martedì 4 dicembre 2012

MODESTA LETTERA APOLOGETICA DI UN VERSEGGIATORE STRONCATO (2)


(...segue dal precedente post)
III
Gent. sig.ra S…, nella Sua stroncatura Ella ha rimproverato
ai miei versi* di essere ottocenteschi (per l'uso di troncamenti ed
inversioni, per un'eccessiva aggettivazione), banali nelle metafore
e "privi" di pensiero. Mi consenta di replicare.
STILE ANTIQUATO
Penso che se anche i miei versi fossero "ottocenteschi", non
vi sarebbe in questo nulla di male. Ritengo che una poesia dovrebbe
essere considerata bella o brutta. Ogni opera d'arte dovrebbe avere
un
valore intrinseco,
Ella non apprezza che i poeti contemporanei? I classici li accetta
forse solo "storicamente", in quanto "sa" che quelle cose sono state
scritte secoli fa e dunque può perdonare i loro "difetti"? Se, per
*[Affinché i lettori possano meglio valutare la materia del
contendere, segue "L'Incontro", una delle poesie proposta al giudizio
della poetessa S…:
Un uomo stanco un giorno // camminava per i campi // insieme
con la sua tristezza. // Vicino ad uno stagno // incontrò una
donna // pallida e bella, che gli sorrideva. // A lui nessuna così
aveva mai sorriso. // Parlarono. // Le raccontò della sua vita
grigia: // le poche gioie, sempre compromesse, // gli insopportabili
dolori, // sempre fino in fondo sopportati. // E le speranze grandi
della giovinezza // che, più e più deluse, // eran sempre risorte //
e fin lì, oggi, l'avevan trascinato. // "No, caro, male seguitasti //
quelle spemi fallaci. // Ma, infine, mi hai trovata". // Ed egli
lesse nei grandi occhi celesti // che era vero. // Concluso quel
peregrinare // della lunga sua passione // aveva trovato il porto. //
Quella donna e solo quella // avrebbe amato. // Volle
abbracciarla. // Ghermì i morbidi fianchi. // Ella sorridendo
chiese: // "Tu sai chi sono io?" // "Lo so." – rispose l'uomo -
// "Sei la mia buona morte".]
assurdo, venisse a sapere che sono state scritte ieri, "ipso facto"
smetterebbero di piacerle perché le si rivelerebbero in tutta la
loro "oggettiva" bruttezza?
Facciamo il caso che si scopra che le poesie di Isabella
Morra se le è inventate Benedetto Croce. Da quel momento Lei le
disprezzerebbe?
I troncamenti, le inversioni, l'aggettivazione sono intesi a
dare un certo colore, perché no, in un certo senso "arcaico" ai miei
versi. Ho cercato di percorrere a ritroso la famosa strada
della "sublimazione in prosa" a Lei tanto cara. Forse altri la
percorrono meglio di me ma, comunque, avevo la chiara intenzione di
USARE UNA LINGUA POETICA, UNA LINGUA "RICERCATA", NON PIATTA, UNA
LINGUA "CHE SI DISTINGUA". Credo che il gusto per questo tipo di
lingua stia rinascendo.
Quanto all'aggettivazione, mi scusi, che senso ha condannarla
in quanto tale? Sono il primo ad aborrire l'aggettivazione
ridondante, ma quando è appropriata, quando comunica informazioni
utili, essa dà forza e colore alle immagini, altro che indebolirle!
Siamo nella civiltà delle immagini, ci piaccia o no. Le
poesie esangui e monotone ai lettori di oggi appaiono più grigie del
grigio. Perché rinunciare a qualificare le immagini, "dipingendole"
agli occhi di chi legge?
BANALITA' DELLE METAFORE
Ritengo la critica immeritata, anzi, contesto il concetto
stesso dell'originalità a tutti i costi. Di tutto il Romanticismo
questo sembra essere l'unico pregiudizio che il Novecento abbia
voluto a tutti i costi assimilare, Non credo che essere "originali"
sia così fondamentale (e, comunque, esiste anche un
diffusissimo "conformismo dell'originalità").
MANCANZA DI PENSIERO
Questo appunto mi ha francamente sorpreso. Non si tratterà
semplicemente di pensieri che Ella non condivide? E poi, che cosa
intende per "pensieri" in poesia? Non credo tesi filosofiche. Queste
erano certo assenti nelle "poesie-lampo" alla giapponese di una
gentile signora che qualche tempo fa ci è stata da Lei presentata al
C… M… . Quanto poi ai "pensieri" presenti nelle opere di un
ragazzetto torinese da Lei ospitato forse all'inizio dell'anno
scorso, Le dirò questo: fra tutte le parole che componevano i versi
da lui letti non riuscii a concatenarne logicamente neanche due:
ognuna se ne andava ostinatamente per conto suo, refrattaria ad ogni
valore sintattico. Secondo me quei "pensieri" potevano essere
apprezzati solo da uno psichiatra. A proposito infine dei poetini
degli sgargianti Scheiwiller, è proprio certa che grondino tutti
pensiero?
Mi sorge il dubbio che Ella per "pensiero" intenda qualcosa
di diverso da quel che intende la gente comune. Per caso non sarà per
Lei "pensiero" quello che si avvicina al Suo ed "intellettualismo"
quello da cui dissente?
La mia impressione è che Ella, infastidita
dall'aria "ottocentesca" che spira dai miei versi, li abbia letti
superficialmente fino al punto di scambiare per banalità quello che,
me lo lasci dire, è anticonformismo. Nessuno osa più scrivere
sonetti. Ebbene, io scrivo sonetti. Nessuno osa più nominare l'amore
e la morte. Ebbene, io nomino l'amore e la morte. Sarò forse banale
rispetto ai poeti romantici ma certo sono originale rispetto ai miei
contemporanei ed è con questi che uno scrittore va confrontato. "Io"
sono un anticonformista. L'anticonformismo non è un diploma che, una
volta assegnato, si possa tenere orgogliosamente in cornice nel
salotto buono allo scopo di ostentarlo orgogliosamente, per decenni,
ad amici e simpatizzanti. Va conquistato giorno per giorno.
Oggi a tutti è permesso lo sperimentalismo più astruso
eccetto forse che a me? Si possono scrivere di una parola e mezza per
pagina (e con molte pagine!), poesie di cui nessuno in buona fede può
dire di capirci un'acca (nemmeno l'autore!), poesie non-poesie (e
programmaticamente tali!), però non si può scrivere una poesia con
qualche troncamento!
Sembra quasi la stessa sorte toccata al Vescovo Lefebvre
(ricorda?), scomunicato perché osava dire messa in Latino mentre
negli stessi anni c'erano teologi che, indisturbati, santificavano la
lotta di classe, preti che fiancheggiavano la guerriglia o
promuovevano le confessioni collettive.
IV
Per concludere, e mi scusi se tanto ho abusato del Suo tempo,
voglio precisare le linee della mia poetica.
Secondo me la poesia poggia sulla POTENZA DELLA PAROLA,
intesa come entità SPIRITUALE (di "SIGNIFICATO"!) e FISICA
(di "SUONO"!). Significato che deve essere espresso, COMUNICATO, per
raggiungere il fratello che ti ascolta, altrimenti la poesia nasce
morta, non serve a nulla. Suono che si arricchisce se pronunciato, se
drammatizzato, se assaporato senza paura, se non rimane solo sulla
carta ma impreziosisce l'aria del suo ritmo e della sua musica.
Io credo in una LINGUA DELLA POESIA, BELLA ED ELEGANTE,
RAFFINATA se occorre, LIBERA DI SPAZIARE NEI SECOLI DELLA NOSTRA
LETTERATURA.
Viviamo in tempi di eclettismo. Perché appiattirci in una
prosa pedestre quando riscopriamo ogni giorno di più a partire da
ogni forma d'arte visiva e plastica, attraverso l'architettura per
giungere fino all'oreficeria ed all'arredamento che tutto ciò che è
antico vibra di bellezza, è più bello, più caldo, più umano, più
vivibile?
Dunque COMUNICARE e comunicare con Parole belle e forti,
comunicare, però, per dire qualcosa.
Il tradimento della letteratura del Novecento è stato
l'abbandono della morale. A maggior ragione la poesia DEVE avere
VALORE MORALE. La poesia non può essere indifferente, solo
estetizzante, cinica, edonistica. La poesia non può essere "inutile"
altrimenti non è vera poesia. Essa sarà sempre in qualche modo
CIVILE, contribuendo oggettivamente all'affratellamento dell'umanità.
Questi i miei principi. Potrò mai porli in atto? Almeno, ho
avuto la soddisfazione di affermarli, il che, per un "isolato" come
me, non è poco.
Distinti saluti dal Suo
"VERSEGGIATORE STRONCATO"
alias Rodolfo Caroselli

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