martedì 4 dicembre 2012

MODESTA LETTERA APOLOGETICA DI UN VERSEGGIATORE STRONCATO


"Una lezione di classe, di stile, di grandezza", queste sono state le
spropositate e sproporzionate parole di Pippo Baudo in merito
all'intervento al Festival di S. Remo del pontefice massimo Benigni.
E pensare che ha parlato - pur all'interno di un luogo televisivo
quest'anno estremamente volgare, beninteso - volgarmente
dell'"uccello di baudo", mentre visibilmente imbarazzata Catia
Ricciarelli dissimulava un sorriso di circostanza. Il Ceplin italiano
è passato poco dopo all'uuccello dei politici "come ce l'hanno...".
Poi ha fatto battute facili per chiunque sulla ciccia di un uomo che
aveva minacciato di tirargli un uovo in faccia. Dimenticavo ha detto
anche una poesia, questo ci dovrebbe rallegrare, ma in una simile
cornice... In fin dei conti questo è ciò che riusciamo ad esportare
all'estero.
No amici non mi sono rimbambito del tutto, per vedere
questo "spaccato" di televisone da manuale sono stato chiamato
apposta, perchè non seguivo il Festival.
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Ho deciso di introdurre così l'ennesima porzione di "cibo per la
mente" che PoesiAzionArte cerca di inviare quando può ai suoi
affezionati e fedeli iscritti. Nessuno me ne voglia se da
intellettuale e da poeta non ho gradito la performance di Benigni.
Tornando al tema principe della newsletter aggiungo che si tratta di
un accorato intervento apologetico di autodifesa dell'iscritto e
amcio Rodolfo Caroselli dedicato ad una "avversaria" comune anche ai
Giovani Poeti d'Azione.
Buona lettura e riflessioni...
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Quando la scrissi (nove anni fa) nelle mie originali intenzioni
questa voleva essere una vera lettera, diretta ad una persona reale,
cariatide della poesia italiana ufficiale la quale poi, tuttora, ad
onta della veneranda età, continua a dispensare versi e… "girotondi".
Dopo averla scritta, però, sbollita l'ira, non la spedii più, non per
vigliaccheria, Vi prego di crederlo, ma semplicemente perché (come mi
è capitato spesso) il semplice fatto di aver buttato giù, nero su
bianco, la mia indignazione, mi aveva in certo modo placato. La
ripresi qualche tempo dopo, nel '96, per presentarla ad un premio
letterario dove ottenne un riconoscimento nella
categoria "saggistica". Per motivi "concorsuali" avevo però dovuto
scorciarla drasticamente ed è perciò con piacere che approfitto
dell'occasione offertami dalla vetrina di Alessandro D'Agostini per
riproporla nella sua interezza.
Credo che questa lettera aperta mantenga tuttora la sua validità. Lo
dico con tristezza, poiché lo stato della poesia (e della cultura!)
italiana ufficiale non è meno deprimente oggi che nel 1993, mitigata
però da una punta di ottimismo, in quanto che quei segnali di
reazione espressiva ed etica a cui accenno nella parte finale del mio
scritto mi pare che ora siano sotto gli occhi di tutti.
Rodolfo Caroselli
"MODESTA LETTERA APOLOGETICA DI UN VERSEGGIATORE STRONCATO"
I
Gentile sig.ra S…
ammetto che questa, essendo un'apologia, è affetta dall'odore di
meschino interesse personale che ad ogni autodifesa pertiene.
Apologia nata, Ella penserà, dall'orgoglio ferito dell'ennesimo
verseggiatore il quale, sottopostosi a giudizio critico, ne rifiuta
poi, incongruo, il verdetto.
In parte questo è vero. Veder stroncare i miei versi in quanto
stilisticamente superati e concettualmente vuoti mi ha ferito, ma ciò
che mi spinge a scriverLe ora è soprattutto una curiosità
dell'intelletto che ha trovato, nel proprio caso personale, lo
stimolo a porre sul tappeto alcuni problemi relativi alla validità ed
al ruolo della poesia italiana contemporanea. Problemi che mi sono
permesso di analizzare e riguardo ai quali ho elaborato delle tesi
forse rudimentali (purtroppo il mio bagaglio teorico è scarso) ma
sulle quali, comunque, gradirei ricevere un riscontro.
Prima del nostro abboccamento, pensare alla poesia era per me causa
di perplessità forte ma "disinteressata". Questo il mio fondamentale
interrogativo: "Perché tanti si occupano di poesia, perché tanti la
amano (o dicono di amarla), perché tanti la scrivono (o tentano di
farlo) e perché, d'altra parte, i poeti vendono così pochi libri?"
Dopo quel giorno, una domanda alquanto più personale prese ad
occuparmi la mente: "Come era possibile che i miei versi non
valessero NULLA se erano stati sinceramente apprezzati da numerose
persone culturalmente valide? Apprezzati, per di più, proprio per
doti di lingua e di pensiero che ora un conclamato ESPERTO giudicava
del tutto assenti?
Qualcosa non quadrava: una contraddizione su cui rompersi la testa.
E questo quasi mi successe finché, ripigliando casualmente il mio
Grande Interrogativo N. 1 e giustapponendolo a quello N. 2, non mi
venne in mente che, forse, da due domande poteva venir fuori una
risposta.
No, non tema, cara Signora, non ero impazzito; non giunsi alla
conclusione che, per risollevare le sorti della poesia italiana mi si
dovesse, seduta stante, assegnare il Premio Montale. Quello che
pensai fu che il fenomeno (microscopico) riguardante me fosse una
spia di quello (macroscopico) che riguardava un po' tutti noi amanti
di Calliope. In altre parole, giunsi alla conclusione che i motivi
della scarsa "commerciabilità" della poesia italiana erano gli stessi
che trattenevano Lei dal trovare qualcosa di buono in opere (come le
mie) non indegne. In entrambi i casi si trattava certo, in parte, di
motivi di gusto (e dunque rispettabili) ma si trattava anche, però,
di motivi "ideologici" che, in quanto tali, io avevo invece tutto il
diritto di respingere.
Negli ultimi anni vari miei scritti sono stati letti da decine di
colleghi (per lo più insegnanti di materie umanistiche in diverse
scuole superiori) suscitando, nel complesso, genuino interesse ed
apprezzamento. Come mai?
Quando le accennai il concetto, Ella obiettò che, evidentemente, si
trattava di gente "non preparata". Già, NON PREPARATA. Ecco il
punto! Chi saranno mai le persone in grado di apprezzare la poesia
se i professori di liceo non lo sono più? Quale pubblico, "a priori"
si dovrebbe considerare PIU' PREPARATO di loro per la poesia? Faccio
qualche ipotesi:
A) PROFESSORI UNIVERSITARI DI LETTERE. B) CRITICI LETTERARI. C)
POETI. (Bisognerebbe però fissare un criterio per individuare questi
ultimi, definendo tali, che so, quelli che hanno pubblicato una
poesia a spese di un editore vero.)
Si tratterà di un migliaio di persone in tutto che, con la
loro corte di parenti, amici e dipendenti, corrispondono, infatti,
alle tirature dei libri di poesia italiana contemporanea. E' chiaro
che, considerando degno di poesia un pubblico di queste dimensioni,
non ci si può aspettare di vendere centinaia di migliaia di volumi,
(ma chi se lo aspetta?). Dunque, come vede, Le do ragione. Il
pubblico preparato è quello. Ma "preparato" per che cosa e da chi?
In realtà si tratta di un SUPERPUBBLICO formato dagli stessi
poeti "laureati" (cioè "arrivati", che ne costituiscono l'oligarchia
dirigente) e "laureandi" (che sperano di "arrivare" uniformandosi
all'ideologia dei primi). Il gruppo di comando critica la poesia e
l'insegna. Quale poesia? Ma quella che esso stesso produce, è
ovvio! I rincalzi la leggono (o fanno mostra d'averla letta, giacché
talvolta è un po' pesantuccia da digerire). Un circolo grazioso,
minuscolo ma perfetto, nevvero?
Non piangano dunque i guardiani dell'establishment
poetico/critico lacrime di coccodrillo sugli angusti confini del loro
orticello che, così com'è, fornisce loro una rendita modesta ma
sicura. Essi ne sono gli strenui difensori, non hanno alcuna vera
intenzione di aprirne gli steccati alle persone comuni, ancora ricche
di sani valori umani ma avide di conforto per i propri problemi
reali. I cerberi della POESIA ESOTERICA hanno tutto l'interesse a
mantenere la loro creatura cosa per pochi, perché i "pochi" si
possono controllare facilmente, e si sa poi come va a finire: "Io
critico te e tu critichi me; io premio te e tu premi me (o i miei
fidi).
Ma quali sono le poetiche degli oligarchi? Solo in apparenza
svariate, esse condividono due principi sovrani: l'INCOMPRENSIBILITA'
e l'IMPOETICITA', perfettamente funzionali alla conservazione del
loro piccolo regno.
La poesia incomprensibile consente alla critica professionale
di esercitare un dominio sfrenato. Infatti, è ben difficile
contestare un giudizio dato su versi privi di senso comune. Sarà il
critico a riservarsene l'INTERPRETAZIONE AUTENTICA e, in mancanza di
ogni riferimento oggettivo, il comune mortale dovrà accettarla, salvo
ricorrere all'"ipse dixit" di un'altra autorità critica consacrata.
Forse negli anni '20, quando "poeta laureato" era un certo
D'Annunzio, "sublimare la poesia in prosa" poteva avere un senso.
Però sono ormai passati una settantina d'anni, il compito è stato
eseguito anche troppo bene e, a forza di portare la poesia verso la
prosa, il pubblico ha finito col disconoscere del tutto la prima in
favore della seconda. Oggi le librerie sono ingombre di giornalismo
deteriore e saggistica superficiale ma la poesia non la cerca più
nessuno. E' davvero colpa dei lettori, "così ignoranti"? Non
credo. Il fatto è che quella "roba" non si capisce, non ha grazia né
bellezza, non serve a nulla, nessuno la vuole e bene fanno i librai a
nasconderla! In realtà C'E' un vasto pubblico che vorrebbe poesia ma
ciò che gli viene contrabbandato per tale semplicemente NON GLI
PIACE. I classici, però, da Keats a Leopardi, si vendono e come! La
fame di poesia esiste ma è costretta a ricorrere ai morti, oppure al
surrogato offerto da bravi cantautori come Lucio Battisti o Paolo
Conte. Se ci fosse una poesia dei vivi comprensibile, bella e morale
la gente la leggerebbe, perché ne ha bisogno come ne ha sempre avuto
in tutte le epoche dell'umanità, ma un grande tradimento si è
consumato ed oggi, purtroppo, i "vivi" sono più morti dei morti.
Nessuno vuole o sa educare questo bisogno. Più comodo il
disprezzo per le facili rime. Gli addetti ai lavori.Gli addetti ai
lavori non esitano a rinchiudersi nella torre eburnea della poesia
criptica e/o prosaica: "Che il volgo vada al diavolo!"
E' una situazione di stallo: i lettori vorrebbero poesia ma,
ogniqualvolta la cercano, respinti da tronfi sperimentalismi e
presuntuosi enigmi, ritornano alla prosa. La cricca
poetico/letteraria, sicura com'è nella munita cittadella
accademico/editoriale, affetta per loro il suo disprezzo: "Poverini,
non comprendono la Poesia…", mai sfiorata dal dubbio di venire meno
al proprio dovere sociale.
II
La stessa grave frattura verificatasi nella poesia fra "pubblico"
e "superpubblico" (questo, di fatto, consiste negli stessi addetti ai
lavori più o meno camuffati) si è approfondita nel corso del
Novecento in tutte le arti, da quelle figurative (astrattismo) fino
alla musica classica (dodecafonia).
La gente comune (e fra di essa anche molte persone di cultura
superiore che hanno il coraggio delle proprie idee) non
considera "pittura" fare buchi nella plastica o "scultura" saldare
insieme quattro pezzi di ferraccio, non considera "musica" pochi
strepiti isolati in qualche ora di silenzio "alla Berio", che certo
sono "inquietanti", ma cos'altro? Molti poi, che sono andati a teatro
ad aspettare Godot, vi posso assicurare che l'avrebbero volentieri
preso a calci nel sedere se avesse avuto il coraggio di presentarsi.
D'altra parte, il nostro Carmelo Bene, a scanso di sbadigli, è più
furbo di Becket, ed ha sempre curato di farcire i suoi noiosissimi
spettacoli di belle donne nude.
Le avanguardie salite al potere hanno istituzionalizzato i
loro sperimentalismi, santificando la poetica dell'incomprensibilità
e della bruttezza (variamente denominata denuncia, provocazione,
inquietudine ecc.) anche in questo campo tanto comoda..
Come contestare, infatti, ciò che a priori non è possibile
capire e dunque discutere? E riesce anche difficile criticare
quest'arte perché brutta: vuole esserlo per programma! Se il pubblico
si dilegua, tanto meglio: altrettanti scocciatori in meno. Artisti e
critici sono autosufficienti. Il pubblico che conta è quello dei
ricchi che comprano i quadri come investimento anche se non li
capiscono (e non gliene importa un fico di non capirli!). Quanto al
musicista contemporaneo: "La gente non viene ad ascoltare la mia
ultima opera?" – si chiede senza ombra di nervosismo – "E allora?
Qualche assessorato alla cultura troverò bene che me la pagherà
profumatamente. Se no la tessera a che serve?" Poi, quando ha bisogno
di rasserenarsi, mette un disco di Schubert.
Nel campo del romanzo la manovra non è del tutto riuscita. Ci
hanno provato ad ucciderlo, ma la pianta era troppo vigorosa ed ha
resistito alle iniezioni di veleno. Hanno ripetuto per anni che
era "morto", ma lui, per fortuna, non li ha sentiti, e continuava
(soprattutto nei paesi anglosassoni) a passeggiare vivo e vegeto
finché, alla fine, perfino i nostri intellettuali hanno dovuto
ammettere la sconfitta. Hanno smesso di sostenere che il romanzo è
morto, anzi, certi si sono addirittura messi a scriverne qualcuno!
Nel corso della crudele lotta che ha straziato il nostro
povero secolo le forze del caos sono state sul punto di prevalere.
Gli eredi del libertinismo settecentesco si sono alleati con i
marxisti nell'attacco alla morale (falsamente definita "borghese")
dell'Ottocento ed ai suoi tre capisaldi: religione, famiglia,
nazione. Abilissimi nella controinformazione hanno capito che, come
sempre, la battaglia si sarebbe decisa sul campo delle idee.
Fondamentale era perciò il dominio sull'intellighenzia del pensiero e
dell'arte. Conseguito tale obiettivo, restavano da recidere i legami
fra cultura e popolo, perché solo un popolo senza cultura può essere
manipolato ed asservito. Un Manzoni, un Pascoli, un Verdi, un Puccini
da conoscere ed amare non erano fenomeni d'élite cento anni fa. Ma i
poeti o i musicisti contemporanei oggi chi li conosce? L'operazione è
dunque riuscita? Non del tutto, grazie a Dio.
Il comunismo è crollato e del libertinismo molti cominciano a
scorgere lo squallore. Certo i paladini di tali ideologie continuano
ad imperversare. Le loro posizioni di potere sono formidabili. Eppure
il riflusso non si fermerà. Le "forze della reazione", non "oscure" e
non "in agguato" ma sempre più alla luce del sole sconfiggeranno alla
fine gli epigoni delle teratogene utopie settecentesche.
Questo nostro bruttissimo secolo arrogante e presuntuoso che
ha osato chiamare "stupido" il padre che l'ha generato (l'Ottocento)
da cui pure ha derivato quasi tutte le sue idee salvo disumanizzarle,
che ha preso i vizi peggiori del nonno (il Settecento) come l'ateismo
e il Terrore per amplificarli in scala industriale, questo laido
secolo senz'anima e col cuore di stracci, si sta concludendo.
Con esso volge al termine il GRANDE BLUFF DELL'ARTE
INCOMPRENSIBILE che nessuno capisce ma che tutti lodano se non
vogliono passare per ignoranti; il grande bluff dell'ARTE AMORALE che
non aiuta l'uomo nel suo doloroso cammino, che non gli sa indicare
nessuna via alternativa a quella della morte senza speranza; il
grande bluff dell'ARTE BRUTTA che non rasserena e che non eleva, che
denuncia non si sa che cosa ed inquieta non si sa perché.
Tutto questo ora sta finendo ma ha lasciato molte vittime
dietro di sé. Ne voglio ricordare alcune nel campo letterario.
E' indegno che un grande poeta come Cardarelli, grandi
prosatori come Panzini e Bacchelli siano stati pressoché obliati per
far posto a mezze figure come Moravia su cui non intendo spendere una
parola di più.
E' indegno che, anche a livello internazionale (purtroppo
questo cancro non si è limitato all'Italia) degli squallidi figuri
siano stati esaltati al rango di scrittori eccelsi. Si pensi ad un
miserabile demente come Sade, ad un pornografo da quattro soldi come
Henry Miller.
Una cultura che si scelga certi miti non è degna di questo
nome: o è idiota o è in malafede. Ma i padroni del vapore certo non
erano degli idioti: avevano il preciso scopo di allentare le maglie
della società e ci sono riusciti. Quelli che, incoscientemente, sono
andati loro appresso, hanno invece dimostrato di essere degli idioti
davvero "utili".
Ella probabilmente riterrà questi miei pensieri delle
sciocche elucubrazioni, forse i deliri di un paranoico deluso nelle
proprie ambizioni, ma proviamo ora ad esaminare i fatti da un altro
punto di vista: giudichiamo l'albero dai frutti.
E' mai esistita una società più disorientata di quella
contemporanea, così priva di principi e di ideali, sempre più ricca e
sempre più infelice? Non crede che in questo abbiano una
responsabilità le arti, e la letteratura in particolare, per aver
ABDICATO AL LORO RUOLO DI GUIDA MORALE?
Il romanzo dell'800 si proponeva un fine limitato ma
grandioso: "LA DESCRIZIONE DEI PENSIERI E DEI SENTIMENTI DELL'ESSERE
UMANO". Conosci il tuo prossimo per comprenderlo, poi sentirlo
fratello ed un giorno, forse, amarlo. Cose semplici, ma
fondamentali. Tutto questo nel '900 è stato progressivamente
abbandonato e non perché i lettori se ne fossero stancati. Ribadisco
che la letteratura (e, più in generale, l'arte) del nostro secolo ha
fortissimamente VOLUTO PERDERE IL PROPRIO PUBBLICO, creando un
distacco fra sé ed il popolo.
Non potrebbe essere giunta l'ora di una REAZIONE ESPRESSIVA
in cui l'artista torni ad "ESPRIMERE", a COMUNICARE all'esterno dei
VALORI invece di continuare ad IMPRIMERE enigmaticamente qualcosa del
suo mondo che un CRITICO INTERPRETE sarà poi chiamato a DECODIFICARE
in un rapporto con il pubblico spesso poco limpido e genuino?
Nel quadro di questa salutare reazione e nell'ambito della
poesia, non è anche possibile che il pendolo cominci lentamente a
tornare indietro dal PROSAICO verso il POETICO? Non è allora
possibile che i miei versi esprimano una tale tendenza?
Per ricapitolare, la mia opinione è che la poesia
contemporanea abbia un pubblico estremamente limitato solo perché ha
rinunciato ad averne uno più vasto attraverso le poetiche
dell'incomprensibilità e dell'impoeticità più o meno consapevolmente
adottate dall'élite dei suoi custodi (poeti, critici, intellettuali)
che in tal modo si sono assicurati un dominio modesto ma sicuro (a
cui ammettono per cooptazione solo qualcuno che aderisca alla loro
ideologia). Tale fenomeno è comune ad altri settori dell'arte del
Novecento. Filosoficamente, svuotando l'arte di ogni valore etico (e
spesso anche estetico!) l'ha vanificata, risultando funzionale
all'affermarsi di una concezione materialistica dell'esistenza. Ora
che tale concezione dà segno di essere prossima al crollo, tutta
l'impalcatura intellettual-culturale novecentesca comincia altresì a
scricchiolare. Sono fiducioso che il XXI secolo vedrà lo
smascheramento definitivo del "Grande Bluff" ed un ritorno all'arte
comprensibile, bella, morale, umana.
Il sistema letterario così com'è indubbiamente non funziona.
Ho cercato di spiegarmene le ragioni basandomi sui miei soli dubbi e
sulle mie sole forze. Forse ho sbagliato, ma in tal caso vorrei che
mi si spiegasse perché.
Il mio è il grido di protesta dei tanti che si sentono
abbastanza colti ed intelligenti da rifiutare di essere considerati
ignoranti o idioti e che spero trovino sempre più il coraggio di dire
che il Re è nudo e farebbe dunque bene a rivestirsi finché è in tempo
se non vuole essere condannato per indegnità morale.
(Segue nel prossimo POST...)

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