giovedì 26 aprile 2012

Regione Toscana: via libera alla cannabis!?

MARIJUANA PER USO MEDICO?
ATTENTI, POTREBBE ESSERE UN CAVALLO DI TROIA!
MOLTI LA VOGLIONO SDOGANARE A LIVELLO REGIONALE, SUL
MODELLO AMERICANO DEGLI STATES, PER APRIRE LA STRADA ALLA
DEPENALIZZAZIONE DELLE DROGHE LEGGERE IN ITALIA


Piantine di Cannabis


INTRODUZIONE
LA STORIA DELLA CANNABIS
La storia della coltivazione della pianta della marijuana, in latino cannabis, va indietro nel tempo. Le sue proprietà mediche ed euforizzanti erano note in Cina millenni fa. I nomadi la portarono in Asia orientale e India. La conoscevano assiri, egizi, arabi, greci e romani. Il nome viene forse dall’arabo «kinnab». Né greci né romani la usavano per le sue caratteristiche psicotropiche, anche se conosciute e già descritte da Galeno. I romani davano sollievo alle partorienti con i fumi della cannabis. La prima descrizione moderna delle sue proprietà terapeutiche è attribuita al medico irlandese W. S. O’Shaughnessy, che sulla base delle sue esperienze in India ne fece conoscere le virtù alla comunità medica europea. «La prescriveva ai malati di rabbia, reumatismi, epilessia, tetano» ricorda il manuale Marijuana medical handbook, di Ed Rosenthal, Dale Giesinger e Tod Mikuriya.
Si racconta che la regina di Gran Bretagna Vittoria ricorresse alla cannabis per lenire i dolori mestruali e durante il suo regno l’erba veniva usata per curare diversi malanni, dagli spasmi muscolari ai reumatismi. Poi, nel 1900, l’interesse per la marijuana diminuì. Altre sostanze, tra cui l’oppio ricavato dal Papaversomniferum, entrarono in scena. Solo nel 1964 l’israeliano Raphael Mechoulam identificò il primo cannabinoide, il 9-delta-tetraidrocannabinolo (Thc), componente principale della cannabis. «I primi recettori cerebrali per gli oppioidi furono descritti negli anni 70, ma per quelli dei cannabinoidi si dovranno attendere altri vent’anni» scrive Mechoulam su Nature. La cannabis fu ritirata dalla farmacopea Usa nel 1941. Ed è proprio dagli Usa che è partita una campagna di sensibilizzazione a favore della marijuana in medicina: nel ‘96 California e Arizona votarono a favore della depenalizzazione per chi la usa a scopo terapeutico.
Oggi almeno altri otto stati americani hanno votato a favore di questo utilizzo. L’atteggiamento sta cambiando. est clinici sono stati autorizzati dal governo canadese che ha fatto anche una gara pubblica per la fornitura di cannabis per progetti di ricerca medica. Anche in Spagna e Germania l’aria è cambiata e si concede di usarla ai malati che la richiedono. Segnali favorevoli si registrano anche in Svizzera. Il dibattito sulla cannabis a uso medico è molto teorico, anche perché «i risultati finora non sono miracolosi» avverte Franco Toscani, responsabile scientifico dell’ Istituto di ricerca in medicina palliativa Lino Maestroni.
Nel ‘97 un rapporto della British medical association, dal titolo significativo Therapeutic uses of cannabis, dopo aver passato in rassegna la letteratura scientifica concludeva che le sostanze psicoattive della marijuana hanno dimostrato di dare sollievo negli spasmi muscolari dei malati di sclerosi multipla. Prove di beneficio, anche se meno evidenti, erano segnalate per epilessia, glaucoma, asma, pressione alta, perdita di peso associata ad aids o cancro. Il primo uso rilevante della cannabis è stato come antinausea nella chemioterapia. Nel rapporto si metteva in guardia sui rischi del fumo di marijuana, che contiene tre volte più catrame del tabacco, ma si invitava il governo ad assumere un atteggiamento più compassionevole verso chi la utilizzava a scopo medico e a incentivare la ricerca. Due anni dopo, un gruppo di scienziati dell’Istituto di medicina di Washington rese pubblico un rapporto preparato per conto della Casa Bianca.
Anche in questo caso il verdetto era favorevole: gli ingredienti attivi della cannabis possono alleviare certe patologie e non esistono prove che questo faciliti il passaggio a droghe più pesanti. L’invito degli esperti era semmai di trovare alternative alla somministrazione degli ingredienti attivi della cannabis. In questo senso va la ricerca più avanzata. In una località segreta a sud della Gran Bretagna nel ‘97 è nata la Gw pharmaceuticals, industria che coltiva a scopo di ricerca 40 mila piante di marijuana. «Oltre a fornire materia prima per la ricerca, vogliamo trovare modi nuovi per somministrare i principi attivi della cannabis: spray orali, gocce, aerosol, vaporizzatori, cerotti»dice Geoffrey Guy, fondatore della Gw pharmaceuticals. Oggi la neuroscienza sa molto di più su come agiscono i cannabinoidi, i derivati della marijuana, nel cervello.
A partire dagli anni 80, da quando furono scoperti due recettori specifici del Thc, ossia il Cb1 presente nel sistema nervoso centrale e il Cb2 in quello immunitario, le prove del potere curativo della cannabis si sono moltiplicate. Due studi su animali, pubblicati quest’anno, attestano l’efficacia terapeutica dei derivati della marijuana nella sclerosi multipla e nei gliomi cerebrali, tumori maligni. L’altro studio, pubblicato su Nature medicine, apre invece una strada terapeutica nuova per i tumori maligni gliali, rari ma aggressivi. Come spiega Ismael Galve-Roperth, biochimico spagnolo. «Abbiamo riprodotto il glioma nei topi iniettando cellule neoplastiche. A questo punto abbiamo inoculato agonisti dei cannabinoidi, cioè sostanze che agiscono nel loro stesso modo, direttamente nel tessuto tumorale. Il risultato? Il glioma è scomparso. Ciò ha permesso di sradicarlo in un terzo dei topi e di prolungare la sopravvivenza in un altro terzo».
La spiegazione? Secondo i ricercatori dell’università di Madrid, per effetto dei cannabinoidi le cellule tumorali attivano il processo di morte programmata, l’apoptosi. Potrebbero essere i recettori Cb1 e Cb2 a innescare indipendentemente l’uno dall’ altro questo processo. Ma la prova per ora è stata condotta solo su cellule in vitro e non in vivo. Un’altra ricerca, pubblicata sui Proceedings of theNational academy of sciences, dimostra come il cannabidiolo, componente non psicoattivo della marijuana, riduce infiammazione e dolori, sopprimendo la risposta immunitaria, in topi in cui è stata indotta una forma di artrite reumatoide. Insomma, la marijuana come strumento terapeutico sembra in ascesa. E molte delle sue possibilità sono ancora inesplorate. L’elenco delle sue «virtù» è destinato ad allungarsi: la si sta sperimentando per Parkinson, Alzheimer, sindrome di Tourette, corea di Huntington. E prove cliniche indicano che un analogo sintetico del Thc (non psicoattivo) funziona come analgesico e antiinfiammatorio, senza effetti collaterali.


l'effetto delle droghe sul cervello: introduzione

l'effetto delle droghe sul cervello: cannabis

Danni della marijuana


MARIJUANA “MEDICA”. La nuova strategia

a livello Regionale della Sinistra

Nell’ultimo anno i livelli di consumo di cannabis più elevati tra i giovani adulti (15-34 anni) sono stati registrati, per quanto attiene ai Paesi occidentali, proprio in Italia (20,3%). I dati emersi dalla ultima Relazione annuale al Parlamento sull’uso delle sostanze stupefacenti confermano la preoccupante dimensione del fenomeno dell’uso di cannabinoidi registrando come il 22,4%  del campione di oltre 12 mila soggetti tra 15 e 64 anni, ha assunto cannabis almeno una volta.
In questo scenario si moltipicano a livello regionale le istanze normative e legislative per ampliare la disponibilita’ di quella che viene chiamata “canapa medica” o “terapeutica” o piu’ comunemente, in inglese,  “medical marijuana”.
Queste richieste di intervento legislativo tendono a revocare le limitazioni della prescrizione dei farmaci per il trattamento del dolore severo, previsti dall’allegato III-bis del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza (D.P.R. n.309 del 1990 e successive modificazioni).
Infatti grazie all’allora Ministro della Salute, Livia Turco, i medicinali cannabinoidi con il DM 18 aprile 2007 sono stati inseriti nella Tabella II, sezione B delle sostanze stupefacenti e psicotrope con due farmaci derivati dalla cannabis, il Delta-9-tetraidrocannabinolo ed il Trans-delta-9-tetraidrocannabinolo (Dronabinol).
E’ importante ricordare che le specialita’ medicinali a base di derivati della cannabis in discussione non riguardano solo i derivati sintetici, alcuni disponibili da decenni in compresse, come il Marinol (dronabinol) Dronabinol e piu’ recentemente il Cesamet (Nabilone) o gli estratti naturali di THC come il Sativex da assumere mediante spray orale, ma vere e proprie “inflorescenze di cannabis sativa”, registrate commercialmente come Bedrocan e Bedrobinol, da rollare in una cartina per essere fumate come uno spinello.
L’introduzione dei cannabinoidi nella Tabella II, sezione B delle sostanze stupefacenti e psicotrope rende possibile utilizzarli nella terapia farmacologica (terapia del dolore, sclerosi multipla) e ha crea to le basi normative per autorizzarli all’immissione in commercio nel mercato italiano.
Si ricorda, a tal proposito, che allo stato attuale non ancora sono presenti nel mercato nazionale medicinali a base di Delta-9-tetraidrocannabinolo, di Trans-delta-9-tetraidrocannabinolo (Dronabinol) e di Nabilone autorizzati all’immissione in commercio e cioè essi non sono reperibili nelle farmacie aperte al pubblico. I medici che ritengono di dover sottoporre propri pazienti a terapia farmacologica con derivati della cannabis fino ad ora devono richiederne l’importazione dall’estero all’Ufficio Centrale Stupefacenti del Ministero della Salute.
Le previsioni normative richieste rappresentano un passo ulteriore, e logico, alle disposizioni dell’ex ministro Livia Turco, volte, in estrema sintesi:
- a rendere applicabili le prescrizioni concernenti i farmaci dell’allegato III-bis anche ai casi di dolore non correlato a patologie neoplastiche o degenerative;
- a consentire che la prescrizione dei farmaci per il trattamento del dolore venga effettuata nell’ambito della disciplina del Servizio sanitario nazionale, mediante utilizzazione del normale ricettario, anziché del ricettario speciale a ricalco;
In numerose regioni sono state avanzate proposte legislative con questo indirizzo.
-  la Regione Toscana è stata la prima in Italia, con la deliberazione della Giunta regionale n. 1052/2002, a impartire specifiche direttive alle Aziende USL della Toscana, stabilendo che, “in caso di richiesta, da parte di assistiti residenti nella Regione Toscana che si rivolgono alle predette aziende U.S.L. per la messa in atto delle procedure di cui al decreto 11 febbraio 1997 (…) di erogazione di medicinali non registrati in Italia” esse “devono provvedere all’erogazione stessa facendosi direttamente carico, nei limiti di importo indicati nella predetta delibera, delle spese per l’acquisto di detti medicinali e di tutti gli oneri connessi” .
Oggi una proposta di legge regionale del consigliere regionale Enzo Brogi (PD) per inserire i farmaci cannabinoidi nell’elenco delle cure rimborsate dal Servizio Sanitario si ritiene possa essere approvato entro maggio p.v. Sarebbe la prima del genere in Italia!
“In un momento in cui assistiamo ad un forte inasprimento della lotta alla droga, (…) una legge come quella che verrà votata dalla Regione Toscana si inserisce di traverso nei luoghi comuni sulla cannabis, ormai antistorici ed antiscientifici” prevedono i Radicali svelando, forse involontariamente, il significato piu’ importante di simili leggi.
- Sulla scorta della Regione Toscana, la Regione Puglia con la Delib. G.R. 9 febbraio 2010, n. 308 ha disciplinato le modalità di accesso alla somministrazione dei farmaci cannabinoidi, ponendo il loro acquisto a carico delle aziende USL.
- Analogo provvedimento è stato adottato anche dalla Regione Marche, con Delib.G.R. 2-8-2010 n. 1233.
- nella Regione Emilia Romagna firmata dai consiglieri regionali dell’Idv dell’Emilia Romagna Franco Grillini, Liana Barbati e Sandro Mandini, la proposta di legge regionale intitolata ‘Modalita’ di erogazione dei farmaci e delle preparazioni galeniche a base di cannabinoidi per finalita’ terapeutiche’.
Il documento si sviluppa in 7 articoli e stabilisce che i derivati della cannabis, anche sotto forma di preparati galenici magistrali, possono essere prescritti sia dal medico specialista del Servizio sanitario regionale, sia dal medico di medicina generale, restando, in ogni caso, a carico del servizio sanitario regionale. Solo quando i “medicinali vengano prescritti da medico privato, la spesa derivante e’ a carico del paziente ”.
- nella Regione Abruzzo un progetto di legge per facilitare l’accesso alla marijuana per fini terapeutici è stato presentato in consiglio regionale da Maurizio Acerbo. Il testo è stato scritto dal consigliere regionale di Rifondazione comunista in collaborazione con le associazioni Associazione Luca Coscioni – per la libertà di ricerca scientifica, Pazienti Impazienti Cannabis e Cannabis terapeutica, lo stesso e’ stato depositato anche in Regione Lombardia.
Il progetto di legge – il titolo integrale è: Modalità di erogazione dei farmaci e delle preparazioni galeniche a base di cannabinoidi per finalità terapeutiche – prevede questo al suo articolo 1: “I derivati della Cannabis, sotto forma di specialità medicinali o di preparati galenici magistrali, possono essere prescritti sia dal medico specialista del Servizio sanitario regionale (Ssr) che dal medico di medicina generale (Mmg) restando a carico del Ssr.”
- nella Regione Lazio i consiglieri della Federazione della Sinistra alla Regione Lazio, Ivano Peduzzi e Fabio Nobile, “in linea con il lavoro svolto nella precedente legislatura dai gruppi consiliari del Partito della Rifondazione Comunista e del Pdci” hanno presentato “una legge per permettere l’uso di sostanze cannabinoidi nella terapia del dolore e di fine vita e per prevedere il rimborso totale dei farmaci”.
“La legge n.38 del 2010, pur individuando le linee generali per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore, non contempla il rimborso dei medicinali derivati dalla cannabis da parte del servizio sanitario”. “Noi vogliamo che sia garantito, realmente, il diritto a non soffrire, ponendo a carico del servizio sanitario regionale l’acquisto dei farmaci cannabinoidi”.
L’esperienza della medicalizzazione negli USA e il caso esemplare della California
Negli Stati Uniti dove, come e’ noto, l’ente preposto per il riconoscimento dei farmaci, la Food and Drugs Administration (FDA) sostiene che “nessun studio scientifico serio” supporta l’uso terapeutico della marijuana, e che “fumare marijuana non produce alcun beneficio medico accettato o provato negli Stati Uniti”  e che quindi “non e’ ammesso come trattamento medico”.
Se a livello Federale la Marijuana rimane una droga illegale, campagne referendarie riccamente finanziate e iniziative legislative locali sapientemente orchestrate hanno pero’ ottenuto la legalizzazione della Medical-marijuana in 15 singoli Stati piu’ il Distretto di Columbia (DC). E’ l’associazione Americans for Medical Rights che anima e coordina questa strategia per la “medicalizzazione” della marijuana, ed e’ sponsorizzata da un gruppo di finanzieri, capitanati da George Soros, che ha investto sul progetto una somma iniziale di piu’ di due milioni di dollari.
La città californiana di Oakland dopo l’approvazione locale della marijuana “medica” ha deciso di approvare la produzione industriale. La licenza è stata assegnata a quattro grandi aziende che, oltre alla coltivazione delle piante, la raccolta e la vendita, produrranno anche strumenti e oggettistica per il consumo e celebrazione del “farmaco”.
Lo Stato della California per evitare l’auto-produzione incontrollata, o evitare che un “malato” venga usato come “deposito” dalla criminalitá, aveva posto un limite alla quantità che si può possedere. Il limite fissato in California era, fino al 21 gennaio 2010, quello delle 8 once (227 grammi) di marijuana seccata e 6 piantine, limite che pero’ la Corte Suprema della California ha eliminato proibendo ogni forma di limitazione e restrizione della marijuana ora “medica”.
Nella sentenza infatti, la Corte, con la stessa ratio a fondamento della liberalizzazione della marijuana “medica”,  afferma che la legge non deve intralciare la possibilità di possedere delle erbe “curative” in casa di un malato (è come se si affermasse che non si può tenere in casa più di due scatole di aspirina!), e così ogni limite è stato annullato.
Un californiano puo’ tenere in casa tutta la marijuana che vuole, basta che sia accompagnata da una ricetta per un malanno, cronico o acuto, di un qualunque medico.
E mentre nello Stato si moltiplicano produttori, prodotti e relativi dispensari nella califoniana San Diego, dopo l’approvazione della medical-marijuana, il Consiglio Comunale su richiesta formale del Presidente della San Diego State University, Stephen Weber, ha dovuto prevedere che questi dispensari che vendono le varie tipologie di marijuana debbano avere una distanza minima di 1.000 piedi dai College. Questi “dispensari non sono compatibili con la nostra missione educativa” ha ribadito il prof. Weber.
In USA la Marijuana “medica” irretisce Nonni e Nipoti
“La marijuana che una volta portava divisioni in famiglia, oggi le unisce”, con questo articolo il quotidiano “The New York Times” saluta l’inedito costume sociale: nonni, padri e figli uniti nello stesso stile di vita drogastico. Per molte famiglie, “la marijuana che una volta era la radice di tutti i conflitti li ha portati a stare più uniti tra loro. Invece di ammonimenti e minacce – ci informa il New York Times – si discute sul metodo migliore per accendere una pipa ad acqua”.
I medici del Substance Abuse and Mental Health Services Administration si aspettano un maggior numero di nonni e nonne che assumono cannabinoidi in compagnia dei nipoti. Lo suggeriscono i dati secondo i quali la percentuale delle persone tra i 50 e i 65 anni che ammettono di aver fumato marijuana e’ del 4 percento, circa sei volte maggiore della popolazione sopra i 65.
Dall’ inchiesta giornalistica emerge che la chiave di lettura per comprendere il nuovo fenomeno possa essere ricercato proprio nella diffusa propaganda in favore delle, presunte, potenzialità’ salutari della marijuana che irretisce sempre più’ anziani e giovani.


Confezione americana di cannabis per uso medico


Gli americani dicono 'NO' alla cannabis

legale, ma 'SI' alla sua tassazione

Fonte web - 03 novembre 2010
In California il 54% degli elettori ha rigettato la Proposition 19 che prevedeva la legalizzazione del possesso di limitati quantitativi di cannabis per gli adulti e la possibilità per le amministrazioni locali di regolamentare e tassare la produzione e la distribuzione di cannabis. Il 46% degli elettori (circa 3,4 milioni di californiani) ha votato a favore del quesito, la più alta percentuale di sostegno mai registrata in una iniziativa di legalizzazione della cannabis a livello statale.
Sempre in California gli elettori hanno approvato ordinanze che impongono nuove tasse sulla vendita e sulla produzione di cannabis medica nelle seguenti città: Albany  (Measure Q), Berkeley (Measure S), La Puente (Prop. M), Oakland (Measure V), Rancho Cordova (Measure O), Richmond, Sacramento (Measure C), San Jose (Measure U), Stockton (Measure I).
Gli elettori di Berkeley hanno anche approvato un decreto separato (Measure T) per consentire la creazione di un quarto dispensario per la cannabis medica in città e per la ricostituzione della Medical Marijuana Commission.
In Arizona la "Proposition 203" è passata: per soli 4.341 voti anche in Arizona sarà legale coltivare e utilizzare marijuana per scopi terapeutici. Grazie alla nuova legge chi soffre di "malattie croniche o debilitanti" come il cancro, l'HIV o l'epatite C, potrà utilizzare fino a 70 grammi di erba ogni due settimane. Per farlo, i pazienti dovranno mostrare una prescrizione medica e iscriversi al dipartimento della Sanità dell'Arizona.
In South Dakota il 63% degli elettori ha respinto la Initiative 13, inerente l'eliminazione di sanzioni penali per i malati che utilizzano cannabis per scopo terapeutico.
In Oregon la Measure 74, che avrebbe consentito la creazione di dispensari per la cannabis medica, è stata respinta da oltre il 57% degli elettori.
Infine, nel Massachusetts, gli elettori in oltre 70 città e cittadine hanno deciso favorevolmente su questioni non vincolanti di politica pubblica in materia di tassazione della vendita di cannabis.




VATICANO – No alla legalizzazione della

 marijuana. L’Osservatore romano conferma

Fonte web - 11 dicembre, 2010
Il disagio giovanile non si risolve negandolo, e neppure con i negozi dove si va a comprare lo spinello come se fosse una caramella. Lo Stato deve incrementare la cultura della solidarieta’ e in questo sforzo non puo’ cedere e agevolare la vendita di un prodotto potenzialmente pericoloso’. L’Osservatore romano si pronuncia contro la legalizzazione della marijuana dopo che un referendum popolare ha bocciato una proposta in questo senso nello stato americano della California.
Tuttavia, si fa notare, gia’ nei prossimi mesi in altri Stati dell’Unione, dall’Oregon al Colorado, si svolgeranno consultazioni sullo stesso tema. E pero’ rileva l’Osservatore in un articolo di prima pagina, ‘finalmente, dopo decenni di abuso, iniziamo a mettere in guardia dalla vendita di sostanze nocive, a ritirarne alcune dal mercato perche’ danneggiano la salute come certe plastiche, a vietare la vendita di alcolici e tabacco perlomeno ai minori. E vorremmo aprire una breccia pericolosa per la salute quando la porta alle intossicazioni si sta chiudendo con utilita’ per tutti?’.
‘L’uso di marijuana per scopi antidolorifici deve essere ben analizzato – si spiega ancora – anche perche’ la lotta al dolore deve essere incrementata in tutti i mezzi’.
‘L’ American Academy of Pediatrics, prosegue il servizio dell’Osservatore Romano, ‘mostra che se esiste un’utilita’ contro il dolore dei derivati della canapa indiana, sta nelle singole sostanze, non nello spinello che invece farebbe assumere anche sostanze pericolose e la cui supposta utilita’ manca di supporto scientifico. E che, aggiungiamo noi, magari farebbe improvvisamente moltiplicare esponenzialmente il numero di persone con ‘dolori cronici’ e far consigliare la droga per presunti dolori morali o contro la depressione, impedendo magari a chi ne soffre davvero di trovare la cura adatta ed efficace’.
Quindi il giornale della Santa Sede rileva: ‘il problema droga ha un approccio razionale solo partendo da una reale messa in discussione di cio’ che questa societa’ offre ai giovani. Ma la societa’ postmoderna, quella che lascia l’individuo solo e disperato mettendo in atto teatrini per fargli credere di essere libero, sa solo offrire scappatoie solitarie, spacciandole per liberta’. I giovani aspettano chi faccia loro intravedere un senso, una solidarieta’ duratura, un amore che non sia uno scherzo come invece accade a molti loro genitori. Ma c’e’ chi non vuole che questo senso, quest’amicizia e amore diventino un itinerario di ricerca gioiosa da parte dei giovani; finche’ non saranno i giovani a chiederne conto’.


Gunter Amendt


Gunter Amendt, teorico antiproibizionista, È morto

(investito da un guidatore sotto effetto di droga)

E’ morto il 12 marzo scorso Günter Amendt all’età di 71 anni. Il decesso e’ avvenuto in seguito al suo coinvolgimento in un incidente automobilistico ad Amburgo.
Amendt sociologo, teorico dell’antiproibizionismo, allievo del filosofo tedesco Theodor W. Adorno, esponente principale della Scuola di Francoforte, apparve come leader della controcultura in Germania nel 1968 animando il movimento della Rivoluzione sessuale per poi dedicarsi alla legalizzazione/liberalizzazione delle droghe.
Dei suoi libri, ricordiamo: Il movimento degli studenti medi in Germania (Einaudi 1970), Das Sex Buch (Rowohlt 1994), Sexfront (Rowohlt 1982) insieme a Patrick Waldner, Le nuove droghe (Feltrinelli 1998). Ha inoltre stilato la voce “Droghe” nel Lessico postfordista (Feltrinelli 2001) e ”No drugs no future. Le droghe nell’età’ dell’ansia sociale” (Feltrinelli, 2004).
Se ‘Sex Front’, in favore della cd. “liberazione sessuale”, forse il libro tedesco più importante della seconda metà degli anni Settanta e’ stato quello che lo consegnò alla fama, il libro ”No drugs no future” (Feltrinelli, 2004) e invece un testo importante per il fronte politico-ideologico che vuole vedere le droghe come parte integrante del panorama sociale e indispensabili all’attuale standard di vita.
Amendt sarà infatti uno dei primi a dare spessore alle ragioni di chi sostiene che <l’uso di droghe e sostanze psicoattive diverrà sempre più irrinunciabile nella nostra società globale> – come si legge nella recensione al libro dell’edizione italiana de Le Monde Diplomatiche (ottobre 2004) -  <oltre che segnalare l’evidente fallimento delle strategie proibizioniste> animate, secondo lui, da persone in chiara malafede perché continuano la “guerra alla droga” pur consci della non reversibilità del processo in atto.
La legalizzazione di tutte le droghe propagandata da Amendt e i suoi accoliti durante gli “Anni di Piombo” come espressione di una libertà più generale ed ampia garantita ad ogni cittadino sarebbe oggi una scelta obbligata da un punto di vista pragmatico.
In realtà, No drugs no future, altro non è che la riproposizione dei luoghi comuni, imprecisioni, inesattezze e volgarità tipiche dell’ideologia antiproibizionista: leggiamo quindi, per esempio, che è il Governo Berlusconi, non il traffico di stupefacenti, ad alimentare il <periodo di rinascita che la Mafia sta attraversando> (p. 100); oppure che proporre politiche sociali mirate alla prevenzione all’uso di droghe <rispecchia l’immagine dell’uomo e del mondo degli schieramenti della borghesia di destra e della scena neonaziste> (p.156).
Amendt era in un gruppo di pedoni in attesa sul marciapiede del semaforo verde per attraversare la strada, quando un’auto speronata da un’altra ha invaso la zona in cui si trovavano uccidendo quattro persone e ferendone altre.
La polizia ha indagato il conducente di 38 anni per omicidio colposo e, secondo il test  antidroga effettuato, nelle urine è stata rilevata THC, la sostanza psicoattiva contenuta nell’hashish o nella marijuana. (Der Spiegel, 13.3.2011) Amendt è stato quindi ucciso da una persona che guidava sotto l’effetto di una droga “leggera” il cui uso riteneva senza conseguenze dannose nè per chi l’assume nè per la società.
Scriveva infatti proprio nel suo “No Drugs, no Future”: <Ci si domanda increduli come sia stato possibile che proprio la cannabis, la più innocua tra le sostanze psicoattive, sia stata demonizzata in questo modo> (p. 57), per poi arrivare alla conclusione, secondo lui <incontestabile>, per cui <il conducente ‘fumato’ guida in modo più prudente e fa meno incidenti gravi di quello che ha bevuto> (p.122).
L’unica verità vera è che non esiste proprio nessun futuro con le droghe!


APPROFONDIMENTO

Rivista Telematica Osservatorio Droga Dir. resp. Fabio Bernabei.

Legalizzare la marijuana: l'America di Obama ci crede

L'OBIETTIVO DEGLI ATTIVISTI: varare leggi a livello statale e giungere poi ad una legge federale. Nadelmann guida la crociata pro-spinello: «Abbiamo fatto di più in questi 4 mesi che non negli ultimi 20 anni»






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