I blog non possono essere assimilati alla stampa: una sentenza della
Corte di Cassazione stabilisce una verità che da troppo tempo attendeva
risposte.
Di una sentenza del genere ci sarebbe da ridere se l’Italia non fosse
rimasta due passi indietro nella comprensione del Web e delle sue
dinamiche. Se oggi c’è da esultare per il fatto che
la Corte di Cassazione ha operato un radicale distinguo tra blog e stampa
(per di più clandestina), non è forse tanto per la bontà della sentenza
in sé, quanto più per la putrefazione di un modo di pensare che ha
fatto il suo tempo e fin troppo a lungo ha soggiogato il paese ad un
vecchio modo di concepire categorie, ordini e diritti.
Ed è tutto riassunto in poche parole che in un solo secondo spazzano via anni di incomprensioni:
La Corte di Cassazione annulla senza rinvio perchè il fatto non sussiste.
Il caso è quello di
Carlo Ruta, giornalista accusato di
diffamazione a mezzo stampa e stampa clandestina
per aver pubblicato il proprio pensiero su di un blog. La sua condanna
risale al 2008 con pronuncia confermata nel 2011. La vicenda è così
riassunta dall’avv. Fulvio Sarzana: «Il giornalista curava
saltuariamente un blog denominato Accade in Sicilia, che forniva un
informazione sui fenomeni mafiosi presenti sul territorio siciliano che a
un certo punto era divenuto oggetto di una querela per diffamazione da
parte di un Magistrato sentitosi offeso da alcuni scritti presenti sul
blog. Il tribunale di Modica aveva ritenuto in primo grado che il blog
del saggista fosse una
vera e proprio testata giornalistica,
e che, pertanto, da un lato dovesse considerarsi “prodotto editoriale”
secondo quanto previsto dalla legge nl. 62/2001, dall’altro, proprio in
quanto “stampa periodica”, dovesse essere registrato presso il Tribunale
competente. La Corte d’appello di Catania aveva, come si è detto,
confermato il tutto».
Le prime due sentenze generavano però un evidente paradosso che, così
formato, avrebbe di fatto costretto qualsiasi blogger (e per estensione
chiunque avesse portato la propria idea online su un sito proprio) a
registrarsi presso un tribunale:
la realtà e la legge sarebbero andate in due direzioni opposte ed una
delle due avrebbe dovuto giocoforza piegarsi all’altra in qualche modo. E
così è avvenuto, ma solo in Cassazione.
Durante l’arringa, secondo quanto spiegato da Sarzana, il difensore
di Ruta avrebbe chiesto di basare la decisione finale semplicemente
sulla definizione di “prodotto editoriale”, cosa che avrebbe dovuto
tenere alla larga i blog da qualsiasi coinvolgimento in una normativa
che non nasce certamente per regolamentare le nuove forme di espressione
online.
Ci sono voluti però tre gradi di giudizio ed un lungo percorso per
ripristinare quella che è una evidente realtà. Alla fine il risultato è
raggiunto:
il blog non è di per sé un prodotto editoriale ed un blogger non è per definizione un giornalista. Vanno perciò definiti, giudicati e considerati separatamente, secondo prerogative diverse.
Uno schiaffo al passato per una verità giunta a definizione in grave
ritardo. Ed un invito a ripensare quello che è il ruolo dei blog, i loro
limiti e le loro
responsabilità.
Nessun commento:
Posta un commento