(Foto: Reuters / )
La guerra civile siriana, infatti, deve essere considerata in primo luogo come una guerra fra sette: al potere infatti c'è una minoranza alawita (sciita, circa il 12 per cento dei siriani), che però domina su una popolazione a maggioranza sunnita. Sunniti sono i ribelli che combattono Assad, cui si aggiungono i curdi, a lungo oppressi in Siria, che hanno a loro volta preso le armi per ottenere la caduta del regime.
Il conflitto siriano, dunque, va in primo luogo considerato come un ribilanciamento dei poteri fra le due fazioni principali, esattamente all'opposto di quanto avvenuto in Iraq, dove la maggioranza sciita ha approfittato della caduta di Saddam Hussein per rovesciare la maggioranza sunnita che li governava. In questo senso un qualche genere di conflitto (anche non militare) in Siria era semplicemente inevitabile e fa parte di un processo che, per quanto sia sanguinoso, appare naturale, visto che le parti non sembrano essere tanto propense a sedersi ad un tavolo per discutere pacificamente la questione. Una soluzione a lungo proposta nei mesi scorsi stava nella divisione della Siria, ma ciò comporterebbe un ribilanciamento dei poteri all'esterno che gli alleati della Siria non sembrano volere a loro volta, ostruendo le vie diplomatiche.
Nel caso in cui gli Stati Uniti dovessero mettere effettivamente in pericolo Assad, l'organizzazione sciita libanese Hezbollah e l'Iran (e forse anche l'Iraq) hanno già minacciato di colpire gli alleati degli Stati Uniti nell'area, in primo luogo Israele e in secondo la Turchia. Il rischio di una escalation regionale della conflitto è molto concreto, se si considera il bassissimo profilo tenuto dal governo israeliano, senza dimenticare che il Libano, a metà strada fra Israele e Siria, già mostra forti sintomi di guerra civile tra sciiti e sunniti: nel mese di agosto, infatti, sono state registrati attacchi a mezzo autobomba a Beirut contro gli sciiti e a Tripoli contro i sunniti, in una esplosione di violenza che non si vedeva dalla guerra civile terminata nel 1990.
Gli Stati Uniti dovrebbero attaccare il regime di Bashar al Assad con una precisione tale da non sconvolgere i rapporti fra le due fazioni in lotta, ovvero limitarsi a lasciare un biglietto da visita ad Assad, affinché non utilizzi più l'arma chimica (ammesso che l'abbia effettivamente fatto) senza indebolire il regime e permettere ai ribelli di riconquistare posizioni, anche perché l'influenza di Al Qaeda è sempre più forte. La verifica delle informazioni provenienti dalla Siria, però, è un compito estremamente complicato, e non sembra che gli Stati Uniti abbiano in mano informazioni sufficienti per un attacco così puntuale, e neppure le informazioni rilasciate venerdì sembrano dimostrare con certezza che la premessa del conflitto (l'uso di armi chimiche da parte del regime) sia certa.
Il rischio di sbagliare sia nelle premesse che negli attacchi rischia dunque di scatenare conseguenze impreviste e non volute, fino a coinvolgere gli stessi Stati Uniti in un conflitto regionale che, se i rapporti con la Russia dovessero continuare ad inasprirsi, rischia di trasformarsi in qualcosa di ancora più grande.
http://it.ibtimes.com/articles/55100/20130831/siria-obama-rischio-attacco-conseguenze-iran-hezbollah-israele.htm#ixzz2dfWkMEea
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