lunedì 20 gennaio 2014

SACCOMANNI PROPONE LA SVENDITA DI STATO. INCREDIBILE, VERO?

Il 15 febbraio del 2013 scrivevo: “…Siccome dal 1992 in poi, con la scusa della corruzione e del risanamento, fu svenduto gran parte del patrimonio italiano per la gioia di advisor come Goldman Sachs e compratori in stile “capitani coraggiosi”, pare che oggi si stia ripentendo quel logoro copione. In Italia restano ancora da spolpare bocconi prelibati come Finmeccanica, Eni e Enel. Le parole d’ordine per depredare gli italiani sono le stesse di allora: “privatizzare per risanare il debito” (che per inciso, nonostante la ricca svendita, è rimasto pressoché immutato), “moralizzare attraverso l’estromissione della politica dall’economia”, “migliorare la competitività zavorrata dall’approccio clientelare dei partiti”. Con queste storielle per bambini, cari italiani, i vari Amato e compagnia vi hanno già abbondantemente fregati in tempi lontani. Ora è cominciato il secondo tempo di quella luciferina partita. Ma, cari miei, se dopo avere avuto venti anni per comprendere le vere finalità delle gloriose privatizzazioni all’italiana, che non hanno portato alcun beneficio alla collettività, siete ancora pronti a farvi raggirare da questi attori farabutti che recitano il solito vecchio copione, allora significa che siete così allocchi da meritarvi le crescenti torture inflitte. Per parafrasare Talleyrand, infine, verrebbe da chiarire che, alla luce dell’esperienza passata, fidarsi oggi delle parole di Obama, Schauble e Monti è peggio che un crimine. E’ un errore.” (clicca per leggere )(*). Guarda caso oggi il ministro dell’economia Saccomanni, massone reazionario agli ordini del Venerabilissimo Maestro Mario Draghi, propone una sostanziale svendita dei gioielli di Stato per “abbattere la montagna del debito” (clicca per leggere)(**).Saranno pure astuti questi massoni elitari (da non confondere con i massoni democratici e progressisti) ma fantasia zero. Sono prevedibili come l’afa in estate. Per quanto banali e ripetitivi, però, i massoni reazionari che governano la Ue continuano a tenere saldamento in mano le leve del potere, imponendo, grazie alla complicità interessata dei grandi media, letture della realtà false e strumentali: contro la forza la ragion non vale. Imitando i vecchi telecronisti sportivi che ripetevano spesso il risultato della partita “a beneficio di quei telespettatori che si fossero messi in ascolto solo adesso”, riassumo obiettivi e priorità che la massoneria reazionaria ha indicato ai fantocci che “governano” (si fa per dire) l’Italia per conto terzi. 1) Ridisegnare la società in senso oligarchico attraverso politiche recessive che aumentino la povertà, distruggano il ceto medio e allarghino la forbice delle disuguaglianze. 2) Destrutturare la Stato sociale (colpire quindi pensioni, sanità e istruzione) adducendo una presunta insostenibilità del sistema nel suo insieme. 3) Svendere quel che rimane del patrimonio pubblico ai soliti amici e amici degli amici affinché trasformino i monopoli pubblici in monopoli privati a discapito della trasparenza del mercato e dell’interesse generale.Ricordate queste tre coordinate principali che vi ho appena segnalato perché rappresentano le linee guida che i padroni hanno consegnato a quel cameriere di Enrico Letta, paramassone che difende privilegi occulti e particolarissimi nel nome di una collettività saggiamente usurpata. Per i buoni servigi resi in passato, quando cioè ricopriva l’incarico di direttore generale del Tesoro, Mario Draghi è poi assurto a ben più gravose responsabilità(clicca per leggere)(***).  Preparatevi ad assistere ora ad uno scempio simile a quello verificatosi in Italia a cavallo tra la prima e la seconda Repubblica. Pochi Illuminati si riempiranno le tasche depredando lo Stato italiano grazie alla complicità di un manipolo di personaggi senza scrupoli che, così facendo, si garantiranno onori, prebende e ricchezze per generazioni. Il conto, per intero e senza sconti, lo pagherà oggi come allora il popolo bue. D’altronde, per i massoni elitari come Draghi e Saccomanni, la gran parte del genere umano è paragonabile a bestie che abbisognano soltanto del minimo per sopravvivere senza  mai impicciarsi di questioni importanti esclusivo appannaggio dei soliti noti. A furia di essere bastonate per puro sadismo, alla lunga, pure le pecore protestano. Gli italiani invece no. In molti, probabilmente, non vedono l’ora che il governo privatizzi pure l’aria per pagare in prospettiva un equo canone in proporzione all’ossigeno consumato. Magari diminuirà il debito pubblico e finalmente saremo tutti felici.   Nell’attesa auguro a tutti sogni d’oro.
Francesco Maria Toscano
http://www.ilmoralista.it/2013/07/19/saccomanni-propone-la-svendita-di-stato-incredibile-vero/
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OBAMA ELOGIA MONTI E RIVESTE SUBITO I PANNI DEL MEDIOCRE PAROLAIO

Non abbiamo fatto in tempo a goderci la prima relazione da autentico statista del rieletto presidente americano Barack Obama, che già ci siamo dovuti amaramente ricredere. Dopo un primo mandato presidenziale a dir poco scialbo, miope, incolore, incapace e inefficiente(clicca per leggere)(****), il primo presidente nero della storia degli Stati Uniti d’America sembrava finalmente pronto per il grande salto.  Durante un recente discorso tenuto di fronte al Congresso, Obama aveva finalmente abbandonato la vuota retorica che ha contraddistinto i suoi primi anni di governo, per delineare una piattaforma politica strategica, lungimirante e di ampio respiro (clicca per leggere)(*****): “Rilanciare il sogno americano di libertà, uguaglianza e pari opportunità, dare lavoro con un vigoroso piano di investimenti pubblici e aumentare il salario minimo…”, questo l’incoraggiante incipit dell’intervento presidenziale che esplicita chiare e opportune  influenze neokeynesiane. Ma, forse per il timore di avere pensato dopo tanto tempo una cosa giusta, Obama in meno di 24 ore è tornato ad indossare i panni del grigio parolaio che conoscevamo. In occasione dello sbarco in terra americana del nostro (fortunatamente per poco) Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, la Casa Bianca ha diramato un comunicato che fa ridere molto di più delle ricorrenti e sconce barzellette del cavaliere Berlusconi. Ecco la parte più esilarante della tragicomica analisi alle vongole: “L’ Italia ha fatto grandi progressi con il primo ministro Monti che ha intrapreso riforme ambiziose per rafforzare l’economia e giocato un ruolo decisivo per risolvere la crisi dell’eurozona. Il governo italiano ha intrapreso passi cruciali per affrontare le sue sfide economiche, compreso un forte sforzo per il risanamento del bilancio e riforme strutturali per rafforzare la competitività. Mantenere la spinta sulle riforme sarà importante specialmente per le misure focalizzate su competitività e crescita”. Qualcuno dica al distratto Presidente Obama che, “a furia di riforme per rilanciare la crescita”, l’Italia è sprofondata nella recessione più nera. Per non parlare della condizione pietosa della Grecia, massacrata dalle meravigliose politiche imposte nel Vecchio Continente da Monti e i suoi fratelli. L’èlite schiavista globale continua imperterrita a pensare di poter raggirare ancora per molto i popoli europei continuando a propinare vergognose menzogne per coprire condotte turpi e malevole. Come fa Obama a sposare in patria politiche espansive finalizzate a rilanciare la domanda interna e, contestualmente, dichiarare apprezzamento per le controriforme illiberali e screanzate di chi come Monti vuole violentare la civiltà occidentale aprendo le porte ad un nuovo indecente medioevo? Non coglie, caro Presidente, l’evidente illogicità di due posizioni antitetiche e inconciliabili? O, più cinicamente, ritiene che il popolo italiano, al pari di quello greco, portoghese e spagnolo, non meriti parole di verità e di giustizia? In entrambi i casi si tratta di comportamenti altamente mediocri e fortemente censurabili. Obama si è comportato come uno Schauble (clicca per leggere)(******) qualunque. Può darsi che tali uscite infelici del Presidente Obama siano il risultato dei consigli interessati di qualche cattivo consigliere. L’ambasciatore americano a Roma David Thorne, ad esempio, non passa giorno senza magnificare le meraviglie del montismo al potere. Perché lo fa? Cosa lo spinge a dipingere una realtà che è lontanissima dalla verità fattuale? Misteri che andrebbero rapidamente disvelati. In ogni caso, Obama farebbe bene a scegliere meglio i suoi collaboratori o, in alternativa, sarebbe il caso che studiasse in prima persona le reale incidenza di alcune riforme depressive, sadiche e inutili (tipo quelle avallate in Italia dal fenomeno Monti) sulla carne viva dei popoli mediterranei dell’area euro. A meno che, e il sospetto a questo punto diventa per forza lecito, l’idea di destrutturare definitivamente quel poco che resta dell’apparato produttivo italiano non sia in realtà obiettivo condiviso e mascherato dalle due sponde dell’Atlantico. Come avrete notato, per la gioia di  Monti, è tornato in Italia un clima degno di Mani Pulite. Siccome dal 1992 in poi, con la scusa della corruzione e del risanamento, fu svenduto gran parte del patrimonio italiano per la gioia di advisor come Goldman Sachs e compratori in stile “capitani coraggiosi”, pare che oggi si stia ripentendo quel logoro copione. In Italia restano ancora da spolpare bocconi prelibati come Finmeccanica, Eni e Enel. Le parole d’ordine per depredare gli italiani sono le stesse di allora: “privatizzare per risanare il debito” (che per inciso, nonostante la ricca svendita, è rimasto pressoché immutato), “moralizzare attraverso l’estromissione della politica dall’economia”, “migliorare la competitività zavorrata dall’approccio clientelare dei partiti”. Con queste storielle per bambini, cari italiani, i vari Amato e compagnia vi hanno già abbondantemente fregati in tempi lontani. Ora è cominciato il secondo tempo di quella luciferina partita. Ma, cari miei, se dopo avere avuto venti anni per comprendere le vere finalità delle gloriose privatizzazioni all’italiana, che non hanno portato alcun beneficio alla collettività, siete ancora pronti a farvi raggirare da questi attori farabutti che recitano il solito vecchio copione, allora significa che siete così allocchi da meritarvi le crescenti torture inflitte. Per parafrasare Talleyrand, infine, verrebbe da chiarire che, alla luce dell’esperienza passata, fidarsi oggi delle parole di Obama, Schauble e Monti è peggio che un crimine. E’ un errore.
Francesco Maria Toscano
http://www.ilmoralista.it/2012/11/07/barack-obama-ha-vinto-malgrado-tutto/
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Fabrizio Saccomanni: "Possibile vendere quote di Eni, Enel e Finmeccanica per ridurre il debito"

fabrizio saccomanni vendita

È da sempre considerata l'extrema ratio: mettere mano ai gioielli di famiglia, le grandi aziende a partecipazione statale, vendendo alcun quote per fare cassa. L'apertura, la prima da molto tempo a questa parte, è arrivata oggi da Fabrizio Saccomanni, che intervistato da Bloomberg ha spiegato che non è escluso che il Tesoro decida di cedere quote di società pubbliche - incluse Eni, Enel e Finmeccanica per ridurre il debito.
C'e anche l'ipotesi, ha spiegato Saccomanni nell'intervista televisiva a margine dei lavori del G20 di Mosca, di usare gli asset di queste aziende come collaterali. "Stiamo considerando questo - ha detto il ministro in un'intervista a Bloomberg - queste compagnie sono profittevoli e danno dividendi al Tesoro, così dobbiamo considerare anche la possibilità di usarle come collaterali per la riduzione del debito". "Ci sono un pò di idee che dobbiamo prendere in considerazione", ha proseguito Saccomanni. In particolare il ministro ha detto: "spero che prima della fine dell'anno possiamo avere chiara quale sia la nostra visione per una strategia compressiva per uno schema che consenta l'accelerazione della riduzione del debito".
Un dossier, quello delle privatizzazioni, che sarebbe già stato aperto dal governo nei giorni scorsi, come riferisce oggi La Stampa. In cima alla lista delle partecipate di cui lo Stato potrebbe cedere quote ci sarebbero Fincantieri, controllata da Cdp attraverso Fintecna, Ferrovie e Poste Italiane.
Wsj: "Eni venda Saipem". Un invito a dismettere parte dei suoi asset più importanti è arrivato anche dal Wall Street Journal, che in un commento dedicato ad Eni, e il fatto che abbia mantenuto il rating A da parte di S&P nonostante il downgrading dell'Italia spiega che l'azienda "dovrebbe essere meno italiana e un buon modo sarebbe quello di cedere Saipem perché la sua "proprietà senza controllo perpetua l'idea che la corporate governance" del gruppo "non è in grado di graffiare"
http://www.huffingtonpost.it/2013/07/19/fabrizio-saccomanni-vendere-quote_n_3621955.html?utm_hp_ref=italy
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LA SCOMMESSA DEL BRITANNIA

----------------------------------------------------------------- LA SCOMMESSA DEL BRITANNIA "Eppure gli spazi per privatizzare ci sono. Le perizie per portare Agip e Snam in Borsa sono quasi pronte: se tutto andra' bene, potremmo incassare anche 2.000 miliardi". 2 giugno 1992. A bordo del Britannia, il panfilo della Corona d'Inghilterra, un gruppo di manager ed economisti italiani discute con i banchieri britannici della prospettiva delle privatizzazioni nel nostro Paese. Una minicrociera di mezza giornata al largo di Civitavecchia attorno alla quale si sviluppera' la leggenda di un complotto per svendere l'industria pubblica italiana alla finanza anglosassone. In realta' il presunto regista del "complotto", il giovane direttore generale del Tesoro Mario Draghi, sul Britannia fa un breve discorsetto di circostanza e torna a terra prima ancora che lo yacht esca dal porto. Poi, tra una mousse di scampi e una esibizione della fregata Battleaxe in assetto di guerra, economisti come Mario Baldassarri e manager come il presidente dell'Ina Lorenzo Pallesi spiegano ai finanzieri inglesi che non c'e' da farsi illusioni: in Ita - lia non ci sono le condizioni politiche, economiche e giuridiche per avviare un consistente processo di privatizzazioni. L'unico fiducioso e' il presidente dell'Eni Gabriele Cagliari, che fissa il suo traguardo ambizioso a 2.000 miliardi. 25 ottobre 1997. Con la conclusione della vendita Telecom (ventiseimila miliardi incassati dal Tesoro, l'operazione piu' grossa mai conclusa in Europa), l'Italia conquista il record mondiale delle privatizzazioni: sui 460 miliardi di dollari del giro d'affari planetario di questo business negli anni '90, gli incassi complessivi realizzati da imprese italiane e dal Tesoro ammontano a circa 100 miliardi di dollari. Nel solo 1997 al Tesoro sono arrivati 32 miliardi di dollari, mentre nello stesso periodo le privatizzazioni spagnole hanno raggiunto i 10 miliardi e quelle francesi i 7,5. La Germania si e' fermata a due e mezzo. Nulla di miracoloso, visto che l'Italia partiva da una presenza dello Stato in economia di un'estensione che non ha pari in Occidente. Ma anche un risultato che solo cinque anni fa, quando il governo Amato apri' la strada delle privatizzazioni con la trasformazione degli enti come Iri, Eni ed Enel in societa' per azioni, sembrava un traguardo irraggiungibile. E invece in questi anni il 49 % del capitale Eni e' stato ceduto ai privati che hanno versato al Tesoro circa trentamila miliardi. Cifre che fanno impallidire le previsioni di Cagliari, nel frattempo scomparso tragicamente, dopo essere stato travolto da Tangentopoli. Il rimanente 51 % ancora in mano pubblica vale, alle attuali quotazioni di Borsa, circa 45 mila miliardi. Incassarli non sara' facile, visto il veto a ulteriori privatizzazioni posto da Rifondazione comunista. Oggi sulle privatizzazioni si volta pagina e, nel giorno in cui festeggiano un indubbio successo, i tecnici del Tesoro che hanno pilotato le cessioni subiscono gli attacchi piu' insidiosi: quelli dei partiti che vogliono intervenire maggiormente nella gestione delle politiche industriali e per il Mezzogiorno, fin qui seguite soprattutto dagli uomini di Ciampi. E anche quello della commissione governativa sulla pubblica amministrazione affidata dal ministro Bassanini a Gustavo Minervini. Mario Draghi, che qualcuno si ostina a dipingere come un giovane yuppie, intanto ha doppiato la boa dei cinquant'anni e ormai e' una salamandra in grisaglia. Di gente che chiede la sua testa ne ha vista passare tanta. Il primo fu Bettino Craxi, allora presidente del Consiglio, che nell'85 si infurio' con Draghi, in quel periodo direttore esecutivo della Banca mondiale a Washington, per non essersi opposto alla concessione di un piccolo mutuo al Cile di Pinochet. Nei primi anni al Tesoro gli attacchi gli sono venuti soprattutto da An, ma negli ultimi mesi i malumori sono cresciuti nella maggioranza. "Troppo il potere nelle mani di un azionista unico che controlla le ex Partecipazioni statali, le banche pubbliche, le Ferrovie, l'Enel e poi e' anche responsabile della gestione del debito pubblico e dell'impostazione della politica economica". E' questa l'accusa standard, alla quale di volta in volta si aggiungono altri rilievi: "In quale strategia di politica industriale cala le sue scelte di azionista?" e "Dove sono le strutture del Tesoro capaci ci analizzare realta' cosi' complesse e diversificate?". Nella recente crisi di governo e' stata Rifondazione ad alzare la voce, anche se Nerio Nesi ha smentito di aver proposto la sua sostituzione. Se e' per questo, il Prc ha anche negato di avere chiesto la testa di Tato' all'Enel: "Basta che rinunci alla privatizzazione, che ritrasformi la societa' per azioni in ente pubblico e potra' restare". Senza neppure passare per un campo di rieducazione. Anche i popolari, che ancora non si rassegnano allo smantellamento dell'Iri (cattedrale dell'industria targata Dc), tengono Draghi nel mirino. E il Pds? Non vuole cacciarlo, anche perche' sa che il superministro Ciampi non lo consentirebbe mai, ma vorrebbe ridimensionarne il potere. "Dopo cinque anni di confusione - ragionano nell'entourage di D'Alema -, nel sistema politico c'e' un nuovo centro di gravita': un partito di maggioranza relativa che intende pesare sulla politica industriale. Se ne devono rendere conto anche i tecnici che gestiscono partecipazioni del Tesoro nelle imprese industriali e finanziarie". Il Pds rispetta Draghi, cosi' come ha una grande considerazione per Ciampi. Dopo mesi di diffidenza e di contrasti sotterranei sulle nomine, si e' convinto che le scelte del Tesoro sono corrette e non violano le indicazioni del Parlamento. Ma al tempo stesso il partito di maggioranza relativa desidera contare di piu', anche attraverso il ministro dell'Industria Bersani, uomo di buonsenso ma che fin qui si e' relegato in un ruolo un po' "laterale". Nella nuova fase il ruolo del Tesoro - azionista tornera' di certo in discussione. Anche perche' l'assetto attuale era stato definito nel '92 per gestire una fase transitoria, quella appunto delle privatizzazioni. Se ora quel processo si arresta, probabilmente cambiera' anche l'equilibrio dei poteri. Ma se piu' politica industriale significa cedere al ricatto di Bertinotti rinunciando a dare realmente ai privati l'Eni o vuol dire favorire la scelta "diplomatica" di Air France come partner di Alitalia, allora forse e' meglio tenersi stretti i tecnocrati del Tesoro. Che mancheranno di grandi visioni strategiche ma che certo hanno posto fine non solo alla gestione clientelare e corrotta delle Partecipazioni statali, ma anche all'insana abitudine di sfornare piani d'investimento tanto faraonici quanto incapaci di produrre ricchezza. CONTINUA A PAGINA 5 CONTINUA DA PAGINA 1
Gaggi Massimo
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(26 ottobre 1997) - Corriere della Sera
http://archiviostorico.corriere.it/1997/ottobre/26/SCOMMESSA_DEL_BRITANNIA_co_0_9710261233.shtml
(****)
Obama ha vinto ma non è il caso di stappare lo champagne. Non che Romney fosse migliore, per carità, ma il primo mandato di Obama si è rivelato un completo fallimento. Gli americani hanno inteso riconfermare fiducia al primo presidente nero della storia degli Stati Uniti più per paura (dei repubblicani) che per amore. Lo spirito messianico che aveva accompagnato le scorse presidenziali ha lasciato il campo ad una sana e diffusa disillusione. Saprà Obama nel suo secondo, e ultimo, mandato svestire i panni del presidente al ribasso per cambiare coraggiosamente e in profondità il corso degli eventi? Spero di sì ma temo di no. Obama non è Roosevelt. E nemmeno gli somiglia vagamente.  A parte qualche buona iniziativa in materia sanitaria, il suo governo si inserisce perfettamente all’interno delle logiche che regolano la nuova governance globale. Le priorità buone per tutti, da destra a sinistra, da Oriente ad Occidente, sono sempre le stesse: controllo della spesa pubblica e ricerca ossessiva della famigerata “competitività”, concetto che i neoschiavisti declinano nell’accezione della ineluttabilità circa il mantenimento di bassi salari, poche tutele e niente diritti per la classe lavoratrice e meno abbiente. Nei confronti degli squali della finanza, poi, Obama si è già rivelato un agnellino. Tutti accusano gli “speculatori immorali” di avere determinato con le loro condotte criminali una crisi globale che attanaglia ancora l’intero Occidente. Ma nessuno si domanda quali politici imbelli hanno determinato le precondizioni giuridiche indispensabili perché ciò avvenisse. La legge bancaria del 1933, nota come Glass-Steagall Act, conteneva aspetti volti ad impedire la speculazione, grazie soprattutto alla chiara separazione tra le banche tradizionali e quelle di investimento. L’abrogazione di questa norma di civiltà è causa essenziale delle successive crisi economiche planetarie. E sapete quale “falco iper-liberista” ha deciso di far nuotare in mare aperto i pescecani della peggiore finanza? Reagan? No. Bush padre? Acqua. Bush figlio? Acqua. Bush cugino? Neanche. Va bene, basta scherzi, ve lo dico io: l’abominio si è consumato sotto la presidenza (non sotto il tavolo, lì c’era solo la Lewinsky) di Bill Clinton che, il 12 novembre del 1999, ha promulgato una legge nota come Gramm-Leach-Bliley-Act. Quello stesso Clinton preso a modello dall’attuale Presidente Obama. Insomma, è meglio non farsi troppe illusione. Per quanto riguarda la nostra stanca  e oppressa Europa, la fine delle elezioni americane potrebbe nell’immediato determinare contraccolpi pessimi e pesanti. Come tutti sanno, la massoneria reazionaria che devasta il Vecchio Continente ha utilizzato strumentalmente il grimaldello dello spread per imporre subdolamente riforme strutturali dal sapore neofeudale. Tutti gli asini del circuito main-stream italiano ed europeo hanno terrorizzato per più di un anno la pubblica opinione attraverso la sadica “altalena del differenziale “. Poi, improvvisamente, da qualche mese a questa parte, lo spread è scomparso dai giornali. Come mai? E’ morto? E’ scappato? L’hanno sequestrato? Nessuno sa dove sia finito. Semplicemente il 30 Luglio scorso il ministro del Tesoro statunitense, Timothy Geithner, è venuto in Europa per criticare fortemente le politiche volutamente recessive perseguite. In America sanno perfettamente che il panico da deficit, come osserva con precisione anche il premio nobel Paul Krugman, serve solo a smantellare lo Stato sociale (clicca per leggere)(*******), e non è facile prendere in giro Geithner quasi fosse una specie di Hollande o Samaras qualsiasi. Siccome le politiche di rigore e austerità, oltre a impoverire la maggior parte degli europei, rischiavano di condizionare la rielezione di Obama, in difficoltà a causa dell’aumento della disoccupazione nel suo Paese, causata anche dal naturale crollo della esportazioni americane verso l’Europa, Geithner ha imposto ai macellai di Bruxelles di darsi (contingentemente) una bella calmata. Ma ora che le elezioni sono finite, i torturatori possono finalmente riprendere quel cammino di sventura tatticamente interrotto. Tra un paio di giorni, potete starne certi, lo spread si sveglierà dal lungo letargo, crescerà a dismisura in preda all’eccitazione, consigliando, come è ovvio, di riprendere il cammino delle “riforme strutturali che tanto servono Paese”. Scommettiamo?
Francesco Maria Toscano
(******)L'OURTING

Obama e Merkel: votate Monti

Obama e Schauble, spot elettorale pro-Monti

Ingerenza della Casa Bianca e del ministro Schaeuble: il Prof ha fatto bene, si vada avanti così"

Ieri, giovedì 14 febbraio, l'Istat ci ha fatto sapere che la ecessione non si ferma, che il pil è calato del 2,2% nel 2012 e che il dato già acquisito per il 2013 è già   -1%. Non solo. Il 2012 è finito peggio di come è iniziato, con il IV  trimestre peggiore degli altri. Nonostante ciò, l'America e la Germania ingeriscono nella nostra campagna elettorale per dire: votate Monti
di Fausto Carioti 
La migliore conferma al fatto che la rimonta del centrodestra c’è e minaccia di mandare a monte scenari che si credevano già sicuri è arrivata ieri da Berlino e da Washington. A dieci giorni dal voto italiano, con una contemporaneità che sarà pure frutto della coincidenza, ma fa comunque pensare, il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schauble e la portavoce della Casa Bianca Caitlin Hayden, senza troppi giri di parole, hanno detto agli italiani che il voto giusto è quello per Mario Monti. Un’entrata a gamba tesa nelle vicende politiche di una democrazia amica del tutto irrituale e che si spiega in un solo modo: la paura che l’esito delle elezioni preferito dalle cancellerie internazionali, ovvero un governo frutto dell’alleanza tra Mario Monti e Pier Luigi Bersani (e se per fare quadrare i conti ci dovrà essere pure Nichi Vendola pazienza), non ottenga alle urne i numeri per realizzarsi. Colpa di Silvio Berlusconi e Roberto Maroni, e ovviamente anche di Beppe Grillo: è la loro crescita nei sondaggi a spaventare i governi stranieri. 
Lo spot più sfacciato è quello di Schauble. «Sarà un efficiente stratega elettorale Silvio Berlusconi. Ma il mio consiglio agli italiani», dice il ministro cristianodemocratico intervistato dall’Espresso, «è di non ripetere l’errore già fatto e di non continuare a votarlo». Meglio mettere la croce sul simbolo del loro amico: il disinteressato consiglio che ci dà Schauble è quello di «non ostacolare il cammino intrapreso da Mario Monti, perché quella della stabilità è la via migliore. Affermo senza alcun problema che sotto il governo Monti l’Italia è diventata più forte». Nel caso qualcuno avesse dubbi, Berlino promuove pure il segretario del Pd: «Bersani mi ha detto che lui vorrà proseguire il cammino iniziato da Monti e questo per me è  l’importante». Stessa musica viene suonata alla Casa Bianca. Hayden, parlando all’agenzia italiana Agi alla vigilia dell’incontro tra il presidente americano Barack Obama e il capo dello Stato italiano Giorgio Napolitano, loda l’operato del governo dei tecnici: «L’Italia ha fatto grandi progressi con il primo ministro Mario Monti, avendo intrapreso un ambizioso piano di riforme e avendo giocato un ruolo decisivo negli sforzi per risolvere la crisi europea». E avverte gli elettori del Belpaese che il lavoro del Professore deve proseguire: «È cruciale per l’Italia andare avanti su questa strada di riforme». 

http://www.liberoquotidiano.it/news/1184587/Obama-e-Merkel-votate-Monti-.html

(*******)Krugman: Panico da deficit usato per demolire programmi sociali
Paul Robin Krugman, Premio Nobel per l'Economia nel 2008, pubblica un interessante quanto inquietante articolo sul "New York Times" sul perché le politiche di austerity non hanno alcuna base pratica dal punto di vista economico e anzi, al contrario, sarebbero una motivazione di comodo per smantellare i programmi sociali su scala globale. Vale la pena di riportare integralmente quanto Krugman asserisce:
“Il tempo giusto per le misure di austerità è durante un boom, non durante la depressione”. Questo dichiarava John Maynard Keynes 75 anni fa, ed aveva ragione. Anche in presenza di un problema di deficit a lungo termine (e chi non ce l’ha?), tagliare le spese quando l’economia è profondamente depressa è una strategia di auto-sconfitta, perché non fa altro che ingrandire la depressione.
Allora come mai la Gran Bretagna (e l’Italia, la Grecia, la Spagna, ecc. NDR) sta facendo esattamente quello che non dovrebbe fare? Al contrario di paesi come la Spagna, o la California, il governo britannico può indebitarsi liberamente, a tassi storicamente bassi. Allora come mai sta riducendo drasticamente gli investimenti, ed eliminando centinaia di migliaia di lavori nel settore pubblico, invece di aspettare che l’economia recuperi?
Nei giorni scorsi, ho fatto questa domanda a vari sostenitori del governo del primo ministro David Cameron. A volte in privato, a volte in TV. Tutte queste conversazioni hanno seguito la stessa parabola: sono cominciate con una metafora sbagliata, e sono terminate con la rivelazione di motivi ulteriori (alla ripresa economica NDR).
La cattiva metafora – che avrete sicuramente ascoltato molte volte – equipara i problemi di debito di un’economia nazionale, a quelli di una famiglia individuale. La storia, pressappoco è questa: Una famiglia che ha fatto troppi debiti deve stringere la cinghia, ed allo stesso modo, se la Gran Bretagna ha accumulato troppi debiti – cosa che ha fatto, anche se per la maggior parte si tratta di debito privato e non pubblico – dovrebbe fare altrettanto. Che cosa non va in questo paragone?
La risposta è che un’economia non è come una famiglia indebitata. Il nostro debito è composto in maggioranza di soldi che ci dobbiamo l’un l’altro; cosa ancora più importante: il nostro reddito viene principalmente dal venderci cose a vicenda. La tua spesa è il mio introito, e la mia spesa è il tuo introito.
E allora cosa succede quando tutti, simultaneamente, diminuiscono le proprie spese nel tentativo di pagare il debito? La risposta è che il reddito di tutti cala – il mio perché tu spendi meno, il tuo perché io spendo meno.- E mentre il nostro reddito cala, il nostro problema di debito peggiora, non migliora.
Questo meccanismo non è di recente comprensione. Il grande economista americano Irving Fisher spiegò già tutto nel lontano 1933, e descrisse sommariamente quello che lui chiamava “deflazione da debito” con lo slogan:”Più i debitori pagano, più aumenta il debito”. Gli eventi recenti, e soprattutto la spirale di morte da austerity in Europa, illustrano drammaticamente la veridicità del pensiero di Fisher.
Questa storia ha una morale ben chiara: quando il settore privato sta cercando disperatamente di diminuire il debito, il settore pubblico dovrebbe fare l’opposto, spendendo proprio quando il settore privato non vuole, o non può. Per carità, una volta che l’economia avrà recuperato si dovrà sicuramente pensare al pareggio di bilancio, ma non ora. Il momento giusto per l’austerity è il boom, non la depressione.
Come ho già detto, non si tratta di una novità. Allora come mai così tanti politici insistono con misure di austerity durante la depressione? E come mai non cambiano piani, anche se l’esperienza diretta conferma le lezioni di teoria e della storia?
Beh, qui è dove le cose si fanno interessanti. Infatti, quando gli “austeri” vengono pressati sulla fallacità della loro metafora, quasi sempre ripiegano su asserzioni del tipo: “Ma è essenziale ridurre la grandezza dello Stato”.
Queste asserzioni spesso vengono accompagnate da affermazioni che la crisi stessa dimostra il bisogno di ridurre il settore pubblico. Ciò e manifestamente falso. Basta guardare la lista delle nazioni che stanno affrontando meglio la crisi. In cima alla lista troviamo nazioni con grandissimi settori pubblici, come la Svezia e l’Austria.
Invece, se guardiamo alle nazioni così ammirate dai conservatori prima della crisi, troveremo che George Osborne, ministro dello scacchiere britannico e principale architetto delle attuali politiche economiche inglesi, descriveva l’Irlanda come “un fulgido esempio del possibile”. Allo stesso modo l’istituto CATO (think tank libertario americano) tesseva le lodi del basso livello di tassazione in Islanda, sperando che le altre nazioni industriali “imparino dal successo islandese”.
Dunque, la corsa all’austerity in Gran Bretagna, in realtà non ha nulla a che vedere col debito e con il deficit; si tratta dell’uso del panico da deficit come scusa per smantellare i programmi sociali. Naturalmente, la stessa cosa sta succedendo negli Stati Uniti.
In tutta onestà occorre ammettere che i conservatori inglesi non sono gretti come le loro controparti americane. Non ragliano contro i mali del deficit nello stesso respiro con cui chiedono enormi tagli alle tasse dei ricchi (anche se il governo Cameron ha tagliato l’aliquota più alta in maniera significativa). E generalmente sembrano meno determinati della destra americana ad aiutare i ricchi ed a punire i poveri. Comunque, la direzione delle loro politiche è la stessa, e fondamentalmente mentono alla stessa maniera con i loro richiami all’austerity.
Ora, la grande domanda è se il fallimento evidente delle politiche di austerità porterà alla formulazione di un “piano B”. Forse. La mia previsione è che se anche venissero annunciati piani di rilancio, si tratterà per lo più di aria fritta. Poiché il recupero dell’economia non è mai stato l’obiettivo; la spinta all’austerity è per usare la crisi, non per risolverla. E lo è tutt’ora".
Paul R. Krugman
(Fonte "N.Y.Times")

http://www.ogginotizie.it/166442-krugman-aquot-panico-da-deficit-usato-per-demolire-programmi-socialiaquot/#.Utx5FtIuK1s

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