lunedì 10 dicembre 2012

MASADA n° 1366 13/2/2012 LA CRISI FINANZARIA



La deregolazione da Carter a Clinton - Inside Job – Le agenzie di rating – Il fallimento della Grecia – Le reazioni a catena, il pericolo di una stagflazione
“Non ci sono vie d’uscita da questa crisi con l’attuale paadigma economico.”
LA CRISI NASCE NEGLI STATI UNITI
Mente chi dice che la colpa della crisi è dei debiti nazionali. Gli Stati hanno sempre avuto debiti. Non avevano forse debiti gli Stati unito dopo il 29? Non avevano forse debiti Stati che avevano combattuto la seconda guerra mondiale nel 45?
Non sono i debiti che affossano gli Stati. Non sono nemmeno i governi corrotti, anche se hanno la loro parte di colpa. E tanto meno la colpa è dei popoli, accusati di ‘vivere sopra le loro possibilità’, secondo l’espressione sacrilega di qualcuno. L’attuale crisi finanziaria è stata voluta e attuata esattamente dal Governo americano, e precisamente nel 2008, quando, in un mercato sempre più dominato dal sistema bancario e dalla speculazione finanziaria, il presidente Clinton decise di applicare una deregolazione assoluta che eliminò la divisione tra banche commerciali e di investimento ed eliminò le norme che vietavano l’immissione in Borsa di titoli tossici, di derivati, di swap.., e, nello stesso tempo, di mise il futuro degli Stati occidentali nelle mani di agenzie di rating private, non regolamentate, quotate in Borsa e manovrate da un gruppo di magnati che intendevano piegare l’Occidente con una guerra finanziaria, usando, appunto, la speculazione finanziaria, i titoli tossici, le agenzie di rating, i debiti nazionali e quell’organismo che è la Banca Europea, creata apposta debole per non minacciare il dollaro.
Ma perché gli Stati uniti sferrarono nel 2008 la loro battaglia contro i paesi europei per mandarli in rovina? Perché l’America aveva perso tutte le sue battaglie, si era sfinita in Iraq e Afghanistan in una guerra costosissima persa su tutta la linea, e aveva un debito che era aumentato 15 volte negli ultimi 30 anni ed era il primo del mondo raggiungendo i 15.000 miliardi di dollari. Perché il dollaro non riusciva più a giustificare la sua pretesa di essere la valuta base del mondo mentre altre valute come l’euro o lo yen o la rupia lo sopravanzavano. Perché, infine e soprattutto, perché il neoliberismo, che era stato la bandiera dell’ideologia americana, stava fallendo e la propaganda non bastava più a diffondere un credo che aveva messo il mondo in ginocchio, aveva aumentato la miseria, aveva accresciuto l’ingiustizia, aveva minacciato la democrazia e aveva messo a rischio il pianeta. E dove la propaganda non basta più, interviene la guerra. E questa crisi finanziaria non è una calamità fatale e casuale. E’ esattamente la guerra che lo Stato più liberista del mondo ha scagliato all’Occidente nella speranza di trascinare tutti nella sua rovina.
E questa guerra non la vinceremo se accetteremo di essere governati da immissari di quello stesso nemico che ci aggredisce.
LA DEREGOLAZIONE
La deregolazione è uno dei dogmi dell’iperliberismo, ed è la convinzione che togliere regole al mercato fa aumentare la concorrenza, ridurre i costi, tiene sul campo gli operatori migliori e raggiunge una maggiore produttività ed efficienza e un benessere collettivo, in quanto sarà il mercato stesso a autoregolarsi nel modo migliore.
I fatti dimostrano al contrario che, togliendo le regole, solo gli operatori più spietati e potenti dominano il mercato; essi eliminano la concorrenza, provocano un aumento dei prezzi, coartano i governi per rovesciare le tasse in modo iniquo e annientare lo stato sociale, colpendo solo i più poveri, non si fermano dinanzi a niente per incrementare i loro guadagni e instaurano comportamenti perversi che alla fine danneggiano i popoli e mandano in rovina gli Stati.
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La deregolazione si afferma come teoria economica negli anni ’70 con le ricerche dell’Università di Chicago e le teorie di von Mises, von Hayek, Friedman e Kahn.
Kahn influenzò il presidente CARTER, che nel 1978 emanò l’Air Deregulation Act per le compagnie aeree con un processo di ampia e rapida deregulation che ribaltò il precedente regime di stretta amministrazione del mercato. Fu il primo netto smantellamento di norme e controlli statali nell’economia americana dal dopoguerra. Ebbe successo e si pensò di allargarlo al resto: il trasporto ferroviario, il trasporto su gomma, la tv via cavo, il mercato dei carburanti e del gas, le telecomunicazioni, i mercati finanziari e la borsa, i servizi elettrici locali e ,infine, alla fine degli anni ’70, ai mercati finanziari, con Carter e poi con Reagan e Clinton, per aiutare l’economia americana che soffriva delle crisi petrolifere degli anni 70.
Le imprese erano favorevoli alla deregolazione e davano possenti contributi alle campagne elettorali per avere presidenti che venissero incontro ai loro interessi contro quelli dei consumatori, ma non c’era molta differenza tra i due partiti e l’iperliberismo era sventolato da entrambi.
Il fallimento del settore creditizio negli anni 80 non cambiò molto questa prospettiva. Gli organismi economici internazionali come il Fondo Monetario o la Banca Mondiale o l’Organizzazione Mondiale del Commercio favorivano l’iperliberismo assoluto e furono loro a spingere verso la deregolazione l’ARGENTINA di Menem. Il risultato delle ricette liberiste fu l’allargarsi della disoccupazione e della privatizzazione fino al default del 2001. Il Giappone era sulla stessa linea fallimentare ma non tagliò le tasse ai più ricchi come i liberisti volevano a causa del grande deficit statale. Ma alcuni paesi asiatici furono spinti al default proprio dal Fondo Monetario.
In USA il credito era fin troppo facile, a tassi quasi zero che però aumentavano col tempo; le banche prestavano soldi quasi gratis e aprivano mutui anche a chi non avrebbe poi mai potuto pagarli e non dava garanzie sufficienti, gonfiando una enorme bolla immobiliare e lo Stato favoriva fiscalmente in ogni modo chi investiva. Si chiusero entrambi gli occhi dinanzi al comportamento scorretto degli operatori finché la crisi detta ‘Saving and Loan’ portò al fallimento di 747 compagnie di Prestiti degli Stati del Sud e il governo la coprì coi soldi dei cittadini. Ne approfittò per vincere BILL CLINTON, il presidente dei Ruggenti anni ’90, che produsse le cause più forti e determinanti della crisi e come prima cosa eliminò il Glass-Steagal Act.
Era una legge istituita dopo le crisi del 29 e del 33, che introduceva misure per limitare la speculazione da parte degli intermediari finanziari e cercava di evitare il panico bancario. Istituiva la Federal Deposit Insurance Corporation per garantire i depositi ed evitare che la gente corresse in banca a prelevare tutto senza trovare contante. E separava banche commerciali tradizionali dalle banche di investimento. Le banche commerciali non potevano fare speculazioni coi soldi dei loro clienti. Ma Clinton eliminò queste regole e aprì la porta ai derivati tossici che impestarono tutto e poiché le banche commerciali ci investirono, impestarono anche i depositi dei clienti. Intanto la crisi maturava a partire da Cleveland e le zone a maggior impiego operaio per colpa delle delocalizzazioni che produssero disoccupazione e per l’esplosione dei mutui che non potevano essere ripagati e che erano stati dati o a chi non si era non si reso conto degli interessi progressivi o era rimasto disoccupato. Alla fine del 2006 la bolla esplose. La Fed corse subito a rialzare i tassi ma era tardi. Il fallimento di chi non poteva più pagare il mutuo produsse il fallimento delle banche.
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Ma è con il libero accesso ai titoli tossici che la crisi americana diventa la crisi di mezzo mondo.
Il settembre-ottobre 2008 sotto Clinton sono epocali. La crisi diventa sistemica. I media cominciano a parlarne dopo i clamorosi crolli di borsa della prima metà di ottobre. Ancor oggi non tutti gli analisti concordano che ciò che ha portato a un crisi totale è il lassaiz-faire, ma attaccare la deregolazione significherebbe attaccare il primo dogma del liberismo. La logica sottostante alla deregulation è che mercati più liberi siano in grado di produrre risultati superiori e di far fluire i capitali verso i loro impieghi più produttivi, spingendo l'economia e migliorando il benessere.
Oggi questa teoria si dimostra sbagliata. Mercati finanziari più liberi creano soltanto danni maggiori.
Joseph Stieglitz, professore di economia alla Columbia University e Premio Nobel nel 2001, chiede un sistema di regolamentazione efficiente:
“Credo che debba essere data ampia libertà agli uomini di negoziare gli uni con gli altri, finché non rechino danno ai terzi. Ma le istituzioni finanziarie sono responsabili dei soldi di altri. Quando falliscono, anche il nostro sistema economico fallisce e vi è un gran numero di vittime innocenti. È per questo che il governo è intervenuto con i salvataggi, non soltanto in questa occasione ma ripetutamente. Il settore finanziario ha ripetutamente mostrato che, senza regolamentazione, semplicemente non è in grado di essere responsabile della gestione di soldi altrui in modo prudente, senza mettere a repentaglio l'intera economia. E i depositanti comuni, i piccoli investitori e coloro che risparmiano per la loro pensione semplicemente non sono in grado di esercitare autonomamente un'adeguata supervisione. Questa costituisce un bene essenzialmente pubblico. Tutti beneficiamo da istituzioni finanziarie ben regolate. Le nostre istituzioni finanziarie hanno fallito, ma in parte hanno semplicemente fatto quello che fanno le imprese del settore privato, hanno massimizzato il benessere dei loro manager. Oggi abbiamo bisogno di un sistema regolatore degno del ventunesimo secolo per essere sicuri che, in futuro, essi prendano in considerazione le conseguenze più ampie delle loro azioni”.
Altre critiche investono la Fed, la banca centrale americana. Nel periodo precedente la crisi, essa non è riuscita a capire la portata dei rischi che si andavano formando. A partire dalla recessione del 2001, infatti, la Fed ha mantenuto il tasso ufficiale di sconto a livelli inferiori al 2% fino al 2006 e questo ha alimentato la bolla immobiliare.
Nel Luglio 2007, Bear Sterns ha rivelato i danni arrecati dai mutui subprime su due dei propri hedge fund; è seguito il fallimento di Lehman Brothers. La Fed in questa seconda fase è intervenuta in modo massiccio, oltre ogni precedente storico. Ha ripreso la politica di riduzione dei tassi per ridare respiro all'economia e ha usato il proprio bilancio per aiutare le banche commerciali e d'investimento in difficoltà con i loro titoli tossici. Questi interventi si sono basati sulla fede che il sistema bancario fosse strutturalmente solido e sufficientemente capitalizzato e nell'illusione che vi fosse soltanto un temporaneo problema di illiquidità, piuttosto che di insolvenza.
Gli errori dei presidenti americano hanno spinto alla recessione mezzo mondo
Una delle conseguenze più sconvolgenti della crisi è stata la fine dell'era delle banche d'investimento indipendenti. Lehman Brothers è fallita, Merrill Lynch e Bear Sterns sono state acquisite a prezzi di liquidazione rispettivamente da parte di Bank of America e da JP Morgan Chase, Goldman Sachs e Morgan Stanley, le uniche due sopravvissute, si sono trasformate in banche commerciali.
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INSIDE JOB
Guardate INSIDE JOB sulle cause finanziarie della crisi, bellissima inchiesta vincitrice dell'Oscar per il migliore documentario del 2011, primo e strepitoso documentario sulla crisi del 2008, che racconta lo scandalo della Grande Recessione, con una lista che lega in un unico "file" dx e sx nel nome di Wall Street.
Il milionario Charles Ferguson diventa regista e firma il documentario che va a caccia dei colpevoli e di quelli che hanno provocato la crisi finanziaria mondiale. Con molte reticenze: da Greenspan a Bernanke.
Il film parla della scioccante verità che si cela dietro la crisi economica del 2008. Il crack finanziario globale di oltre 20 trilioni di dollari che è costato il posto di lavoro e la casa a milioni di persone e che ha messo in pericolo la stabilità economica di paesi industrializzati, dagli Stati Uniti All'Islanda, dalla Cina alla Grecia.

Recensione di repubblica
Alan Greenspan, presidente della Fed scelto da Ronald Reagan, confermato da George Bush padre, confermato da Bill Clinton, riconfermato da George Bush figlio: "Non ha voluto farsi intervistare per questo film".

Ben Bernanke, presidente della Fed scelto da George Bush figlio, confermato da Barack Obama: "Non ha voluto farsi intervistare per questo film".

Larry Summers, ex segretario al tesoro di Clinton, direttore del Consiglio Economico di Obama: "Non ha voluto farsi intervistare per questo film".

Tim Geithner, segretario al Tesoro di Obama: "Non ha voluto farsi intervistare per questo film".

Non è uno scandalo? Uno capisce il no di Lloyd Blankfein, il Vampiro di Goldman Sachs, compagnia privata. Ma un funzionario pubblico? "Sono rimasto sconcertato quando l'amministrazione Obama al gran completo ha evitato di parlarmi, anche informalmente. E in tanti casi, Geithner compreso, senza dare neppure una spiegazione".

Ma Ferguson la sa bene la spiegazione. Inside Job, espressione inglese per indicare appunto il crimine commesso da chi ha mani in pasta, racconta l'assassinio dell'economia mondiale come se fosse un giallo. E indicando da subito un sospetto: la deregulation voluta da Reagan. L'accusatore parla per conoscenza diretta.
Classe '54, laureato in matematica a Berkeley e in scienze politiche al Mit di Boston, Ferguson si è arricchito vendendo per 133 milioni la sua invenzione, Vermeer Technologies, a un certo Bill Gates. E da allora s'è dato al cinema. Quello, molto particolare, dei documentari. Che dal suo "No Exit in Sight" sulla guerra in Iraq a quel "Waiting For Superman" di Davis Guggenheim sul disastro della scuola americana sta riscattando la pigrizia di Hollywood a confrontarsi con la realtà. E invece Ferguson è tutto tranne che pigro.

Incalza l'ex presidente della Fed Paul Volcker ("Come giudica gli stipendi di Wall Street?". "Eccessivi") e il ministro francese dell'economia Christine Lagarde ("Stavamo a guardare lo tusnami che arrivava"). E poi i professoroni del conflitti d'interesse. Come quel Glenn Hubbard, capo dei consiglieri economici di Bush e oggi preside di Business alla Columbia: "Scusi, ma lei non è quello che aveva firmato il documento sulla solidità finanziaria dell'Islanda?". "Adesso basta! Ha solo altri quattro minuti: spari la sua cartuccia migliore...".
Naturalmente Ferguson nella sua caccia trova anche i suoi eroi buoni: come il profeta inascoltato Nouriel Roubini e, sorpresa, l'ex procuratore e governatore di New York, Eliot Spitzer, quello che fu sorpreso in un giro di prostitute. "Beh, i fatti suggeriscono che fu davvero preso di mira. Certo ha fatto volontariamente quello che ha fatto, ma sembra proprio che sia finito al pubblico ludibrio proprio per il ruolo che aveva avuto nel ripulire Wall Street. E per i nemici politici che si era fatto". Che mondo. Non è un caso che l'altra eroina di Charles sia Kristin Davis, la maitresse che rivela le notti a mille dollari a botta e ancora si chiede com'è possibile che i suoi clienti fatti di cocaina potessero poi rappresentare in Borsa i risparmi degli investitori.
Non si salva nessuno? Robert Gnaizda, il fondatore del Greenling Insitute, una vita con i consumatori, dice che anche con Obama, che s'è portato al governo quel Geithner ex capo della Fed di New York, è cambiato poco: "È lo stesso governo di Wall Street". Scusi, Ferguson, ma così non fa il gioco della destra alla vigilia delle elezioni? "Il mio dovere di film maker, di giornalista, è dire la verità, indipendentemente dalle conseguenze politiche. Però spero anche che il film possa finalmente spingere verso una riforma più forte".
E adesso? Dopo averci raccontato lo scandalo dell'Iraq e quello di Wall Street, Mister Denuncia non sa ancora su cosa puntare. Eppure ci sarebbe una storia meravigliosa: un imprenditore pieno di debiti decide di entrare in politica e a colpi di corruzione diventa l'uomo più ricco, il primo ministro, il protagonista di scandali piccanti... Non è una bellissima storia? E poi vuole mettere girare in Italia? Lo sventurato sorrise: "Terrò presente il consiglio...".
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Analisi
INSIDE JOB, IL DOCUMENTARIO CHE SPIEGA LA CRISI
Marco Braghieri
Inside Job è il documentario premio Oscar 2011 che spiega l'origine e la dinamica della tempesta perfetta della crisi del 2008. Un film a tutti gli effetti, solo che “questa è la realtà”. Le voci e i volti delle persone protagoniste della crisi, una spiegazione semplice ma non semplicistica. In Italia è arrivato in dvd solo a settembre, senza essere prima proiettato al cinema. Questo per un documentario che su Rotten Tomatoes, un aggregatore di recensioni, ha totalizzato il 98% di giudizi positivi. Trasmesso da Servizio Pubblico, riproponiamo la nostra analisi.
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Inside Job parte dall’Islanda per spiegare, meglio di ogni altro, la crisi finanziaria del 2008. Parte dall’Islanda per spiegare la crisi di Wall Street e dell'economia mondiale, perché la crisi finanziaria dell’isola atlantica è stato il preludio alla tempesta perfetta. Le riprese del regista Charles Ferguson volano sopra New York, cercano di abbracciare una città e una crisi che, come dicono i titoli di testa «è costata a decine di milioni di persone i loro risparmi, il loro lavoro e le loro case».
Il sito di Inside Job recita con ironia: “il film che è costato 20 trilioni di dollari” e raccoglie, oltre a una scheda di ogni persona intervistata durante il documentario, anche il rosario di quelli che hanno rifiutato un’intervista al regista Charles Ferguson. Fra questi: Mary Shapiro della Sec, Daniel Mudd della statalizzata Fannie Mae, Lawrence Summers, consigliere economico di Barack Obama, Alan Greenspan, ex presidente della Federal Reserve, Lloyd Blankfein di Goldman Sachs, Charles Prince di Citigroup, Ben Bernanke, presidente della Federal Reserve e Henry Paulson, ex segretario del Tesoro dell’amministrazione Bush.
Il film ha vinto l’Oscar per il miglior documentario nel 2011 ed è tutto costruito sulle voci dei protagonisti, intervistati con ritmo e spinti a offrire risposte comprensibili. Oltre alle loro voci, una parte del documentario è dedicata alla spiegazione del mercato dei derivati e dei credit default swap. Oltre a questo, la narrazione supera di slancio anche il capitolo delle retribuzioni dei manager per focalizzarsi sul fatto che i controllori finiscono troppo spesso per lavorare per i controllati e viceversa.
In Italia gira in dvd senza essere stato proiettato al cinema.
Come ha scritto Time, “Se questo documentario non vi ha indignato, non eravate attenti”.
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L’inizio Del documentario
LA VERA CAUSA DELLA CRISI DELL’ISLANDA
L’Islanda è una democrazia stabile con un’alta qualità di vita e, fino a poco fa, un livello di disoccupazione e di debito pubblico molto basso. Avevamo tutte le infrastrutture di una società moderna. Energia pulita, la pesca contingentata, una buona sanità, una buona educazione, aria pulita, poca criminalità. Un bel posto dove vivere per le famiglie. Avevamo quasi creato una società ideale.
Ma nel 2000 il governo islandese cominciò ad attuare una politica di ‘deregolamentazione’ che ebbe conseguenze disastrose prima per l’ambiente poi per l’economia. Il governo consentì a delle multinazionali come l’Alcoa di impiantare impianti per la produzione dell’alluminio e di sfruttare le aree geotermiche islandesi. Le più belle aree montuose con i colori più spettacolari sono geotermiche e nulla accade senza conseguenze.
Allo stesso tempo il governo privatizzò le 3 banche islandesi più importanti, il risultato fu uno dei più puri esperimenti di ‘deregolamentazione finanziaria’ mai presentati. Gli interessi finanziari hanno distrutto il paese. In 5 anni queste 3 piccole banche che non avevano mai operato fuori dell’Islanda si fecero prestare 120 miliardi di dollari…
Ci fu una bolla speculativa gigantesca, i prezzi delle azioni salirono di 9 punti. Il costo degli immobili raddoppiò…Le banche misero su dei fondi monetari consigliando ai propri clienti di investire su questi fondi.
Società contabili americane fecero delle verifiche.
E le agenzie americane dissero che l’Islanda era meravigliosa.
Le agenzie di rating dettero a queste banche la tripla A.
Praticamente il governo svolgeva per queste banche il ruolo di ufficio di pubbliche relazioni. Quando le banche islandesi collassarono, la disoccupazione triplicò in 6 mesi. Molti persero tutti i loro risparmi. I regolatori finanziari che avrebbero dovuto proteggere i cittadini non fecero niente.1/3 dei regolatori finanziari islandesi sono andati a lavorare per le banche. Ma il problema è a universale, in Islanda come a New York..
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La scena finale di V come vendetta
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LE AGENZIE DI RATING
Questo è il meglio che ho trovato. Lo riassumo per voi da Report http://www.rai.it/dl/docs/1320007213673effetto_valanga_pdf.pdf
Tre sorelle controllano il 95% del mercato, S&P, Moody’s e Fitch, dicono agli investitori se un’azione o un’obbligazione è sicura o no e votano anche il debito degli Stati.
Dopo l’ultimo declassamento in crollo mezza Europa e anche Wall Street. Perché proprio adesso che il Congresso ha autorizzato la Fed a stampare più dollari e possono rimborsare i debiti! E perché hanno declassato il debito italiano? La mossa è politica. Intimidiscono Obama che vuole una legge sulla trasparenza sulle agenzie e l’UE che vuol fare una agenzia europea e chiede più regole. Così loro si vendicano.
Chi sono i proprietari di queste agenzie? S&P è posseduta da McGraw-Hill,un editore, ma dentro ci sono i maggiori fondi di investimento, quelli stessi che possono far soldi se le agenzie declassano. Conflitto di interessi mostruoso! Valutanoil nostro fallimento e guadagnano se falliamo perché ci sommettono contro.
Togliere una A a uno Stato scatena un terremoto di vendite di obbligazioni e quello Stato si indebiterà di più per pagare gli interessi sul debito. Ma non sono agenzie serie. Proprio loro hanno dato una tripla A a quei titoli tossici sui mutui americani che hanno mandato in crisi mezzo mondo. C’è tanto debito pubblico nelle pance di banche e di fondi in tutto il mondo. Lo vendono, lo ricomprano e poi lo rivendono e impestano ovunque. Sempre più velocemente. I prezzi scendono, i tassi salgono, pochissimi ci guadagnano mentre gli Stati si indebitano sempre di più e tagliano spesa pubblica e servizi sociali. La stessa storia dappertutto, finché lo Stato fallisce.
Può durare? Dipende solo da quanto può andare avanti questa truffa per cui gli Stati dipendono dai mercati.
35 anni fa qualcosa ha cominciato a scricchiolare. Sappiamo che il meccanismo su cui si regge, si fonda sull’iperliberismo: investire, produrre, vendere, lavorare. Ma a un certo punto la crescita rallenta, non è che una famiglia può cambiare frigorifero ogni anno, e allora si comprimono i salari, e i profitti, che devono sempre rimanere alti, si trasferiscono nella finanza, invece di andare in innovazione o produzione.
E il mercato della Finanza si dilata come una bolla mostruosa che incombe su tutto il mondo. Oggi la Finanza supera di 20 volte il Pil globale. E il debito, che è sempre stato uno strumento di sviluppo, ha preso la strada dei circuiti finanziari internazionali, e ha tirato dentro il debito di altri Stati. La ricchezza non è sparita, ha solo preso un’altra direzione, e allora noi per chi ci stiamo sacrificando? Non c’è mai stata tanta ricchezza come nel nostro tempo ma si ammucchia su poche teste lasciando in miseria crescente tutti gli altri. Alcuni in questo momento stanno molto bene, anzi stanno guadagnando molti soldi proprio perché hanno scommesso sulla crisi, si arricchiranno col fallimento della Grecia, poi del Portogallo, poi dell’Italia…
Le speculazioni o le scommesse non creano valore, distruggono vita. Il mondo della Finanza si dovrebbe occupare di amministrare e mettere a disposizione denaro per produrre beni e servizi. E’ invece diventato un buco nero che attira a sé tutto e lo distrugge. L’economia reale gli fa solo da base per le scommesse, che sono 10 volte più grandi del prodotto lordo globale. Si parla di 600 trilioni di dollari americani senza contare che molto si svolge dietro le quinte, senza controllo. E queste scommesse sono capaci di mettere in ginocchio il mondo! La ricchezza si produce dal basso e va verso l’alto nelle mani di pochi che ne traggono vantaggio e nell’immiserimento di tutti.
E quasi tutte le operazioni sono virtuali. Prendo in prestito titoli di debito pubblico che non possiedo nemmeno, li vendo, e il prezzo si abbassa, se sono in tanti a fare la stessa cosa, e li ricompro dopo a prezzi stracciati. Ho rischiato poco e niente e ho messo in ginocchio il mondo. Se io vendo titoli che non ha per un miliardo, e ci guadagno l’1% in un giorno ho fatto 10 mln di euro.
Fare lo speculatore di Borsa è un mestiere legittimo, ma che utilità ha? Gli speculatori possono aumentare a piacere il debito di un paese ottenendone grandi lucri. Ma che senso ha che il governo di quel paese non debba rispondere ai cittadini ma agli speculatori? In questo modo il Governo dà via la sua sovranità. Cade ogni forma di democrazia.
Perché deve obbedire al FM o alla BM? Mi porteranno sempre più in basso perché favoriscono gli speculatori e non gli Stati.
La Bce si sente dire dalle banche; ”O ci aiutate o falliamo”. Ma la Bce è pubblica e le banche sono private. Perché la Bce non deve aiutare gli Stati ma aiuta le banche private, le quali mettono gli aiuti presi non in ripresa ma in speculazione?
A un Paese indebitato gli investitori istituzionali dicono: non vi prestiamo più danaro
se non ci pagate interessi più alti. E la BCE è costretta a ricomprargli i titoli al di sotto
del prezzo di mercato. Se smette di comprare, gli speculatori aumentano il ricatto nei confronti di quel Paese. E’ quello che è successo all’Italia fra fine luglio/primi di agosto 2011. Per 2 settimane i tassi si sono abbassati ma poi si sono rialzati e il gioco è
ricominciato.
Se il Pil lordo del mondo nel 2010 è stato di 74 mila MLD di dollari, la finanza non lo guarda nemmeno in faccia: solo il mercato obbligazionario vale 95 mila miliardi, le borse 50 mila, i titoli derivati 466 mila MLD di dollari. Un movimento 8 volte più grande di agricoltura, industrie e servizi messi insieme.
Le economie mature non possono più espandersi a ritmi sostenuti ma il capitale non intende smettere di crescere. E allora, sposta il suo centro di valorizzazione nella finanza. Il nuovo bottino è il debito degli Stati che aumenta sempre di più.
Le politiche neoliberali, di finanziarizzazione dell’economia, impongono ai governi di gravare le tasse solo sui più poveri liberando i più ricchi.
In UE sono state ridotte le imposte alle imprese di 10 punti. Sono state fortemente ridotte le imposte ai ricchi e ai super ricchi, eliminate o drasticamente ridotte le imposte sul patrimonio e quelle di successione. E’ il liberismo ma questo ha cominciato a scavare nei bilanci buchi enormi.
In Italia, le quote nominali d’impresa sono state abbassate di 10 punti in 20 anni, e per di più, l’Italia ha una forte evasione fiscale.
Se fino a 20 anni fa solo il 5% del debito pubblico era nelle mani di investitori stranieri, oggi è più del 55%. Quindi deve fruttare al massimo.
Per gli investitori lo scopo non è di guadagnare dai dividendi o dagli interessi, ma scommettere sui cambiamenti di valore del titolo stesso, in rialzo o in ribasso. Li vendo sul mercato in quantità abbastanza grandi da avere un effetto di caduta del prezzo che indurrà anche altri operatori a vendere. Quindi scommettendo sul fatto che il prezzo nelle prossime ore o nei prossimi giorni continuerà a scendere. Quando il prezzo è caduto abbastanza li ricompro a un prezzo più basso, se vendo a 100 e abbasso di 90, ci guadagno. Chi ha giocato al ribasso ha incassato bei soldoni. E lo Stato che ha emesso i titoli di ritrova a dover pagare interessi più alti, facendo crescere il debito.
Primavera 2011. La Deutsche Bank possiede una grande quantità di titoli del debito italiano e comincia a sbarazzarsene. Più di 8 MLD di euro. Così aumenta lo spread e fa acquistare valore ai titoli tedeschi. Sono 15 anni che le multinazionali della finanza condizionano le politiche monetarie delle banche centrali. Sono strategie speculative. Si può scommettere anche sul fallimento di uno Stato e portarlo a fallire.
La Deutsche Bank è un giocatore importante che può decidere se l’Italia o la Grecia, , dovranno fallire o no. E’ pazzesco pensare che interi Paesi dipendano da qualche banca d’investimento o da qualche agenzia di rating.
La Deutsche Bank ha anticipato e ha venduto i titoli italiani quando questi valevano ancora 100. In seguito alla sua vendita, dopo che ha incassato per 8 mld di titoli, questi cominciano a perdere valore. Le altre banche che hanno alcuni di quei titoli si trovano con un patrimonio diminuito, si sentono in sofferenza, chiedono che l’Italia ne aumenti il valore e cercano di liberarsene facendoli crollare, innescando un meccanismo di speculazione al ribasso e un meccanismo di fallimento per l’Italia..
Prendiamo i CDS, credit default swap, una specie di polizza assicurativa contro il fallimento, e vediamo che 5 banche controllano il 95 % del mercato. I CDS sono assicurazioni che si possono comprare anche se non si possiedono i titoli
di debito. Ma, mentre se fa una assicurazione per es. contro l’incendio della tua casa la casa è tua, con i CDS si può comprare l’assicurazione sulla casa di un altro, e si ha interesse a che prenda fuoco. Se i banchieri comprano CDS sul rischio fallimento Italia senza possedere i titoli italiani, avranno interesse a che l’Italia fallisca.
E’ quel che ha fatto la famigerata banca d’affari americana Goldman Sachs. Fa speculazione al ribasso investendo in CDS che aumentano di valore se crollano le azioni delle banche europee. Insomma specula sul fallimento europeo (e manda pure gente come Draghi, Monti o Papademos in UE così da farla fallire prima. Poi Oscar Giannino ride se qualcuno parla di attacco all’euro!!). Ma Goldman Sachs è anche consulente di molti Stati europei, custodisce tanto debito spagnolo e ha avuto un ruolo forte nella sistemazione dei conti della Grecia. E guardiamo dunque come l’hanno fatta fallire! Queste sono perversioni!
10 anni fa Goldman Sachs consigliò il Governo greco su un titolo molto complicato che aiutò il Governo a taroccare i conti, a nascondere il fatto che il debito stava aumentando troppo. E’ un palese conflitto di interesse (Monti ci ha detto che nel suo governo non c’erano conflitti di interesse. Ma è proprio il suo governo il conflitto supremo: farci fallire il più rapidamente possibile).
Usano con una mano il mercato per i propri profitti e con l’altra danno consigli agli Stati infiltrandoci propri emissari per farli fallire prima e scommettere, vincendo, su questo fallimento.
Dopo la crisi del 29, in USA avevano fatto una legge che regolava le banche: il Glass Steagall Act, che divideva le banche commerciali con attività tradizionali e garantite dallo Stato dalle banche d’affari con attività speculative. Ma il sistema bancario fece pressione per abolire la distinzione, dicendo che troppi lacci e lacciuoli facevano male, non era liberismo, doveva essere il mercato a regolare tutto. E come regoli il mercato lo abbiamo davanti agli occhi!
La crisi deriva proprio dall’abbandono di ogni regola .
Purtroppo l’ubriacatura ha contagiato tutti, anche i partiti che dovevano contrastare il neoliberismo: Labour o socialdemocrazia tedesca, socialisti francesi, Pd, socialisti spagnoli.. hanno adottato tutti la stessa prospettiva dell’avversario.
E così Clinton abolì il Glass Steagal Act.
Le banche godono di protezioni assurde: hanno l’assicurazione pubblica sui depositi e quindi pagano ai depositanti un prezzo più basso, però possono usare il capitale per investimenti ad alto rischio, con la logica che se va bene guadagna la banca, se va male i contribuenti pagheranno le perdite.
Eliminate le regole da Clinton, le banche di tutto il mondo si sono messe a fare di tutto: raccolta del risparmio, speculazione, costruzione e vendita di titoli di debito..
E le agenzie di rating si sono messe da dare i voti mentre i titoli tossici si spargevano ovunque, anche nei debiti degli Stati.
In USA coi subprime si cominciò a dare mutui a tutti, anche a gente che non avrebbe mai potuto pagarli, mentre le banche spargevano nel mondo titoli tossici, senza copertura. Appena i debitori si trovarono a non poter più pagare, crollò mezzo mondo, quei titoli erano tossici e cominciò l’effetto valanga dal crollo del mercato immobiliare Usa a tutto il mondo che aveva comprato quei titoli.
Nel 2008 fallisce Lehman Brothers, e il sistema bancario internazionale trema.
Ma queste banche che non rispettano più alcuna regola e fanno fallire il mondo non sono sottoposte a nuove regole, non pagano per i loro misfatti, no, sono salvate con denaro pubblico o con spropositati prestiti a tasso zero fatti dalla Fed, 16.000 mld di dollari, senza nemmeno l’approvazione del Congresso, perché il denaro la Fed lo fa con un click del mouse.
E i G8 o i G20 si succedono senza cha i Governi bambino qualcosa.
Qual è il nesso tra le crisi cicliche e le agenzie di rating?
Il punto è che gli investitori bancari pagano le agenzie di rating per farsi dare il voto di affidabilità necessario per vendere quei titoli. C’è un conflitto di interesse. Se le
agenzie avessero fatto bene il loro lavoro, nel caso dei mutui sub prime, non
avrebbero mai dato a quei titoli voti alti, nessuno li avrebbe comprati e non ci sarebbe stata crisi. Ed è proprio per questo che nasce la crisi di oggi! Perché queste agenzie non sono arbitri indipendenti, sono parte dello stesso sistema. L’intera situazione è incestuosa.
Non c’è nessuna legge sulla trasparenza. I Governi non la vogliono! E appena Obama o l’UE la propongono, ecco che arriva la punizione del declassamento!
Nessuno sa come queste agenzie prendano le proprie decisioni, perché è considerato un segreto commerciale. La legge che è passata l’anno scorso contiene qualche regola regole per le agenzie, ma è molto debole, perché i repubblicani e metà dei democratici portano avanti lo stesso modello di capitalismo. Quindi anche dopo una crisi come questa nessuno dei due partiti ha una reale volontà di riformare radicalmente il sistema.
In pratica siamo all’assurdo che a dettare legge a livello mondiale sono 3 agenzie di rating e 10 soggetti principali, tra banche e società di intermediazione immobiliare. Oggi, avendo speculato al ribasso, per loro il mercato è buono, i prezzi sono bassi e si può ricominciare a comprare.
Quindi quando i cittadini dei vari Stati, Italia compresa devono tirare la cinghia nei
confronti di chi tirano la cinghia?
E allora che senso ha che i governi facciano manovre lacrime e sangue e lo sviluppo del paese? I tagli fanno diminuire ancora l’occupazione, allargano la recessione, innescano una spirale negativa. Meno spesa, meno produzione, più licenziamenti, più fallimenti…Le imprese non si sviluppano, gli stipendi non crescono, la disoccupazione
aumenta ed entrano meno tasse. Risultato? Aumenta il rapporto debito/pil.
Se io taglio i consumi, i consumi si riducono, non si investe, non si produce, e il Pil scende, e se poi devo pagare il debito che sale, non spendo per lo sviluppo (come fa Monti), dentro un ciclo perverso che una parte comprime la domanda, dall’altra fa aumentare il debito e interessi sul debito.
E questo lo vediamo chiaramente sulla Grecia.
Per anni le banche, indisturbate, si sono fatte i loro affari loro, e ogni volta è intervenuto lo stato per salvarle, aumentando quel debito, che i cittadini pagano con le loro tasse e i tagli ai servizi, ma siccome la disoccupazione aumenta, le entrate nelle casse statali scendono e, allora, quel debito viene declassato ancora.
E per andare avanti quegli Stati devono emettere nuovi titoli sui quali pagheranno interessi sempre più alti altrimenti nessuno li compra, in un peggioramento senza fine. Come se ne esce?
Ci stiamo sacrificando per ingrassare la speculazione.
E la politica è succube di tutto questo. E chiede solo di continuarlo abbassando sempre più la testa.
Al momento si salva solo la Germania e qualche Stato del Nord, ma per quanto?
Il sistema ha retto finché gli Stati Uniti continuavano a comprare in abbondanza
dal mercato asiatico, e finché la Germania ha potuto esportare in Oriente. Tutto il modello dipendeva dall’indebitamento degli Stati Uniti.
Ma ora è finita. La bolla del debito è scoppiata e gli investitori temono che le manovre finanziarie dell’Europa meridionale e degli Stati Uniti possano portare a una diminuzione delle esportazioni tedesche. La Germania esporta circa 100 MLD di euro ogni anno nel sud dell’Europa dove vuole che siano applicate manovre restrittive. Ma se le manovre sono troppo restrittive chi comprerà più anche dalla Germania?
Il gioco è sempre più pericoloso e la Germania si scava la propria fossa se costringe i partner commerciali europei a consolidare i propri bilanci in una situazione di crisi!
La cosa ancora più assurda è che la Germania rifiuta aiuti alla Grecia e nello stesso tempo impone alla Grecia una spesa in armi spropositata.
Da una parte si dice: “la Grecia deve risparmiare, deve diminuire le prestazioni sociali, deve pagare peggio i dipendenti pubblici, li deve licenziare a migliaia, ma deve rispettare tutti i contratti militari che ha con la Germania!
Ma che Europa è quella in cui ci facciamo concorrenza tra Stati e la Germania vuol far fallire la Grecia? Sarebbe come se il Texas mettesse in difficoltà la California!
Abbiamo fatto una strana Europa, dove c’è l’euro ma non c’è una banca europea che aiuti gli Stati o stampi euro all’occorrenza come fa la Fed con i dollari. Abbiamo fatto l’Europa delle banche che se ne infischiano degli Stati e li usano solo per salvare le banche!
Ed ecco che la Bce presta alle banche private la bellezza di 498 miliardi di euro al tasso dell’1,25% quando loro li prestano al 6 o 7. Perché la BCE non presta questi soldi direttamente agli Stati? Perché è stata congegnata per arricchire e salvare solo le banche private?
D’altronde le soluzioni che si discutono per la crisi greca e italiana, sono negoziate con le grandi banche che sono creditrici della Grecia, del Portogallo, dell’Italia e della Spagna (e al G20 di Cannes era presenti le grandi banche e nulla è stato fatto contro di loro).
Così la Bce ad agosto, in piena crisi, scrive al Governo italiano per sollecitare un’azione per ristabilire la fiducia degli investitori: tagliare i salari, intervenire sulle pensioni e sul pubblico impiego e ridurre gli stipendi, con decreto legge.
E’ un intervento irrituale, perché c’è un vuoto di governo a livello europeo. Nessun governo Ue può intervenire sulla Bce, ma lei può intervenire sui governi!!
Ma la politica economica la deve fare la Bce o l’UE?
Manca un’Unione Europea che faccia una politica economica, manca un governo europeo dell’economia e manca una vera unione fiscale.
I governi nazionali nella paura di cedere sovranità, si stanno facendo mettere i piedi
addosso. E finiscono proprio per perdere ogni sovranità scippata da una banca.
Occorre più Europa, più potere alle istituzioni democraticamente elette, non alla BCE che non è una istituzione eletta.
La speculazione internazionale ha buon gioco ad attaccare l’Europa perché è fragile e ogni paese, non governando la propria moneta, ha delle difficoltà ad aggiustare il suo debito.
Ora, se l’Europa fosse un soggetto politico vero, con un unico bilancio, un’unica
politica fiscale, un’unica politica economica, estera, un unico esercito, avrebbe un
indicatore economico superiore a quello dei disastrati USA e non ci faremmo mettere i piedi sul collo dai diktat americani. Invece abbiamo un’unica moneta, ma non una vera federazione di Stato... e allora: strada spianata all’avidità dei più forti.
Prima erano le organizzazioni religiose a guidare il mondo, poi i governi. Ora sono le multinazionali della finanza. Non importa chi siano i governi o cosa fanno, i grandi poteri liberisti vogliono risorse e mercati e faranno di tutto per controllarli.
Non è mai successo che un paese si sia sviluppato con i soldi del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale. Non appena vi finanziano, vi presentano le condizioni: privatizzazioni di tutto e distruzione dei diritti del lavoro e del welfare.
E privatizzare vuol dire gettare tante persone sul lastrico: si tagliano posti di lavoro, crescono i prezzi e il paese decade. E i governi vanno pure a Washington a farsi dettare dal FM come devono governare.
Sul debito è cresciuta un’economia vigorosa, ma i profitti sono finiti nelle mani di pochi ingordi, che si stanno mangiando anche gli Stati.
L’esempio dell’Islanda è illuminante, anche se è un paese piccolo. Dimostra che i
cittadini, volendo, possono innescare un cambio di modello. Si può e si deve
pretendere di sapere tutto di qualcuno quando gli consegniamo le chiavi di casa, altrimenti te la può svaligiare.
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LA GRECIA BRUCIA
Piergiorgio Odifreddi
La Grecia è arrivata alla resa dei conti. Il Parlamento si accinge a capitolare di fronte al plotone d’esecuzione costituito dalla troika, Unione Europea, Banca Centrale Europea e il Fondo Monetario Internazionale.
La società civile protesta violentemente di fronte al Parlamento. Il primo ministro Papademos, alter ego del nostro Monti, ha dichiarato che “il vandalismo e la distruzione non hanno un posto nella democrazia”: le stesse parole usate ieri, in maniera preventiva, da Napolitano.
Naturalmente, i mandanti (im)morali della troika, e gli esecutori materiali del governo greco, presentano le misure che stanno per essere adottate come “inevitabili e necessarie”: le stesse parole che abbiamo sentito anche noi, fino alla nausea, dal colpo di mano del 9 novembre 2011 a oggi. E queste misure (udite, udite!) consistono in: “Una radicale riforma del mercato del lavoro, con una profonda liberalizzazione. Una diminuzione di oltre il 20% del salario minimo garantito, e un taglio delle pensioni. Una drastica economia di spesa in settori pubblici, come gli ospedali e le autonomie
locali. E la vendita dei gioielli di famiglia, come le quote pubbliche in petrolio, gas, acqua e lotteria”.
Queste misure non si chiamano “austerità”, o “sacrifici”, ma distruzione dello stato sociale e svendita del pubblico al privato. Esse sono dello stesso tenore, vanno nella stessa direzione, e sono ispirate dalla stessa insana ideologia, delle “riforme” che il nostro governo sta cercando di far passare anche da noi. E che, per ora, il nostro popolo ex-sovrano ha mostrato di accettare con maggior spirito di sopportazione, e minor spirito di sopravvivenza, di quello greco.
Scalfari ha scritto che “il fallimento di due o tre paesi dell’Eurozona avrebbe ripercussioni molto serie sul sistema bancario internazionale, obbligando gli Stati nazionali a nazionalizzare totalmente o parzialmente una parte notevole dei rispettivi sistemi bancari”. Ma, più che una minaccia, questa dovrebbe essere percepita come una speranza! Perché ormai è chiaro che le banche hanno una buona parte di responsabilità nella crisi mondiale, avendola fomentata con una manovra di strozzinaggio In due tempi: dapprima, finanziando e comprando una larga parte dei debiti sovrani degli stati, e poi, minacciando di chiederne la restituzione. Gli uomini delle banche al governo, in Grecia come in Italia, ci spiegano che dobbiamo piegarci al ricatto, pagando il riscatto della svendita dello stato. I dimostranti di Atene dimostrano, appunto, che si può dire no agli strozzini, anche quando ti puntano la pistola alla tempia, e sono pronti a premere il grilletto.
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Riprendo alcuni commenti
Questa serie di misure non sono altro che il compimento di un sistema che tende ad autofagocitarsi, non trovando da nessuna parte sfogo alle proprie smanie di crescita. Che la finanza predatoria sia diventata la forma tumorale del sistema capitalistico è
evidente. Basta guardare in giro, la politica propriamente detta ormai ovunque si fa dettare l’agenda dalle enclaves finanziarie, vuoi che si parli di Italia, Germania, USA, perfino la Cina. Il problema e’ che le enclaves finanziarie, le banche ormai strafallite che sono dietro a questo disastro, agiscono come enti tumorali a pieno titolo: hanno preso il comando, si fanno servire dalle parti sane del sistema, per ampliare fino all’impossibile la propria crescita. Senza una sana economia dei fondamentali alla base, finanza e circo annesso sono puro vuoto. Qua abbiamo scambiato l’aria che forma la schiuma del latte per latte stesso. Ma, su altre scale e da un diverso punto di riferimento, più lontano ed obiettivo, tutto questo è inevitabile. Questa crisi ha origini
termodinamiche, scritta a lettere di fuoco nella ormai certa crisi energetica che ci stritola silenziosamente ormai dal 2005, e l’attuale paradigma economico che sull’abbondanza energetica si basa per assicurarsi crescita e sopravvivenza, sta soffrendo in modo immondo. Non ci sono vie d’uscita da questa crisi con l’attuale paradigma economico. Sta scritto nella matematica che descrive la dinamica dei sistemi.
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L’unica perplessità che ho sulla lucida, come di consueto, analisi del prof é che sembra dare per scontato che il nostro fosse un paese libero e democratico fino all’avvento di Monti. A me non sembra che fosse così, perché lo strapotere finanziario di Berlusconi non credo fosse da meno dell’oppressione bancaria a cui assistiamo ora. Più che una lotta tra banche e democrazia, mi pare di assistere ad una lotta tra poteri finanziari opposti, tra i quali, la democrazia vera, é stata stritolata già da tempo.
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Credo che il problema di fondo sfugga sia ai “catastrofisti” che ai fautori dello status quo e non è costituito da quanto sono cattivi i greci o che siano stati sconsiderati o quello che volete. Il vero e robustissimo problema è che l’Euro è praticamente l’espressione valutaria di uno stato fortissimo economicamente (la Germania) applicato su economie che semplicemente non riescono a reggerlo.
Se qualcuno si ricorda, vorrei rammentare che l’Argentina fallì semplicemente per l’insostenibilità di tenere il Peso argentino collegato a cambio fisso con il dollaro.
Ora, si possono fare tutte le manovre che si vuole, o ritenere che i greci siano spendaccioni, cattivi, truffatori o quello che si vuole, ma si sta in ogni caso comprando solo tempo. Si ammazza la Grecia prima del default effettivo, che a fronte degli impegni di bilancio già insostenibili è già nei fatti.
Siamo in un momento in cui l’EU (e la Germania in primis) si sta comportando come un insieme insensato di “Nimby”, e la questione non è se la Germania debba o meno accollarsi debiti altrui, ma se l’Euro a queste quotazioni può continuare ad essere una moneta forte all’interno di economie sfinite. E quindi o l’Euro si svaluta e parecchio, anche se la Germania non ne sarebbe contenta, oppure NON può continuare ad essere moneta di riferimento. Per semplici ragioni “de facto”. Oppure si fa una EFFETTIVA unione politica fiscale e monetaria. Tutto il resto è fuffa, o comprare tempo. E ora tocca al Portogallo.

Il sistema monetario attuale è espressione di un processo decennale, forse secolare, di appropriazione di potere economico da parte di pochi e potenti gruppi bancari internazionali, i più dei quali concentrati nelle mani di poche famiglie al mondo, che senza alcun titolo e senza produrre nulla di socialmente UTILE, possono creare denaro a dismisura, per poi “prestarlo” a tassi di interesse più o meno elevati a privati, aziende e Stati.
Non vi sembra strano che una banca commerciale possa prendere soldi in prestito dalla BCE a tassi dell’1-2%, e poi girarli a Stati e cittadini a tassi del 6, 7 o 10%? Guadagno netto, pulito, senza aver fatto nulla, con la sola motivazione di chiamarsi “banca”, ovvero di aver avuto da qualche legislatore la titolarità assoluta a inventare denaro dal nulla. Denaro che, per ogni deposito, verrà a sua volta prestato nell’ordine di circa il 90% delle somme depositate, creando un circuito vizioso di crescita VIRTUALE di denaro, che però Stati e cittadini dovranno pagare con gli interessi.
Ma c’è un altro problema: se il denaro che il debitore deve restituire NON esiste – e come potrebbe del resto, se la massa monetaria in circolazione è in ogni momento data – indovinate da dove viene fuori il denaro per pagare gli interessi?
Altro DEBITO!! Ovvero altri guadagni per le banche.
La questione monetaria è CENTRALE, perché chi controlla i soldi controlla la politica, l’economia, la vita delle persone. I Greci lo stanno capendo sulla propria pelle, per gli Italiani che leggono Repubblica ci vorrà di più, ma arriverà anche per voi.
Come diceva De André, “anche se voi vi credete assolti, siete per sempre
coinvolti”.
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L’unica maniera per salvare la Grecia, non l’euro, non l’attuale sistema europeo, era (oramai non pare più possibile) quello di azzerare, annullare ua grande parte del debito, che ricordo essere relativamente piccolo in vlore assoluto (circa 350 miliardi). Se non si decide di farlo su base negoziale, c’è un altro unico modo: il default.
Anche dopo il fallimento, però bisogna ripartire… Come? Avete presente il Piano Marshall? Ma questa prospettiva non è compatibile con il paradigma economico che mette davanti la “disciplina di bilancio” e la legge dei mercati finanziari attuali. Bisogna cambiar strada. Si deve ragionare in un quadro di austerità e sobrietà ma anche di maggior eguaglianza. Ridurre i consumi, gli sprechi, soprattutto di energia e di
territorio. Il carnevale è finito, siamo in quaresima, ma stavolta non
durerà 40 giorni, ma 40 anni. Se va bene.
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IL PARADOSSO DI ATENE E LE DUE SEDIE DELL’EUROPA
EUGENIO SCALFARI
Il fallimento greco e la sua uscita dall'euro è ritenuto pressoché inevitabile entro il prossimo marzo o al più tardi nel prossimo autunno. La società di quel paese ha dichiarato guerra al governo che ha tentato di attuare il piano di austerità impostogli dall'"Europa tedesca". Inutilmente. L'aumento del debito in rapporto al Pil è alle stelle (180%) e altrettanto alle stelle i rendimenti del debito sovrano che il sistema bancario internazionale giudica ormai carta straccia tanto da accettarne (malvolentieri) una liquidazione solo con uno sconto del 70%. La situazione si è dunque avvitata e non si avvistano alternative valide, se ne può soltanto prolungare l'agonia.
La Merkel ha detto due giorni fa che il fallimento della Grecia avrà rischi incalcolabili sull'Unione. Parla quella che si è finora tenacemente opposta ad adottare la sola misura che poteva mettere al sicuro la Grecia dal trauma e con essa il Portogallo che la segue a ruota e l'Irlanda, per non parlare della Romania e della Bulgaria: la creazione degli Eurobond e la sostituzione dell'Eurozona nella titolarità dei debiti sovrani dei 17 paesi che ne fanno parte. Una soluzione di questo genere significava la nascita dello Stato federale europeo. Ma né la Germania né la Francia sono ancora disposti a questo.
Francamente non so valutare se l'economia greca, una volta che sia tornata alla dracma, riuscirà a sopravvivere. Probabilmente sì, una svalutazione "selvaggia" della dracma, un sostanzioso slancio del turismo, la vendita di alcuni formidabili asset
culturali migliorerebbero la situazione patrimoniale. Potrà bastare? Oppure precipiterà il paese in una vera e propria guerra civile e nella sua frantumazione politica e geografica? .
Meno azzardate sono le previsioni su quanto potrebbe accadere agli altri membri dell'Eurozona, rimasti in 16 o magari in 14 se anche Portogallo e Irlanda arrivassero al "default". E ricordiamo che alcune grandi banche, soprattutto tedesche e francesi, possiedono una notevole quantità di debito greco nei loro portafogli. A loro volta le
obbligazioni di quelle banche tedesche e francesi sono in ampia quantità possedute da banche importanti in tutto il mondo.
Insomma, il fallimento di due o tre paesi dell'Eurozona avrebbe ripercussioni molto serie sul sistema bancario internazionale obbligando gli Stati nazionali a nazionalizzare totalmente o parzialmente una parte notevole dei rispettivi sistemi bancari. Con quali strumenti? Stampando moneta attraverso le rispettive Banche centrali: Federal Reserve, Bce, Banca d'Inghilterra, Banca nazionale svizzera e probabilmente anche le Banche centrali della Cina, India, Giappone, Russia.
Gli effetti generali d'un salvataggio bancario di queste dimensioni in tempi di recessione già in corso, ne prolungherebbe la durata producendo al tempo stesso inflazione. Si chiama "stagflation" che è quanto di peggio possa capitare specialmente in Europa e in Usa. Forse la Merkel è questo che aveva in mente. Per farvi fronte l'Europa ha due strade (indicate dal Times): marciare dritti verso la costituzione d'un vero e proprio Stato federale europeo oppure ritrarsi in una Confederazione europea di libero scambio senza più moneta unica. Due scenari densi d'incognite.
Personalmente continuo ad essere moderatamente ottimista. Credo cioè che
l'eventuale crisi bancaria non sarebbe di dimensioni ingestibili; credo che - Grecia a parte - non ci sarebbero altri "default" e credo anche che il fallimento della Grecia produrrebbe un'accelerazione verso un'Europa federale. Credo infine che dal male possa venire un bene e che l'Italia, se Monti potrà proseguire nel suo programma di modernizzazione dello Stato e della società, possa contribuire al bene dell'Europa e al proprio.
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Questo blog è curato da Viviana Vivarelli
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