamento di 6°C da qui alla fine del secolo. Secondo Anders Levermann, uno dei "lead authors" del GIEC, ciò corrisponderebbe a un aumento del livello dei mari di una dozzinali metri nei prossimi mille o due mila anni (3).
Conviene infine e soprattutto ricordare che i meccanismi capitalisti immaginati da più di vent’anni (Rio, 1992) dai neoliberali (indennità, quote, diritti di emissioni scambiabili, tasse, e altre "internalizzazioni delle esternalità" - che servono da pretesto a una gigantesca ondata di appropriazione delle risorse) sono stati e sono impotenti a ridurre la curva delle emissioni di gas a effetto serra: al contrario esse aumentano più veloci nel tornante di questo secolo!
Questa impotenza non può che aumentare in avvenire. Per fare fronte alla situazione di urgenza assoluta la cui realtà viene confermata dai ricercatori, bisognerebbe:
1) che le emissioni dei paesi sviluppati diminuiscano immediatamente di almeno l’11% ogni anno;
2) che i responsabili capitalisti del disastro siano costretti a finanziare un gigantesco piano mondiale di adattamento, includendo chiaramente la protezione delle zone costiere.
E’ insensato credere che degli obiettivi così ambiziosi possano essere raggiunti nel quadro del mercato. Non possono essere raggiunti che con la fondamentale rimessa in discussione dell’accumulazione capitalista e la pianificazione della transizione ecologica. Riuscire in questo democraticamente e nella giustizia sociale necessita almeno dell’appropriazione collettiva del settore dell’energia, dell’espropriazione del settore del credito, della soppressione delle produzioni nocive e inutili, della localizzazione delle produzioni (con priorità agricola) del libero accesso alle tecnologie verdi, di una nuova organizzazione dello spazio e della mobilità, così come della riduzione radicale del tempo di lavoro, senza perdita di salario, con assunzione compensatoria e ribasso dei ritmi di lavoro.
.
Fratelli umani che dopo ci vivrete...
Non è facile concludere questo articolo senza sprofondare nella escatologia catastrofista. Perché la catastrofe è là in verità. E' in marcia, inesorabile. Se Rignot e Joughin hanno ragione – e credere che loro abbiano torto sarebbe il colmo della farneticazione! - niente può arrestarla, è irreversibile… per 30.000 anni almeno. Per limitarla al massimo, tiriamo le conclusioni che s’impongono. Rifiutiamo il nichilismo misantropico dei cretini per cui il ritorno alla vera natura, è la natura senza l’essere umano. Denunciamo il cinismo criminale di quelle e quelli che preferiscono immaginare la fine del genere umano piuttosto che la scomparsa del capitalismo. Chiediamo agli scienziati di uscire dalla loro torre d’avorio e scendere nell’arena sociale. Suoniamo la campana senza tregua né riposo, nelle nostre associazioni, nei nostri sindacati, dappertutto.
L’alternativa anticapitalista, ecosocialista, non è una posizione "ideologica" ma una necessità obiettiva, imperiosa, inevitabile. Agiamo insieme per trasformare questa necessità in coscienza prima che sia troppo tardi. Altrimenti, non ci resterà altro che implorare il perdono dei nostri discendenti, alla maniera di Francois Villon:
«Frères humains qui après nous vivez
N’ayez le cœur contre nous endurci
Car si pitié de nous pauvres avez
Dieu en aura plutôt de vous merci»
________________________________________
Notes
[1] « Scientists Warn of Rising Oceans from Polar Melt », New York Times, May 12. http://www.nytimes.com/2014/05/13/s...
[2] Discorso al meeting della LCR, 11 mai. http://www.youtube.com/watch?v=TzR6...
[3] http://www.lcr-lagauche.org/plus-de...
http://www.lcr-lagauche.org/

Traduzione di Giovanni Peta


Alessandro in Lotta

Alessandro Verga

https://www.facebook.com/pages/Alessandro-in-Lotta/259125420891283?ref=ts&fref=ts

Nessun commento:

Posta un commento