È possibile che il Senatur e Maroni stiano recitando la strategia della doppiezza
Salvatore Merlo
Bobo teme che la Lega scompaia alle prossime elezioni, dunque vuole impedire il voto anticipato
Roberto Maroni e Umberto Bossi
Alla fine non se ne farà niente, perché il Pd - area Bersani - stamattina pare abbia mandato tutto per aria, ma la storia merita di essere raccontata. Umberto Bossi sta per lasciare la Lega, ha minacciato di costruire con gli ultimi fedelissimi un "partito del nord". La storia è verosimile, circola nella Lega, nel Pd e persino - molto - nel Pdl lombardo. Il leader carismatico, il fondatore monumentalizzato e già messo da parte da Roberto Maroni, ha avuto un confronto durissimo con il suo ex delfino che ieri notte ha formalizzato un’offerta al Pd di Pierluigi Bersani: pur di non tornare alle urne anticipate siamo disposti a farti avere la prima fiducia in Parlamento.
La paura di Maroni è che la Lega scompaia alle prossime elezioni, e dunque vuole impedire che tutto precipiti verso il voto anticipato: «Ho bisogno di una legislatura che duri, preferibilmente cinque anni come il mio governo in Lombardia». Bossi, ammalato ma sempre in contatto con Silvio Berlusconi, considera questa linea una "pazzia" e ieri pomeriggio, a Roma, lo ha spiegato praticamente a tutti i giornalisti di Montecitorio. Bossi non vuole la rottura definitiva con Berlusconi, frattura che sarebbe inevitabile nel caso in cui la Lega, come tanto tempo fa, tornasse "costola della sinistra".
E fino a qui il racconto che si tramanda negli ambienti del centrodestra. Ma la storia ha alcuni passaggi oscuri, e si presta a parecchi retropensieri. È davvero possibile che Maroni si spinga a rischiare la tenuta del suo governo in Lombardia, governo che si regge con i voti del Cavaliere, per votare Bersani? Non è forse più logico (malizioso e dunque in definitiva estremamente politico) immaginare che il Cavaliere stia autorizzando Maroni a trattare perché anche lui non vuole le elezioni ma non può porgere esplicitamente una mano a Bersani?
Sembrerebbe inoltre logico che - proprio come ai vecchi tempi - Bossi e Maroni stiano recitando la strategia della doppiezza: i due vecchi amici fingono di litigare, ma si muovono in realtà d'accordo, come un corpo unico. D'altra parte Maroni dipende troppo dalla forza politica di Berlusconi per poterlo sfidare, e non solo perché assieme governano Piemonte, Veneto e Lombardia. Difatti anche alla Camera la Lega, per costituire un gruppo parlamentare (e avere un gruppi significa accedere a dei rimborsi, finanziamenti, uffici e rappresentanza), ha bisogno fortissimamente del Cavaliere che già ha promesso il passaggio di due deputati del Pdl nella file della Lega. Quanto a Berlusconi, il Cavaliere non vuole votare perché rischierebbe, in caso di elezioni autunnali, di non essere più elegibile (rischia una condanna in cassazione nel processo Mediaset). Ma d'altro canto ha capito bene che la sinistra, vittima della sindrome da inciucio, non ha la forza di accettare un rapporto di larghe intese con lui. Difronte a questo bivio, la scelta è semplice: avanti Maroni.
http://www.linkiesta.it/lega-bossi-maroni-pd#ixzz2NissHPYm
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