ivoluzione in Vaticano: il nuovo pontefice chiamato a bonificare il governo della Chiesa
Antonio Sanfrancesco
Francesco come il poverello d’Assisi, l’alter Christus. Per portare il Vangelo ai confini del globo
Ogni ricostruzione sul Conclave è fatta per essere smentita (o rettificata) dal tempo ma una cosa è certa. Quello appena concluso è stato il primo Conclave dove i cardinali americani erano realmente favoriti e dove alla fine si sono rivelati decisivi per eleggere il Pontefice giocando un ruolo da kingmaker. Probabilmente è stata l’unica previsione della vigilia ad essere confermata nel chiuso della Sistina. Nei giorni scorsi si facevano i nomi degli statunitensi Dolan e O’Malley. È stato eletto invece un gesuita mite, l’italo-argentino Jorge Mario Bergoglio, 76 anni, che ha scelto un nome suggestivo: Francesco. In omaggio al Poverello d’Assisi, l’alter Christus, la più compiuta e straordinaria delle icone.
Una scelta contro il “partito” dei curiali romani? È una lettura possibile. Bergoglio non amava gli incarichi di Curia, li ha sempre rifiutati anche se, da buon gesuita, non ha mai considerato la struttura burocratica e gerarchica della Chiesa come qualcosa di inutile o, peggio, dannosa per il governo della Chiesa stessa ma indispensabile. Da purificare, certamente, ma non da abolire. Da snellire anche, senza però crociate pauperistiche. Il realismo, d’altra parte, è la prima virtù del cristiano senza il quale il rischio è di scivolare sempre nell’ideologismo più miope.
I media si affrettano a dipingere Papa Francesco – fa un certo effetto pronunciare questo nome! – come un anti Ratzinger, lo “sfidante” che nel 2005, secondo le ricostruzioni di molti vaticanisti, contese a Benedetto XVI l’elezione al Soglio pontificio. Il testa a testa ci fu sicuramente ma dal punto di vista dottrinale e d’approccio la distanza tra i due non agli antipodi come potrebbe apparire a una lettura superficiale.
Bergoglio nelle prime parole da Papa si è presentato come vescovo di Roma e, cosa assolutamente inedita nella storia della Chiesa, ha citato il cardinale vicario Agostino Vallini, accanto a lui, con il quale, ha detto, collaborerà nella guida della diocesi capitolina. «I fratelli cardinali dovevano scegliere un vescovo di Roma e lo hanno preso dalla fine del mondo», ha detto scatenando l’applauso della folla. Il ministero di Pietro, dunque, è quello di essere anzitutto pastore. Papa Ratzinger dal suo stemma papale tolse il triregno, simbolo della sovranità pontificia, per sostituirlo con quello episcopale della tiara. Un segnale chiaro. Il Papa, come tutti i pastori della Chiesa, non deve regnare ma confermare nella fede il popolo a lui affidato, ammaestrarlo, mostrargli il volto misericordioso del Padre. Il come dipende dal carisma di ognuno. Con la semplicità e l’umiltà per Bergoglio che ha scelto il nome, suggestivo ma impegnativo, di Francesco. Con i gesti dirompenti per Giovanni Paolo II. Con la profondità del pensiero per Benedetto XVI.
Certo, l’aspetto del governo non è secondario. Specie in questo momento dove la Curia romana, più che agevolare il lavoro di Benedetto XVI, in molti casi è sembrato addirittura ostacolarlo. Ma per Ratzinger, giova ribadirlo, il governo in senso stretto non era la sua priorità. Occorreva mettersi in gioco, parlare al cuore e all’intelletto dell’uomo moderno, riaffermare le ragioni della fede. E tutto questo non si poteva prescindere dal farlo in uno spazio pubblico e nella dimensione politica. L’impressione è che anche per Papa Francesco sarà questa la priorità del pontificato: portare il Vangelo sino agli estremi confini della Terra, rendere presente il volto di Cristo di cui in terra si è vicari all’umanità intera. Annunciare, come più volte ha ribadito anche Papa Benedetto, che essere cristiani è un dono che dà gioia.
Per fare tutto questo, però, occorre una Curia che protegga il Pontefice e non lo esponga a polemiche logoranti come è successo con Benedetto XVI. Ecco perché il pontificato “spirituale” di Francesco comincerà con un atto squisitamente di governo: la nomina del prossimo Segretario di Stato, il punto nevralgico del potere politico e diplomatico della Chiesa da cui dipende anche la sua immagine internazionale. Sarà italiano? La regola non scritta, e sempre applicata negli ultimi decenni, vuole così. Ma in questi ultimi tempi la Catholica ci ha abituati a molte sorprese. Segno che davvero lo Spirito soffia dove vuole e non si fa imprigionare dai calcoli umani. Per fortuna.
http://www.linkiesta.it/Francesco-contro-curia-romana#ixzz2NVPdyAL2
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