venerdì 14 marzo 2014

Martone, io e Leopardi, la strada verso l'Infinito

Rapporto con Il giovane favoloso, teatro d'avanguarda e Pasolini, le mie radici




Mario Martone

Elio Germano Leopardi in film Martone

Mario Martone

(di Francesca Pierleoni)
Una lunga strada verso il colle dell'Infinito. Giacomo Leopardi, racconta all'ANSA  Mario Martone ''si è affacciato per la prima volta nel mio lavoro nel 2004 con lo spettacolo L'Opera segreta, in cui parlavo di tre artisti non napoletani che hanno trovato a Napoli ispirazione, Caravaggio, Anna Maria Ortese (proprio da un suo verso viene il titolo del film, ndr) e lui''. Poi nel 2011 ''allo Stabile di Torino mi avevano chiesto di portare in palcoscenico un grande testo italiano e io entrando in una libreria, dopo aver perso un treno, mi sono ritrovato fra le mani le Operette morali, un libro che ho sempre amato. Ho pensato subito fosse la scelta giusta''. 
Giacomo Leopardi ''ha a che fare con le illusioni e le disillusioni dell'animo, anche quelle di oggi. Sentire la vita che è in grado di trasmettere nonostante la sua sofferenza è un mistero che non ha fine. Io ora sto montando 'Il giovane favoloso' in cui parlo di lui, e sarei pronto a girare su Leopardi altri sette film... ma giuro che non lo farò".
   Il cineasta ha scelto come protagonista del film Elio Germano e nel resto del cast Valerio Binasco (Pietro Giordani), Michele Riondino (Antonio Ranieri), Massimo Popolizio (Monaldo Leopardi), Anna Mouglais (Fanny Targioni Tozzetti), Paolo Graziosi, Edoardo Natoli, Iaia Forte e Isabella Ragonese, nel ruolo di Paolina Leopardi. ''Dopo Noi credevamo tanti mi chiedevamo se fossi pazzo a voler fare un altro film sull'800 ma alla fine ha vinto la mia voglia di arrampicarmi su sentieri impervi'' spiega.
Per Martone ''Leopardi attinge al passato per guardare molto in avanti, è come se fosse precipitato in un tempo non suo''. Come regista fra teatro, opera e cinema, Martone si definisce ''un falegname, un uomo pratico. Reagisco continuamente a quel che accade nella realtà, in continuo dialogo con le tante disillusioni che abbiamo affrontato. Le continue trasformazioni della nostra società, stretta fra le contraddizioni, mi hanno catapultato all'indietro''. L'idea di raccontare il Risorgimento con Noi credevamo ''è venuta dopo l'11 settembre, da una riflessione sul terrorismo. Mi sono chiesto se avessimo mai fatto delle intifade. E allora inizi a scavare nel passato e il passato ti risucchia. Nei personaggi di quel tempo trovi quelli che hai intorno oggi''.
Se Leopardi rinvia a spunti di riflessione continua, ad influenzare direttamente il suo Martone ritiene sia Pasolini (''ogni regista italiano penso sia stato segnato in qualche modo dalla sua forza'') e ilteatro, quello d'avanguardia,  dei suoi inizi, nel 1977 ''a 17 anni a Napoli. Da allora ho continuato a muovermi in modo ondeggiante, con il mio primo film a 31 anni e la prima opera teatrale a 40,pensando sempre agli spettatori come parte integrante del mio lavoro''.  Il primo film, Morte di un matematico napoletano, ''l'ho fatto con pochissimi soldi, e con attori su un percorso comune, da Carlo Cecchi a Toni Servillo. Non ho voluto mi affiancassero, come allora si faceva, professionisti di esperienza, eravamo tutti agli inizi, o quasi, dal direttore della fotografia Luca Bigazzi al montatore Jacopo Quadri. Il senso era 'sbagliamo con le nostre mani'. Era anche un discorso generazionale, etico''. Martone parla anche di Paolo Sorrentino, napoletani entrambi, il primo classe '59, il secondo '70: ''La grande bellezza, un grande film che si muove con una strategia vincente nel raccontare le disillusioni della società italiana"

   (ANSA) 

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