Le dichiarazioni di Hodges non sono l’unico caso: sempre ieri, anche Radek Sikorski, ex ministro degli esteri polacco e oggi eurodeputato, ha rilasciato un’intervista allo Spiegel in cui addita la Germania e la Francia come due Paesi largamente responsabili per la situazione, colpevoli di aver spesso negoziato autonomamente con la Russia indebolendo così la linea d’azione comune europea. Sikorsi però riserva le critiche più dure alla Germania, che nel caso della Russia perseguirebbe interessi economici a breve termine.
Si possono ritenere esagerate le parole di Hodges e Sikorski, così come si può essere meno certi del generale americano sull’epilogo che avrà la situazione al confine ucraino, ma è eloquente che nello stesso giorno, su due media di primo piano nei rispettivi Paesi (e nello scenario europeo), escano due interviste in cui si punta il dito sul ruolo di Berlino nel dossier ucraino.
Nelle ultime settimane, infatti, è aumentata moltissimo, agli occhi degli Stati Uniti, così come di diversi attori europei oltre che di molti media, la percezione che la Germania rappresenti l’anello debole del blocco occidentale nella risposta alla Russia sulla crisi ucraina.
Due aspetti più di altri, recentemente, hanno rinforzato questa visione. Prima di tutto, la reticenza del governo Scholz a menzionare esplicitamente alcune sanzioni in caso di invasione. In particolare Nord Stream 2, il discusso gasdotto che dovrebbe portare in Germania gas russo. Da tempo, infatti, il progetto è al centro di attenzioni internazionali. Gli Stati Uniti lo hanno sempre guardato con preoccupazione, arrivando solo pochi mesi fa a un accordo con la Germania che provasse a tutelare vari interessi in gioco e chiedendo come contropartita un diverso atteggiamento con la Cina.
Anche il Parlamento europeo ha menzionato criticamente il progetto in diverse risoluzioni, soprattutto in seguito all’avvelenamento dell’oppositore russo Alexei Navalny. Anche internamente, inoltre, la costruzione di Nord Stream 2 ha avuto dei rivali: i Verdi lo hanno da sempre avversato, sia per questioni ambientali che geopolitiche. Ad oggi, il gasdotto è completato, ma mancano le autorizzazioni finali per farlo entrare in funzione.
Nelle loro dichiarazioni più recenti, sia il Cancelliere Olaf Scholz sia la ministra degli Esteri Annalena Baerbock hanno detto di non escludere nessuna misura tra le sanzioni possibili, facendo intendere che anche Nord Stream è sul tavolo. Ma non è mai stato usato apertamente come arma di negoziazione, e anzi nella Spd sono in molti a sostenere che il progetto ha una valenza esclusivamente economica e che vada quindi tenuto fuori da tensioni geopolitiche.
Anche sull’invio di armi a Kiev la Germania è apparsa timida. Berlino infatti non esporta armi in zone di conflitto o che potrebbero entrarvi, e ha quindi escluso da subito l’invio di armi difensive verso l’Ucraina (a differenza di come hanno fatto altri Paesi, come il Regno Unito che ha fornito l’esercito ucraino armi anticarro).
La settimana scorsa, però, la cosa ha preso pieghe più grottesche: di fronte all’esplicita richiesta di Kiev di ricevere centomila uniformi complete, la Germania ha inviato cinquemila elmetti, accompagnati dalla dichiarazione di Christine Lambrecht, ministra della difesa, secondo cui la cosa costituiva “un chiaro segnale” verso Mosca. La vicenda ha fatto nascere una serie di critiche molto pesanti sui media tedeschi e internazionali, oltre che commenti più apertamente derisori come quello del sindaco di Kiev Vitali Klitschko, che sulla Bild ha chiesto se la prossima volta Berlino prevedesse di inviare cuscini.
Il caso degli elmetti, con le reazioni suscitate, è sembrato a molti paradigmatico della narrazione che vede la Germania impantanata tra la necessità di non rompere il blocco occidentale e la volontà di non mostrarsi troppo aggressiva verso Mosca. La vicenda ucraina, in effetti, chiama in causa la Germania più di altri Paesi.
Con la Russia, da cui è fortemente dipendente per l’approvvigionamento energetico, Berlino ha forti legami economici, e nell’era merkeliana il Paese ha ricoperto il ruolo di uno dei principali interlocutori del Cremlino in Europa, soprattutto in ottica di dialogo con l’alleanza atlantica e con gli Stati Uniti. A ciò, si aggiungono una serie di tensioni interne, con i Länder orientali particolarmente restii a rompere i rapporti con la Russia per questioni culturali ed economiche.
Oggi, però, la tensione tra Russia e Nato potrebbe costringere la Germania a scegliere. Di fronte alla crisi Ucraina, il primo vero compito di Scholz sarà verificare se per Berlino è ancora possibile interpretare il ruolo avuto in precedenza: è ancora possibile una Ostpolitik sul modello merkeliano? Dalla risposta a questa domanda può dipendere se la Germania sarà, in riferimento alla Russia, l’anello debole del gruppo atlantico o il ponte di dialogo.
Ma le debolezze di Berlino evidenziano, in maniera più ampia, le debolezze europee: se i problemi tedeschi sono così evidenti è anche per la mancanza di forti strumenti di politica estera comune a livello europeo, che a Berlino potrebbero fornire uno sponda e che permetterebbe di costituire un ulteriore polo geopolitico, che interseca la Nato ma che non coincide con essa e potrebbe giocare un ruolo negoziale non indifferente.
Il governo Scholz, oggi, è chiamato a capire qual è il ruolo geopolitico della sua Germania, ma sul tema si gioca una partita più ampia, che riguarda non solo i rapporti dei Paesi europei con la Russia, ma la volontà, da parte dell’Unione europea, di dotarsi di una vera politica estera in grado di pensare a influire anche nelle crisi extra-Ue, come appunto quella al confine ucraino.
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