FONTE ORIGINALE: www.corriere.it di Alessandro Trocino
Davanti ai suoi parlamentari appare più mogio del solito, per comprensibili ragioni familiari. «È teso anche perché sente molto la responsabilità del momento», dice uno degli intervenuti. Ma sono molto le ragioni che mettono a dura prova l’abituale verve di Beppe Grillo. Il difficile momento politico, un successo imprevisto che rischia di rendere incontrollabile il movimento e una compattezza tutta da costruire per uno dei gruppi più eterogenei mai visti in Parlamento. Lo dice lo stesso Grillo ad alcuni dei suoi parlamentari: «Almeno il 15 per cento di voi potrebbe tradirmi, l’ho già messo nel conto».
Timori più che giustificati, visto che la pressione, anche degli stessi elettori del Movimento a 5 Stelle, chiama a un’assunzione di responsabilità che Grillo e Casaleggio vogliono assolutamente rimandare. La strategia prevede il lento logoramento del Pd. Il tentativo iniziale era quello di farlo cadere nell’imbuto di alleanze sgradite al suo elettorato, per poi lucrare consenso elettorale. Strategia che sarebbe stata più efficace se il movimento non fosse stato travolto da una valanga di voti, rendendolo sostanzialmente indispensabile a un qualunque governo. Dalla segreteria del Pd negano con veemenza qualunque «inciucio»: «Mai e poi mai ci sarà un accordo con il Pdl, Grillo se lo metta bene in testa: la responsabilità di dire no se l’assume lui di fronte al Paese».
Per questo, i grillini hanno cambiato tattica in corsa. Ieri hanno puntato a rendere ininfluente Bersani e il suo Pd, escludendo dal novero delle ipotesi un «governo dei partiti». E condendo il tutto con un’apertura, tutta da verificare, al «governo tecnico», fatta dal nuovo capogruppo del Senato Vito Crimi. Proprio ieri Claudio Messora, blogger vicino al Movimento, ha suggerito il nome di Stefano Rodotà come premier. Ma Crimi va oltre e si spinge fino a non escludere un Monti bis: «Valuteremo». Chiaramente una boutade, visto che il Movimento nasce in radicale alternativa a Monti, non solo al «governo dei partiti». False aperture che, secondo molti, hanno lo scopo di attirare i partiti nella trappola del logoramento.
Se il capo dello Stato desse comunque un incarico, di fronte a un no ufficiale dei leader, i parlamentari a 5 Stelle si potrebbero spaccare. È l’ossessione di Grillo di questi giorni. Che non basti «la demolizione dell’ego», come la definisce un «cittadino» parlamentare. Non a caso, l’altro giorno Grillo ha messo sotto accusa l’articolo 67 della Costituzione, quello sul vincolo di mandato, considerato il padre di ogni trasformismo: chi tradisce deve essere «perseguito penalmente e cacciato a calci». E non è un caso che pochi giorni fa lo stesso Grillo abbia accusato preventivamente i Democratici di «mercato delle vacche»: «Sono volgari adescatori».
Tutti i neoparlamentari giurano che non accadrà, che nessuno tradirà il mandato popolare. Ma il popolo grillino è diviso e nessuno sa cosa può accadere nella testa e nel cuore dei 163 parlamentari, quasi tutti personalmente sconosciuti a Grillo e Casaleggio. Ma anche il pacchetto proposto dal Pd non soddisfa. Per l’avvocato Mario Giarrusso si tratta di «otto punti scarsi, se non provocatori».
Se la compattezza dei parlamentari è una delle preoccupazioni maggiori per Grillo, l’altra riguarda l’appeal nei confronti degli elettori. Presto si tornerà a votare e il M5S rischia di dilapidare il suo patrimonio di credibilità. Per questo Grillo, di fronte alla rincorsa del Pd sui suoi temi, vuole alzare l’asticella. E ieri diceva ai parlamentari: «Non bastano i 2.500 euro che vi siete tagliati dall’indennità, dovrete rinunciare anche a una parte di rimborsi e diaria». Che fanno comunque schizzare lo «stipendio» dei neoparlamentari a oltre 11 mila euro.
Quanto all’immagine, ci penserà Gianroberto Casaleggio a comunicare. Anche se in assemblea ha spiegato: «Io non prenderò un euro, sia chiaro. Ho già querelato otto giornalisti che lo hanno scritto. Aiuterò gratis nella start up e creerò uno staff che sarà a disposizione dei capigruppo. Poi mi farò da parte».
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