La Federazione Anarchica Informale, dagli esordi del 2005 ad oggi
Il Corriere della Sera ripercorre la storia della Federazione
Anarchica Informale, dai primi allarmi sottovalutati alla gambizzazione
di Adinolfi:
http://www.giornalettismo.com/archives/305882/chi-sono-gli-anarchici-del-fai/
È il 26maggio 2005 quando la procura ordina l’arresto di un gruppo di anarchici. «Promuovevano e organizzavano una associazione diretta a sovvertire violentemente gli ordinamenti dello Stato, successivamente federata nel cartello clandestino denominato Fai, Federazione Anarchica Informale». Nel dettaglio, sono accusati di aver spedito il pacco bomba indirizzato a Romano Prodi che il 27 dicembre 2003 segna il debutto del Fai ai disonori della cronaca, e di aver fatto una sorta di prova generale pochi giorni prima, facendo esplodere due ordigni nei cassonetti davanti all’abitazione privata dell’allora presidente dell’Unione Europea.I magistrati li ritengono responsabili anche dell’ordigno ritrovato vicino alla questura nel luglio 2001, a pochi giorni dalle giornate di Genova e del G8, evento rivendicato per la prima volta con la sigla Cooperativa Artigiana Fuochi e Affini:
L’11 giugno il tribunale del Riesame ordina la scarcerazione immediata dei sette indagati. Non è certo il caso di fare esercizio del senno di poi, non sarebbe neppure giusto. Le ragioni dell’annullamento degli arresti risiedono nella demolizione e nella parcellizzazione di ogni singolo elemento indiziario. I giudici danno prova di garantismo rifiutando una valutazione complessiva dei fatti. «Nessun dubbio — scrivono — che gli indagati appartengano all’area anarco insurrezionalista». Ma, aggiungono, la natura propria dell’essere anarchico «collide» con la definizione di organizzazione. Qualcosa di buono c’era, nell’inchiesta bolognese. Nei mesi scorsi gli atti sono stati inviati ai magistrati di Atene che hanno arrestato gli anarchici greci ai quali è stato dedicato l’attentato ai danni di Roberto Adinolfi, gli stessi indagati in Italia per aver spedito un pacco bomba a Silvio Berlusconi.In quelle pagine c’era la genesi della Fai «cattiva», con quella sigla che vuole essere uno sberleffo, uguale a quella ufficiale che raccoglie i pacifici sostenitori italiani dell’Idea che non vuole morire:
C’era il tentativo di definire e raccontare un mondo che ancora oggi viene descritto come una nebulosa dai contorni indefiniti. L’anarco-insurrezionalismo nostrano nasce da una scissione interna alla Federazione anarchica italiana. Durante il convegno nazionale che si svolse a Forlì nel 1988, alcuni partecipanti aggredirono gli organizzatori, accusandoli di propugnare una linea politica esclusivamente pacifista e di aver abbandonato la lotta contro lo Stato. Le due fazioni arrivarono alla rissa. Dopo botte, insulti e sputi, ognuno per la sua strada. Scissione. Tra i contestatori si era fatto notare l’ideologo Alfredo Maria Bonanno, titolare di un progetto insurrezionale, così lo definisce, che si discosta non poco dai principi base dell’anarchia classica. La conflittualità sul territorio deve essere «permanente» e farsi «stile di vita e di rifiuto». Le «lotte intermedie» devono essere organizzate «all’interno del mondo reale» e riguardano uno spettro di obiettivi piuttosto ampio, capace di spaziare dalle carceri alle fabbriche, dalle scuole all’antimilitarismo fino a un lungo elenco di settori specifici che comprende anche quello dell’energia nucleare. Ma questa nuova forma di azione anarchica «non può e non deve escludere l’ipotesi dell’intervento armato». L’insurrezione in quanto tale deve sempre essere una azione di natura violenta «che persegue la distruzione dello Stato e del sistema esistente».Il legame e l’interscambio con la Grecia nascono in quegli anni, con i frequenti viaggi di Bonanno ad Atene, dove tiene discorsi e interventi pubblici_
Secondo i magistrati, l’ideologo delinea due livelli strettamente intrecciati tra loro all’interno della realtà rivoluzionaria anarchica insurrezionale. Il primo, palese e legale fino a prova contraria, si lega alle normali attività politico antagoniste e viene rappresentato dall’area di dibattito all’interno dei centri sociali, dove viene fatta opera di proselitismo. Il secondo prevede che la recluta sia disposta a mimetizzarsi nel tessuto sociale, rimarcando però la sua distanza dal sistema produttivo in vigore. A farla breve, si tratta dell’invito a vivere ai margini della società, per scelta ideologica e anche di convenienza. Non avere nulla da difendere significa un minore carico di rimpianti quando arriverà il momento dell’azione diretta, che così, scrive Bonanno, diventerà «l’unico strumento per essere consci di se stessi e riprendere il controllo della propria vita». Un programma esistenziale, più che militare.
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