di Marco Nebiolo
Sciolto
per mafia il comune di Rivarolo Canavese. Il provvedimento è stato
assunto dal consiglio dei ministri ieri, su richiesta del ministro
dell’interno Cancellieri. E’ la seconda volta in poche settimane che la
provincia di Torino subisce l’onta del commissariamento di un ente
locale, dopo che neanche due mesi fa era toccato a Leinì, “la porta del
Canavese”. Per il Piemonte un’altra scossa di assestamento dopo il
terremoto dell’operazione Minotauro, che ha rivelato lo scorso giugno la
presenza di 9 locali attive di ‘ndrangheta in provincia di Torino e che
vede a processo 172 imputati di legami con la mafia calabrese. Tra
questi il segretario comunale di Rivarolo, Antonino Battaglia, in
custodia cautelare dall’8 giugno 2011, con l’accusa di
voto di scambio, difeso dall’avvocato Franco Papotti, presidente del
consiglio comunale appena commissariato. Battaglia, calabrese di capo
Spartivento (Rc), secondo quanto emerso dalle carte dell’inchiesta
avrebbe organizzato un pranzo pre-elettorale con il Gotha della
‘ndrangheta piemontese in favore del sindaco di Rivarolo Fabrizio Bertot
(Pdl, non indagato), candidato alle elezioni europee del 2009.
L’incontro si tenne il 27 maggio 2009 nel Bar Italia di Via Veglia a
Torino, di proprietà di Giuseppe Catalano, 70 anni, il boss ritenuto
capo della locale di Siderno a Torino, morto suicida lo scorso 19 aprile
dopo essersi gettato dal balcone dell’abitazione dove si trovava ai
domiciliari. Presenti oltre a Catalano, i boss al centro dei rapporti
tra mafia e politica ai piedi delle Alpi: Salvatore Demasi, capo locale
di Rivoli, noto per la telefonata con il deputato del Pd Domenico Lucà
in cui l’onorevole gli chiedeva appoggio alle primarie torinesi della
scorsa primavera a favore del candidato Piero Fassino; Giovanni Iaria,
imprenditore edile di Cuorgné indagato per fatti di mafia da metà anni
70, e nonostante ciò protagonista di una discreta carriera politica
negli anni 80 nelle file del Psi; Francesco D’Onofrio, componente del
Crimine – la struttura mafiosa delegata al compimento di azioni violente
per conto delle ‘ndrine – con il grado di Padrino. Su tutti, secondo il
Gip di Minotauro “sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine
all’affiliazione all’organizzazione criminale”.
Durante la cena Bertot, dopo essersi scusato per non parlare dialetto
piemontese né calabrese – evidentemente le due lingue ufficiali per i
summit pre elettorali ai piedi delle Alpi… – consapevole di avere
davanti persone con grandi interesse nel mondo dell’edilizia, parlò
delle grandi opere che avrebbe sostenuto da Bruxelles («…sono convinto
che il Piemonte abbia bisogno, come terra, di tutta una serie di opere,
grosse… importanti…, pensiamo al collegamento con Genova per il porto,
pensiamo all’Alta velocità… ») sottolineando allo stesso tempo che
avrebbe mantenuto la carica di sindaco e quindi il controllo del
territorio di Rivarolo. Bertot si è difeso sin dall’inizio affermando di
«essere per carattere e per natura quanto di più lontano esista da quel
mondo. In campagna elettorale si incontrano molte persone ma nessuno mi
ha mai fatto proposte ambigue né tanto meno le avrei considerate».
Affermazione contraddetta da un’altra intercettazione in cui
sottolineava di aver chiarito agli interlocutori di non essere
disponibile a “certi tipi di richieste” («sin dall’inizio ho detto…
certi discorsi fateli con altri… non è il mio modo di fare politica»),
facendo intendere di aver presente il rischio insito nella
frequentazione di certi supporters. Bertot non fu eletto (surclassato da
un pezzo da 90 come Vito Bonsignore), e in diverse occasioni è stato
intercettato mentre si lamenta del flop “della rete dei calabresi”
descritti come «millantatori in buona fede».
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