Svolazzi e
democrazia - Dichiarazione
di conformità - All'apparenza - Alla tua ribellione - Violette in primavera -
Epiteti per Charlotte - Rincara la bellezza – Quaderni - Quattro temi d’amore -
Un giorno d’amore - Niente di speciale – Nebbia - Ottantanove sconosciuti - La
galaverna - Sarà perché non piove da mesi - Sera di inverno - Cose che passano -
Mi stupiscono i silenzi- Del mio futuro - I poeti non contano - La formidabile
lotta di Enrico contro la neve - Il dormiveglia è bellissimo - La
gente - Ancora del senso compiuto - Senza motivo - Immagini senza
cinematografo - Sono le Tre -
Melone
d’acqua
Svolazzi e
democrazia
Piccoli svolazzi di
passerotto da diporto
fatalmente chiusi all’angolo,
nello scippo violento delle mafie
il lavoro sparisce, l’ignoranza è forza,
fatalmente chiusi all’angolo,
nello scippo violento delle mafie
il lavoro sparisce, l’ignoranza è forza,
uomini e
donne
gran massa eccitata di elettroni,
l’incivile sguaia forte la sua grida
ché nessuno dica nulla,
gran massa eccitata di elettroni,
l’incivile sguaia forte la sua grida
ché nessuno dica nulla,
nemmeno un palanchino di
democrazia
ad allentare retoriche da palazzo,
ampie divergenze,
coese maggioranze.
ad allentare retoriche da palazzo,
ampie divergenze,
coese maggioranze.
Il piatto crepa,
caricato a pallettoni
e calde lacrime,
cambia legge
il Pireo asciugato fino al sottosuolo.
e calde lacrime,
cambia legge
il Pireo asciugato fino al sottosuolo.
Sanno intenerirti le
anitre
inzaccherate di petrolio?
Hanno l’andatura buffa
di satrapi cinesi.
inzaccherate di petrolio?
Hanno l’andatura buffa
di satrapi cinesi.
Muore senza dubbio la
democrazia
alza le braccia in Grecia
là, dov’era nata
alza le braccia in Grecia
là, dov’era nata
guerriero
Dichiarazione di
conformità
Io, mio nome e cognome,
mio luogo e data di
nascita, mio indirizzo,
proprietario della mia
stessa faccia
e dei vuoti di ogni
giorno, cittadino italiano,
dichiaro di avere vissuto
non un giorno in più
rispetto all’età da me
dichiarata, e di avere paura
per ogni bambino che
nasce dalla follia degli dei
perché sono
folli,
che la mia pelle è
chiara,
ma più bianca in
inverno,
di possedere sicuri mezzi
di sostentamento
almeno finché
mi sarà permesso,
che un giorno mia figlia
sarà l’unica donna bianca
rimasta a vivere nel suo
quartiere,
premesso che altro
quartiere ci sia
purché non si tratti di
venezia o atlantide.
Io, mio nome e cognome,
dichiaro di avere
amato
ogni volta come fosse
stata l’ultima,
di esistere in
vita
fino al giorno di mia
morte
di non conoscere del
tutto l’italiano,
ma di scriverlo e
parlarlo a orecchio,
senza esagerare in
inchiostro e birra.
Dichiaro che gli
opportunisti possono
accodarsi alla banderuola
di turno,
fare peana e cori come
gatte in estro
salvo patto di recesso
entro giorni sette,
e per tutto quanto non
afferisce
i bordelli a circuito
chiuso nei televisori
facciano riferimento alla
carta stampata,
in caso contrario
dichiarino il falso.
Dichiaro di sentirmi
profondamente triste
per quanto vedo e non
posso cambiare,
di avere paura della mia
stessa ombra,
di ricordare sempre meno
date e anniversari,
io, mio nome e cognome,
ammetto
di essermi accorto della
migrazione delle rondini
sempre con giorni di
ritardo, a cielo vuoto,
e di non averle mai viste
andare via.
Io, mio nome e cognome,
dichiaro
di non avere più nulla a
pretendere
se non il prossimo
maggio,
rilascio contestualmente
al lettore di turno
ampia e liberatoria
quietanza.
..
figure con
paesaggio
All'apparenza
Considerate - povera
patria
questo paese d'olio e vino,
prossimo a interrarsi
di eleganti sfondi azzurri
portatori sani di macerie,
sull'onda al fard infetto
di puttanelle di regime
e rondoni gonfiati.
Riflettete sui ponti,
mentre amoreggiate
incogniti con voi stessi
su monitor opalescenti,
compatite almeno
il destino di chi vi è sotto,
tra città prossime all'inciampo
per labirintite.
Riflettete sui soldi,
cattiva moneta
per cui vi battete,
sulla solitudine senza poesia
che vi lasciate dietro,
su giornali in serie
letali diffusori di sondaggi
e ricette da cucina.
Rimettete, per favore
la verginità ai preti
- banchieri degli uomini e di dio,
voi che amate l'apparenza,
voialtri che tradite
la stessa sensibilità dei treni,
considerate - ovunque siate
cosa vi potrà salvare.
questo paese d'olio e vino,
prossimo a interrarsi
di eleganti sfondi azzurri
portatori sani di macerie,
sull'onda al fard infetto
di puttanelle di regime
e rondoni gonfiati.
Riflettete sui ponti,
mentre amoreggiate
incogniti con voi stessi
su monitor opalescenti,
compatite almeno
il destino di chi vi è sotto,
tra città prossime all'inciampo
per labirintite.
Riflettete sui soldi,
cattiva moneta
per cui vi battete,
sulla solitudine senza poesia
che vi lasciate dietro,
su giornali in serie
letali diffusori di sondaggi
e ricette da cucina.
Rimettete, per favore
la verginità ai preti
- banchieri degli uomini e di dio,
voi che amate l'apparenza,
voialtri che tradite
la stessa sensibilità dei treni,
considerate - ovunque siate
cosa vi potrà salvare.
strumenti
http://www.copia-di-arte.com/kunst/giorgione_eigentl_giorgio_bar/painting_various_instruments_hi.jpg
Flavio Almerighi è nato a
Faenza il 21-1-1959.
Si è dedicato nel corso
degli anni a teatro, radiofonia, cinematografia.
Ha ottenuto diversi
riconoscimenti in vari concorsi letterari
Sue le raccolte di
poesia
Allegro Improvviso (Ibiskos
1999) Vie di Fuga (Aletti 2002) Amori al tempo del Nasdaq (Aletti 2003)
Coscienze di mulini a vento (Gabrieli 2007) durante il dopocristo (Tempo al
Libro 2008) qui è Lontano (Tempo al Libro 2010) Voce dei miei occhi (Fermenti
editrice 2011)
Alcuni suoi pezzi sono stati
pubblicati in prestigiose riviste quali Tratti, Prospektiva, Il Foglio
Clandestino; ha a sua volta fatto parte di giurie in concorsi
letterari.
torre
Flavio Almerighi (Faenza
1959). Le sue prime liriche risalgono al 1976. Per sfuggire l'aridità degli
studi e del proprio lavoro (prima contabile poi consulente d'impresa) si è
sempre inventato interessi nuovi. La sua poesia è restata per vent'anni circa
sottofondo di altri interessi ben più conclamati. Svolge infatti dal 1977
attività di attore filodrammatico e dal 1979 al 1996 è stato conduttore
radiofonico e il giornalista dilettante. Memorabile una sua intervista del 1992
a Giulio Andreotti.
Compone negli anni 80 le parole di una rock song demenziale dal titolo "Giancarlo" incisa e portata a un discreto successo dal gruppo dei Koppertoni. Collabora alla stesura di sceneggiature per cortometraggi e vi partecipa saltuariamente come attore.
Abbandonata l'attività radiofonica è dal 1996 che inizia a interrogarsi sul proprio talento di poeta. Vince in quell'anno il primo premio al concorso Sant'Andrea Apostolo dello Jonio con la lirica "Amelia Rosselli". Un suo breve racconto "Il ritratto di Ofelia" giunge tra i vincitori del premio "L'officina dello scrivere" indetto dalla Confartigianato. Nel 1999 esce il suo primo libro "Allegro Improvviso", Ibiskos editore, raccolta di quaranta poesie. Dopo una grave battuta d'arresto causata da un incidente stradale, esce nel 2002 "Vie di Fuga" , Giuseppe Aletti Editore, una nuova raccolta di poesie che ottiene un buon successo. Pubblica abitualmente poesie anche su siti internet.
Compone negli anni 80 le parole di una rock song demenziale dal titolo "Giancarlo" incisa e portata a un discreto successo dal gruppo dei Koppertoni. Collabora alla stesura di sceneggiature per cortometraggi e vi partecipa saltuariamente come attore.
Abbandonata l'attività radiofonica è dal 1996 che inizia a interrogarsi sul proprio talento di poeta. Vince in quell'anno il primo premio al concorso Sant'Andrea Apostolo dello Jonio con la lirica "Amelia Rosselli". Un suo breve racconto "Il ritratto di Ofelia" giunge tra i vincitori del premio "L'officina dello scrivere" indetto dalla Confartigianato. Nel 1999 esce il suo primo libro "Allegro Improvviso", Ibiskos editore, raccolta di quaranta poesie. Dopo una grave battuta d'arresto causata da un incidente stradale, esce nel 2002 "Vie di Fuga" , Giuseppe Aletti Editore, una nuova raccolta di poesie che ottiene un buon successo. Pubblica abitualmente poesie anche su siti internet.
..
« Flavio Almerighi è un
poeta da leggere prima di tutto con il cuore, solo così il suo percorso poetico
acquista significati profondi e condivisibili. È la confessione di un’anima
inquieta che vaga cosciente nei giorni, malinconica e rabbiosa, un sentirsi come
dentro a un evento estremo, come se fosse la fine del mondo, ma nel verso trova
la sua profonda quiete. È questa un’opera piena di un bisogno d’amore non detto.
Il linguaggio usato è quello di un artista della parola, mantiene sempre un
giusto equilibrio tra significato e significante. È un linguaggio attuale che
l’autore eleva e restituisce dentro a un’inconsueta bellezza poetica, a tratti
personalizzato, altre volte legato a figure metriche ripetute, che donano ai
versi una quieta e ininterrotta musicalità. » Dalla prefazione di Ivana
Federici
faccia
.
Intro a un libretto di
poesia di Flavio Almerighi
"La vera poesia non è fatta
solo di regole grammaticali e strambi ritmi da rispettare, ma principalmente
dalle emozioni che scuotono l'essere umano."
Ho rubato questa frase a uno dei tanto blog di poesia che popolano la rete. Non che voglia definire la poesia a tutti i costi, e costi quel che costi, perché è la poesia stessa a non chiedere di essere definita. Breton diceva che "La più semplice azione surrealista sarebbe scendere in strada brandendo due pistole e iniziare a sparare alla cieca sulla folla. Chi non ha mai avuto voglia almeno una volta nella vita di fare piazza pulita del miserabile principio dello svilimento e dell'istupidamente, è chiaro che appartiene alla folla e la sua pancia è costantemente sotto tiro." E Breton ha lasciato cose bellissime, pur nella vilenza del suo antefatto. Perché allora proporre ancora una volta un volume di poesie scritto a più mani, quando si corre il rischio che l’oggetto sia semplice souvenir a uso e consumo di chi ci si trova dentro, orgoglioso e felice di essere stato "stampato" almeno una volta nella vita? Pancia, cuore, o cosa? Perché questa non è poesia dalla pelle cadente, coi denti gialli e alito pesante? E’ un piccolo libro da portare in viaggio, in strada, con cui restare assieme. Un libro di poesia insomma, un partitario di spartiti, una pagina che prenderà vita ogni volta che il lettore saprà darle vita, un barattolo di lucciole spente, in stand by, pronte a riaccendersi ogni qual volta un’anima con gli occhi saprà riaccenderle.
Tutto il resto è scorie, vanità, voglia di souvenir libresco. Noi che amiamo la poesia, veicolo e mezzo di quanto più intimo/estraneo alla razionalità dell’irrazionale nella vita di tutti i giorni, vi diciamo non aprite questo libro se lo avvicinate con intenzioni diverse dall’amore e dalla convivenza con la poesia, usatelo magari come soprammobile, come arma da lancio, proiettile puntato contro la pancia dello svilito. Avrà almeno una qualche utilità.
Ho rubato questa frase a uno dei tanto blog di poesia che popolano la rete. Non che voglia definire la poesia a tutti i costi, e costi quel che costi, perché è la poesia stessa a non chiedere di essere definita. Breton diceva che "La più semplice azione surrealista sarebbe scendere in strada brandendo due pistole e iniziare a sparare alla cieca sulla folla. Chi non ha mai avuto voglia almeno una volta nella vita di fare piazza pulita del miserabile principio dello svilimento e dell'istupidamente, è chiaro che appartiene alla folla e la sua pancia è costantemente sotto tiro." E Breton ha lasciato cose bellissime, pur nella vilenza del suo antefatto. Perché allora proporre ancora una volta un volume di poesie scritto a più mani, quando si corre il rischio che l’oggetto sia semplice souvenir a uso e consumo di chi ci si trova dentro, orgoglioso e felice di essere stato "stampato" almeno una volta nella vita? Pancia, cuore, o cosa? Perché questa non è poesia dalla pelle cadente, coi denti gialli e alito pesante? E’ un piccolo libro da portare in viaggio, in strada, con cui restare assieme. Un libro di poesia insomma, un partitario di spartiti, una pagina che prenderà vita ogni volta che il lettore saprà darle vita, un barattolo di lucciole spente, in stand by, pronte a riaccendersi ogni qual volta un’anima con gli occhi saprà riaccenderle.
Tutto il resto è scorie, vanità, voglia di souvenir libresco. Noi che amiamo la poesia, veicolo e mezzo di quanto più intimo/estraneo alla razionalità dell’irrazionale nella vita di tutti i giorni, vi diciamo non aprite questo libro se lo avvicinate con intenzioni diverse dall’amore e dalla convivenza con la poesia, usatelo magari come soprammobile, come arma da lancio, proiettile puntato contro la pancia dello svilito. Avrà almeno una qualche utilità.
..
QUADERNO
2012
Alla tua
ribellione
Alludo a un vento
contrario
ma brindo alla tua
ribellione
per quanto sia lungo il
tempo
fissando la casa di
fronte,
manciate di
spiccioli
che non si trovano più,
soldi già
spesi.
Il professore era i suoi
denti
occhi bassi, rasente il
muro
dava lezioni di diritto
estinto,
oggi sono un altro,
sì
erediterai un po’ dei
miei alibi
e i limiti della coperta
corta.
M’illudevo di
riuscire
a scansarti ogni
idillio
che la vita fosse
strada
e molto fumo, il
mio
invece non avrai
padroni,
sul tavolo
letture
mai
cancellate.
donna
Violette in
primavera
Chi altri dovrà
arrivare,
dietro il violinista un
boia
o l’uomo innamorato della
verità
solo dopo averla
smentita,
l’irina
innocente
fin sopra i
capelli?
La stanza
dell’amore
chiuse il giorno
stesso,
sul carrello poche
violette
anime rotte di
primavere
mentre la croce è volata
via
sul gelo a forma di
omertà.
Dormiremo sul
fianco
senza un
lamento,
le malinconie
sparse
sui colori a
piombo
di un pittore
dimenticato.
venere
Epiteti per
Charlotte
Incinta dell’onesto
rimedio,
incapace di cedere un
passo
ricadendo muta e
scritta
come si conviene a ogni
fine,
tu stessa t’aggiudichi
l’esteta
afferrando la
sinistra
con la guancia destra,
credi
non basta più la bocca a
ubriacarsi
e non
rimane molto tempo
un minuto, due
minuti
per blande sincerità,
certo
la mano assassina
è molto più piccola
e per molti versi più
adatta
a cancellare le mie
puttanate,
dici spesso di un’ottima
gravidanza
solo il cappotto è un
poco più stretto
che la notte è catetere
dell’oblio,
spero porti
fortuna
sia
femmina,
libera
malgrado
altrimenti
piango.
ragazza
Sempre meno occhi (lo
stato dell’arte in poesia) di Flavio Almerighi
Mi sono rotto le palle, già
dalla volta scorsa, dell’ennesima ondata di articoli e saccenze sul cosa sul
come sul quando sul “a cosa serve” sulla collocazione della poesia. Di solito
queste cose accadono in ambiti specializzati, come congressi della
federpanificatori sul lievito e la nuova rosetta, robe a uso e consumo di
addetti ai lavori. Due palle così. Solo che i panificatori fanno pane, e il pane
fa bene. I poeti generalmente fanno flanella, quando non possono fare l’amore o
misurarsi o masturbarsi con quanto sentono dentro. Un po’ come quel dibattito
allucinante cui ho assistito qualche anno fa, presente sua santità Rondoni in
Bondi, uomo di panza senza sostanza, dove si dibatteva all’ultimo sangue (più o
meno) circa l’esistenza di una Linea Adriatica in poesia e , Cristo santo, la
maggior parte pensava più che altro a non farsi pungere dalle zanzare.
Sull’argomento trovo esaustivo quanto dichiarato da Franco Fortini che comunque in preambolo affermava: “Rispondere è come se si volesse rispondere a "che cos’è l’uomo" o a "che cos’è il mondo". Per la stessa Maria Grazia Calandrone “ Natura insegna che il viaggio verso il mondo comincia da un taglio che riguarda il proprio ombelico. Ecco, più cordoni si tagliano che partono dal centro di sé, più la scrittura può essere di servizio in direzione del mondo. Perché la poesia è un fatto di natura.” E condivido, senza intossicarmi troppo.
E’ mai possibile che chiunque ritenga di avere raggiunto un minimo di cosidetto potere o maturità, tenti immediatamente di imprigionare la poesia in un proprio sguardo da imporre ad altri? Arrogandosi la pretesa di distinguere il grano e la zizzania, la poesia buona e quella cattiva? Perché alla fine è SEMPRE qui che si vuole andare a parare: il mio concetto di poesia è più maturo e ampio del tuo, pertanto ti aiuto io a distinguere, a farti chiarezza. A costoro dico, andate a lavorare che è meglio, per ora gli immigrati vi hanno fregato ritmo e manualità, manca poco, vi stanno fregando anche la poesia, e prossimamente quel po’ di potere e capacità di giudizio che pensate di avere, e che utilizzate in modo inutile e scorretto! Abbiate l’umiltà di rassegnarvi al fatto che nulla al mondo è più soggettivo della poesia stessa, qualsiasi possa esserne il linguaggio! Se per Michel Houellebecq Prèvert era un coglione, per mia figlia quindicenne oggi è il massimo. Sono d’accordo con Houellebecq, ma non toglierei mai di mano a mia figlia il libro che legge, come farebbero invece certe suorine coi loro chierichetti quando li sorprendono con una rivista un po’ scollacciata.
L’ondata di articoli nell’ultimo periodo si spiega con le smanie tipiche della stagione estiva, colpi di sole, manovra tremonti, delitto melania risolto, quindi col non avere un cazzo da scrivere per riempire il giornale. Bene, vogliamo far uscire la poesia? Facciamolo tutto l’anno e in tempi non sospetti. Soprattutto avviciniamola con rispetto la poesia, di qualsiasi poesia si tratti.
Come scrive un intelligente anonimo “ è come se la gente , avesse sempre meno occhi e sempre più di tutto il resto, è un processo inesorabile”.
Lasciate spazio alla poesia, strepitate meno che la state coprendo, vi piacciono endecasillabo e sonetto va bene, vi piace Keats vi piace Omero? Va benissimo, vi piace Pedro Pietri? Va bene.
Vi piace la poesia che avete commentato su web senza leggerla? Va meno bene, ma finitela di rompere i coglioni alla poesia soltanto per imporre vostri cervellotici concetti personalistici basati sul nulla, come quel dibattito sulla Linea Adriatica, e che non fregano niente a nessuno. Ho un concetto di poesia, un mio giudizio su essa e mi basta il mio, cambierei idea soltanto se, crescendo, ne incontrassi uno migliore, che non è mai quello che si vorrebbe imporre.
Sull’argomento trovo esaustivo quanto dichiarato da Franco Fortini che comunque in preambolo affermava: “Rispondere è come se si volesse rispondere a "che cos’è l’uomo" o a "che cos’è il mondo". Per la stessa Maria Grazia Calandrone “ Natura insegna che il viaggio verso il mondo comincia da un taglio che riguarda il proprio ombelico. Ecco, più cordoni si tagliano che partono dal centro di sé, più la scrittura può essere di servizio in direzione del mondo. Perché la poesia è un fatto di natura.” E condivido, senza intossicarmi troppo.
E’ mai possibile che chiunque ritenga di avere raggiunto un minimo di cosidetto potere o maturità, tenti immediatamente di imprigionare la poesia in un proprio sguardo da imporre ad altri? Arrogandosi la pretesa di distinguere il grano e la zizzania, la poesia buona e quella cattiva? Perché alla fine è SEMPRE qui che si vuole andare a parare: il mio concetto di poesia è più maturo e ampio del tuo, pertanto ti aiuto io a distinguere, a farti chiarezza. A costoro dico, andate a lavorare che è meglio, per ora gli immigrati vi hanno fregato ritmo e manualità, manca poco, vi stanno fregando anche la poesia, e prossimamente quel po’ di potere e capacità di giudizio che pensate di avere, e che utilizzate in modo inutile e scorretto! Abbiate l’umiltà di rassegnarvi al fatto che nulla al mondo è più soggettivo della poesia stessa, qualsiasi possa esserne il linguaggio! Se per Michel Houellebecq Prèvert era un coglione, per mia figlia quindicenne oggi è il massimo. Sono d’accordo con Houellebecq, ma non toglierei mai di mano a mia figlia il libro che legge, come farebbero invece certe suorine coi loro chierichetti quando li sorprendono con una rivista un po’ scollacciata.
L’ondata di articoli nell’ultimo periodo si spiega con le smanie tipiche della stagione estiva, colpi di sole, manovra tremonti, delitto melania risolto, quindi col non avere un cazzo da scrivere per riempire il giornale. Bene, vogliamo far uscire la poesia? Facciamolo tutto l’anno e in tempi non sospetti. Soprattutto avviciniamola con rispetto la poesia, di qualsiasi poesia si tratti.
Come scrive un intelligente anonimo “ è come se la gente , avesse sempre meno occhi e sempre più di tutto il resto, è un processo inesorabile”.
Lasciate spazio alla poesia, strepitate meno che la state coprendo, vi piacciono endecasillabo e sonetto va bene, vi piace Keats vi piace Omero? Va benissimo, vi piace Pedro Pietri? Va bene.
Vi piace la poesia che avete commentato su web senza leggerla? Va meno bene, ma finitela di rompere i coglioni alla poesia soltanto per imporre vostri cervellotici concetti personalistici basati sul nulla, come quel dibattito sulla Linea Adriatica, e che non fregano niente a nessuno. Ho un concetto di poesia, un mio giudizio su essa e mi basta il mio, cambierei idea soltanto se, crescendo, ne incontrassi uno migliore, che non è mai quello che si vorrebbe imporre.
Rincara la
bellezza
Se dico vano intendo
stanza
nata poco prima del
giorno,
orizzonti
stupendi
e qualche immobilità
intorno,
il gatto entra dove non
si passa
rincara la bellezza,
ultima visita
e sotto muovono i
giornali
qualcose accadute di
notte,
sono quello che
vedo
e ospito nell’anima
assopita
fradicia di
ripensamenti
o ricordi da
identificare
sotto terrapieni di
cenere
e l’ultima sigaretta a
metà,
riaccendo il mozzicone da
lì
con un sussulto di
nausea,
se dico vano intendo chi
scrive
unico morto in questa
storia.
grande immagine con
figure
Quaderni
Sarà presto tutta
mattina
anche più tardi, è
l’alba
un mozzicone di
candela
ancora acceso sul
quaderno,
diciotto futuri a voler
confermare
l’instabilità
piena
di oggetti e
uomini
trasandati dalla ragione
e dall’amore che li ha
chiamati,
un momento fa qualcuno è
stato qui
mi ha voluto senza
saperlo
forse ero stracci e
legno
quelli con cui si fanno
quaderni,
oggetti ordinati per loro
stessa indole
sempre
pronti
a
rinvenire.
scrivano
Quattro temi
d’amore
Incontro con un cigno
svestito,
alfabeto minore per chi
credeva
a poco
imminente
l’arrivo di un
angelo,
invece tornò la
neve.
*
Venne la casa dai muri
maestri
incerottati di vecchie
piastrelle,
caldo e freddo nelle
stagioni sbagliate
ma nessun giorno
sprecato,
sappiamo cos’è
l’amore.
*
Aggiungemmo
un’arena
alle sponde del
letto
senza culla,
caramelle
o ulteriori
addebiti.
La terra echeggia di
orbite vuote.
*
Della gravidanza
irrequieta e silenziosa
rimane un margine
bianco
senza
note,
ormeggio tenuto insieme
dalle tempeste
di un uomo
tranquillo.
*
Immagini senza
cinematografo
Sbarre abbassate come al
saccheggio
ecco il ritorno, dunque
torno
con mani strette e il
sonno
infilato a lettere
minuscole negli occhi.
Un viaggiatore raggiunge
Capitolo Tredici
il suo gatto è un effetto
emotivo,
tutti vorrebbero amore
tolta l’infezione
e immagini senza
cinematografo.
Il ritardo ha girato un
po’ a zonzo
poi è finito sotto un
treno a reggio emilia
inutile terapia a un
momento complicato,
dovevate dirlo prima che
la iena morde.
paesaggio
Un giorno
d’amore
So che all’ultimo respiro
morirò
insultandomi per non
avere visto
le radici in cima alle
montagne
e il giorno dopo sarò lo
stesso,
valevo poco come
apprendista
del mio io,
figuriamoci di un nuovo
tu.
Avrò vissuto sì e no una
settimana
sottratti i tempi persi e
quelli avversi,
anche in rovina, malgrado
il muschio
ho avuto apici e
maturità, come dire
un giorno d’amore è più
di vent’anni.
Le tue scarpe non più
tardi
rovesciate sull’erba poco
fa
scrivevano poesie nel
loro dire
per recuperare pezzetti
di strada.
Poco importa se ho
dimenticato
anniversari e a capi
d’imputazione
non certo la vita tenta
il foglio
e da due sponde un
rigo.
lettera
Niente di
speciale
Niente di
speciale
l’intrico di calicante e
melograno
fin qui
vissuto,
andarmene è
semplice
basta ricordare il
dove
e il
provenire,
snocciolare
insistenze
come un pesce
vissuto
consapevole
nell’acqua
di una singola
deriva.
Discussioni non ne
voglio,
l’eredità è nel
cassetto
delle calze
buone,
non ha
serrature
basta tirare con
forza
verso il
cuore,
niente di serio
solo qualche
intenzione
per lo più
migliore
di quelle pronte a
crollare
per infiltrazioni e
ghiaccio
nei giorni di
nuvole.
venzia
Nebbia
Lontano un cane
abbaia
e di corsa una
lepre
taglia i
campi
taglia il mare annoiato
di alberghi
chiusi,
eravamo in
spiaggia
la stessa ora a
osservare
lampi cadenti in
dalmazia,
eravamo file di sedili
nella platea deserta
di cinema
sprangati,
cessata ogni
attività
di amanti in
galleria
le maniche
lasciavano
appena uscire le
dita
e fine della
scena.
Nebbia già
vissuta,
anche l’anno
scorso
a quest’ora l’ho
descritta,
ma quel poco
di limatura di
nervi
cui
m’accoppio
rivedrà le
stelle.
lampo
Ottantanove sconosciuti
(Giornata della
Memoria 2012)
Riuscimmo a
farcela
forzando battibecchi e
convenevoli,
tu mi regali il
Sonno
in cambio di poesie senza
titolo
e un cartellino appeso al
piede,
storie di buoni e
cattivi
eravamo ottantanove
sconosciuti.
Riuscimmo a non sentirci
persi
per la lucidità da ultimo
uomo
del bovino al
macello,
e sia per la
definitiva
liquidazione dei
romantici
con ventiquattro rose di
Zyklon B,
sopravvivemmo
morenti.
Le madri già orfane di
noi
non hanno avuto il tempo
di intuirci dentro la
dolcezza,
abbiamo ancora pantaloni
corti
come ai giardinetti sotto
casa
quando cominciammo a
correre
verso questo
destino.
.
La
galaverna
Ogni creatura
immobile
nel suo vestito
buono
girano storie di fuochi e
donne
nella fase in
novilunio.
Niente
muove.
Le borgate sembrano
vuote
l’acqua ammutolisce nei
fossi,
bella giornata per essere
cieco.
tronco
Sarà perché non piove da
mesi
Sembra la prima
volta,
Barba fissa la moldava
che si alza
la poesia gli rimane
acquattata
su toni grigi
inguardabili, incantata
svestirebbe Antigone fin
sopra i capelli,
ma non riesce a liberarsi
respirando
e io non sono commensale
di spirito.
Esco, ho un accatto di
filtri terra di siena
gettati ai binari in
epoca di vita sana
e isole per
fumatori.
Malgrado le effusioni
della mia maturità
e l’inflazione tornata a
scaldare,
sfioro un tizio con cui
parlavo a modena
sette mesi fa ma non lo
riconosco subito,
mi chiede come
sto
ha sete vuole qualcosa
per bere,
sarà perché non piove da
mesi.
Non cerco altre chiuse,
andate avanti voi. Io
no
gorgone
Sera di
inverno
Sera di inverno abituati
a non occupare troppo
spazio,
dici che tradire è
gettare le chiavi
nella posta di uno
sconosciuto
che la casa è
un’invenzione,
mezz’arancia appena
svegli
in cucina a luci spente.
La madre addormenta i
bambini
a storie tenere e chicchi
di caffè,
il cane è là con la
candela in bocca
vicino alla finestra a
fare luce,
vita nella morte di ogni
giorno
pronta a concludersi
domani.
Un uomo nuota solo contro
il fiume
non sa dove va, ma oggi è
stato
un giorno di treni
puntuali
si sente maschio, invece
è donna
pensosa sulle
ginocchia
il volto in fiamme e un
gelo d’ossa.
Due narcisi galleggiano
in cucina
aspettando la prossima
primavera,
l’uomo nel fiume sarà
salvo
rivedrà i suoi figli come
madre
consapevole e
ignota.
giuditta
Cose che
passano
Mostrando il medio
rivedrai
l’alluce,
finito il quieto
vivere
sottomettiti e
sposati
quella crosta di
noia
avrai tempo per
l’accademia,
rimarrai in
mostra
a posare sull’ovale
tenero
dello
specchio,
così discreto e
pronto
a fare
meraviglia
e stupore da mani
grandi
come ti insegnavo.
Tagliati i
capelli
sono cose che
passano
non
grideranno,
desiderare
l’eternità
non è rubare,
uccidersi
nel tempo breve di
collane
di promesse
mancate
e bocche piene di
denti
finti e
tagliole,
farsi penitenza
spesso
è grattare i
lineamenti
alle foto di un
amante
che non
sei.
pensatore
Mi stupiscono i
silenzi
Mi stupiscono i
silenzi,
qualcosa di lunghissimo
dopo
canzoni terminate di
colpo
senza sfumare, e
solidissime
storie d’amore
decantate
sulle mura di
casa.
L’estate non fa più
miracoli,
separa stagioni
fredde
senza mordente, e di me
resta
la parete interna del
muro maestro
nasconde crepe e un’altra
canzone
finita senza
sfumare.
del mio
futuro
Custodisci il
sublime day by day
si tratta del mio futuro,
conosci?
Quello con gli angoli in
agguato
di una dolcezza banale da
finto
costruttore di pace,
porto guerre
un bollitore che fischia
alle donne,
mi ami come non mi
amo.
Ridi del mio vuoto tutto
serio
e magari credo al
negativo
al piede che socchiude la
porta
e poi ti prendo alla
sprovvista
con un sorriso, e
casualmente
escono parole lasciate in
dote
dalla belligeranza dei
denti.
Tu che hai studiato più
di me
ammetti stasi, dolori
bene allineati,
statisticamente sei amore
di donna
di fatto la mia
vita.
.
I poeti non
contano
che la carne non
torni
superata dai
versi
lo dimostri da
ieri,
addio
Szymborska,
bentornata
Szymborska
nel terzo
millennio
che non
respira
perché non ha più
sogni
dov’è via vai di
curricula
nell’instabilità
fissa,
i poeti non
contano
ancora
sognano
.
La formidabile lotta di
Enrico contro la neve
La via, parallele
infinite
in tonalità col
cioccolato
dal bianco al fondente
amaro,
ostruita di persone e
spostamenti
non fosse per
Enrico.
Vita di Enrico,
parallele
di giornate secche come
guerre,
mai innamorarsi dei
ricci
o di un fiocco di
neve,
il sangue dei suoi
uomini
sparso per scrivere
lontano
a famiglie senza
telefono.
Enrico non ha paura
combatte da una
vita,
continua a smuovere la
neve
e sa del forno che c’è
sotto.
(a mio
nonno)
paesaggio con
pecore
Il dormiveglia è
bellissimo
Non è chiaro
se
l’albero
genealogico
sia mera questione
botanica
o
edilizia,
rimane nel
cuore
un archivio
dimenticato
e le parecchie
strade
che portano a
roma,
anelli
infilati
ad altri
anelli
la sofferenza di uno
stige
riattraversato,
mi fa pensare ogni
volta
a un gatto
che si infila in una
sporta
poi fugge,
fugge la
gente
dice
pochissimo
e solo per
convenzione
minuti e parole
contate,
gennaio era una primavera
sfocata
febbraio ha ripreso a
parlare
un vademecum di
neve
scalda la
camminata,
il dormiveglia è
bellissimo
dirà no
con la parte
nascosta
del
profilo,
ho viaggiato come
mutande
ripiegate nei
cassetti,
la terra è
dura
non si
indossa.
Vecchia
La gente
Si dice stupita la
gente
della burrasca alle
porte
e di ogni sabato
perso
ad aggiustare
automi,
intanto il tempo
scalpita
ripassa un treno a
mezzanotte,
una poesia dopo l’altra,
pieno
di mentitori
professionali
e cicale in
fumo.
La gente non fa
eccezione
nemmeno la
domenica,
donne da quadri di
goya
con sorprese di pasqua
di qualche anno
prima,
pronta a macinare
lapidi
per colpire altra
gente.
Siamo sempre
stati
sorrisi in bozza,
margini di
errore
appostati sulle
labbra
dei nostri
padri
poco più.
colonne
Ancora del senso
compiuto
Ci siamo abituati a
morire in pubblico
abbracciati a un’america
senza porti,
insaporiti d’amianto che
basta annusarci.
Ho una cartella di
appunti scombinati
dal vento balbettante
sotto i tuoi tacchi
strada per strada insieme
a fiumi di passi.
La terra torna a vivere
nei giorni feriali,
se viene la guerra
spariremo dimenticati
e sulla vita, dimessi,
scriveremo canzoni.
casa
Sbarre abbassate come al
saccheggio
ecco il ritorno, dunque
torno
con mani strette e il
sonno
infilato a lettere
minuscole negli occhi.
Un viaggiatore raggiunge
il capitolo tredici,
il suo gatto è un affetto
tardivo,
tutti vorrebbero amore
tolta l’infezione
e immagini senza
cinematografo.
Il ritardo ha girato un
po’ a zonzo
poi è finito sotto un
treno a reggio emilia
inutile terapia a un
momento complicato,
dovevate dirlo prima che
la iena morde.
venezia
Qualche capello
all’invidia
e alle nocche indurite
dal gelo.
Qualcosa finisce o non
finirà mai,
solo una rapida
torsione
mi adatto ogni
giorno.
Non che la birra faccia
meno schifo,
ma potrei tagliarmi un
labbro
fare un m’ama non
m’ama
con l’anello tra i
denti,
darle sapore più
personale
sotto il cielo annerito
che tutto promette
fuorché
latte
d’asina.
La barba prude come i
polsi
vogliosa di
lametta,
pegaso scivola sulla luna
d’argento
così, senza
motivo.
tre figure
Se la poesia
sparisse
non sparirebbero i
poeti
soprattutto quelli più in
carne,
bidimensionali come
amori
o qualsiasi altra cosa
che non c’è.
Sono le
Tre,
in questo momento
cristo patisce
regolarmente,
e tutti i veli
frusciano.
paesaggio
Melone
d’acqua
Giugno non passerà alla storiaquale mese più dolce dell’anno,
né per mitezza delle sue zanzare.
Forse lo ricorderemo per l’amore
senza condizionamenti, dolcezze
volute e mai per derubare il caso.
Ripenseremo all’anguria gustata
prima di un temporale e al tempo
passato a cercar fuori dai vetri.
Giugno dorato di mestiere, e noi
inseguendo Itaca scoscesa dentro
i nostri cuori, ancora un passo.
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