24 marzo 1849
Carlo Alberto, ex re di Sardegna, fugge all'una del mattino diretto in Portogallo dopo aver abdicato in favore del figlio Vittorio Emanuele II.
A seguito della sconfitta militare patita dai Piemontesi a Milano e la firma con gli Austriaci dell'Armistizio Salasco, che siglato a Vigevano il 9 agosto del 1848 aveva sospeso la guerra per sei settimane, Carlo Alberto finisce al centro di aspre critiche provenienti sia da ambienti politici che da frange popolari e viene invitato ad abbandonare l'Alto comando rimuovendo i generali che avevano fallito nella campagna di Lombardia. Il Re però decide di rimanere a capo dell'esercito e date alle stampe la sua versione della campagna militare, rompe l'armistizio: stavolta però si riserva di affidare il comando delle operazioni al generale polacco Wojciech Chrzanowski e a seguito del rispetto delle clausole dell'armistizio (che prevedevano un preavviso di 8 giorni), il 12 marzo 1849 il Consiglio dei Ministri rompe ufficialmente la tregua. La Prima guerra d'indipendenza riprende ufficialmente il 20 marzo 1849. Il 22 Carlo Alberto giunge a Novara: Radetzky, forte di una maggiore superiorità numerica, muove per primo e attacca da sud nei pressi del borgo della Bicocca sorprendendo Chrzanowski che, nonostante il valore dei piemontesi e dello stesso Carlo Alberto che si batté in prima linea con il figlio Ferdinando, commette alcuni importanti errori tattici che trascinano l'esercito alla rovinosa sconfitta nella battaglia di Novara.
Tornato in città Carlo Alberto dichiara: «La Bicocca è stata perduta e ripresa tre o quattro volte, poi le nostre truppe hanno dovuto cedere… il generale maggiore [Chrzanowski] si è adoperato a tutto il suo potere, i miei figli hanno fatto tutto il loro dovere, il duca di Genova [Ferdinando] ebbe uccisi sotto di sé due cavalli. Ora ridotti entro la città, sulle mura, col nemico qui sotto e con l'esercito stremato, una ulteriore resistenza è impossibile. Occorre chiedere l'armistizio». Le condizioni imposte dall'Austria sono pesantissime: occupazione della Lomellina e della fortezza di Alessandria, nonché consegna di tutti i patrioti lombardi che si erano battuti contro l'Austria. Alle ore 21.30, accertata l'impossibilità di approntare una nuova azione di sfondamento verso Alessandria, il Re riunisce l’ultimo consiglio di guerra al quale partecipano tra gli altri i figli, e i generali Chrzanowski ed Alessandro e Carlo La Marmora, insieme al ministro Carlo Cadorna e comunica ai presenti la volontà di abdicare per salvare il trono e il Regno, nella speranza di ottenere dagli Austriaci delle condizioni di resa migliori: «La mia decisione - conclude - è frutto di matura riflessione; da questo momento io non sono più il re; il re è Vittorio, mio figlio».
Poche ore dopo la carrozza con a bordo Carlo Alberto, che sarebbe passato alla Storia con il poco lusinghiero soprannome di "Re tentenna" si dirige verso Orfengo al solo scopo di trovare riparo verso Occidente. Fermato ad un posto di blocco austriaco e fattosi passare per il conte di Barge, l'ex Re di Sardegna sfila via toccando nella sua fuga le località di Moncalvo, Nizza Monferrato, Acqui, Savona, Ventimiglia e il Principato di Monaco, dove arriva il 26 marzo. A Nizza ottiene il passaporto che gli permette di viaggiare senza problemi attraverso la Francia e la Spagna. Meta del suo esilio è però il Portogallo: attraversa il confine a Caminha il 15 Aprile e giunge ad Oporto quattro giorni dopo. Resta in Portogallo fino all'ultimo dei suoi giorni dove muore il 28 luglio 1849 a poco meno di 51 anni.
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