lunedì 2 settembre 2013

"Pinochet fu una vergogna per il Cile e per il mondo intero"

L’assalto alla Moneda – Foto:4vientos.net
Durante il regime di Pinochet, l’avvocato e attivista per i diritti umani José Zalaquett venne arrestato due volte e alla fine fu costretto all’esilio.
Qui, racconta la sua storia e spiega cosa rappresenta, oggi, la figura di Pinochet.
Quando Augusto Pinochet prese il potere in Cile, 40 anni fa, il professore di Giurisprudenza José Zalaquett stava tenendo una lezione all’Università del Cile. Non fu sorpreso. I giorni che seguirono sembravano il copione di un film.
“Sentivamo che il golpe era in arrivo, annunciato come in una tragedia greca, di cui tutti sanno la fine e ma non sai come evitarla”.
Appena Pinochet prese il potere con la forza, Zalaquett, la moglie e le due piccole figlie lasciarono la loro abitazione portando via poche cose e si trasferirono in una casa relativamente più sicura, da un amico, alla periferia di Santiago.
Trascorrevano ore riuniti davanti alla televisione, assistendo a ciò che stava accadendo: la morte del presidente Allende e le dichiarazioni delle autorità che promettevano di “sradicare il cancro marxista dal Cile”.
Di lì a poco, le autorità militari pubblicarono gli elenchi delle persone ricercate. Il direttore di José era ai primi posti.
Un lavoro pericoloso
Per niente intimorito dai rischi che avrebbe corso insieme alla sua famiglia, pochi mesi dopo il colpo di stato José entrò a far parte del Comitato per la pace, un’organizzazione cattolica sorta per documentare le violazioni dei diritti umani e fornire assistenza legale ai detenuti e ai loro familiari.
Josè ebbe l’incarico di raccogliere informazioni sulle centinaia di uomini e donne scomparsi.
Gli avvenimenti si susseguirono rapidamente e la vita per i cileni diventò quasi irriconoscibile rispetto al passato: sindacati e partiti politici messi al bando, arresti su arresti di attivisti, un coprifuoco che rendeva impossibile scendere in strada tra la mezzanotte e le sei del mattino.
“Il governo militare impose controlli strettissimi. Se ti trovavano in strada durante il coprifuoco, potevano spararti”.
Le persone arrestate venivano immediatamente portate nei centri di detenzione di tutto il paese, alcuni dei quali segreti.
Circa 18.000 persone vennero radunate nello Stadio nazionale, uno dei più grandi impianti calcistici del paese, addirittura ristrutturato per poter trattenere un gran numero di persone.
In quel periodo, Pinochet istituì la Dina, la polizia politica segreta incaricata di eseguire arresti e violazioni sistematiche nei confronti di chi era considerato un oppositore del regime.
Le persone venivano arrestate nelle loro abitazione, sui posti di lavoro, in strada, a volte per non essere mai più viste.
Via via che il numero delle persone arrestate e scomparse cresceva, i familiari iniziarono a chiedere aiuto agli avvocati come José.
Anche se non c’era molto che egli potesse fare, José li accompagnava allo Stadio nazionale. Qui, formavano lunghe code per consegnare vestiti e cibo, sperando che alla fine della coda avrebbero potuto abbracciare i loro cari.
“Avevano bisogno di sapere che c’era un avvocato che si stava occupando del loro caso, gli dava un senso di pace interiore, la consapevolezza di stare facendo il possibile per le persone che amavano”.
“All’esercito non piaceva cosa stavamo facendo ma per un po’ venimmo protetti dalle varie chiese”.
Quando finisce la fortuna
Per due anni, Josè lavorò senza fermarsi un attimo, aiutando gli attivisti politici a cercare asilo nelle ambasciate o facendoli uscire in segreto fuori dal paese. Poi, una notte, all’1.30 quando sentì dei colpi alla porta, capì che la fortuna era finita. Non fu sorpreso: era un bersaglio perfetto.
“Ricordo di aver detto a mia moglie di rimanere calma. Andai in bagno, presi una pasticca di Valium per controllare i miei nervi. Era certo che erano venuti a prendermi per interrogarmi”.
Dietro la porta, lo aspettava un gruppo di poliziotti. Nel giro di una settimana, vennero arrestate 22 persone della sua organizzazione.
José rimase in detenzione due mesi e mezzo. Lo interrogarono, ma senza torturarlo. Il giorno del rilascio, gli dissero di lasciare il paese. Non aveva la minima intenzione di farlo. Così, 13 giorni dopo, si presentarono nuovamente alla sua porta.
“Era la polizia civile. Mi chiesero dove volevo andare e risposi ‘da nessuna parte’. Così mi portarono via e mi trattennero 12 giorni”.
Alla fine, José lasciò il Cile, scortato fin sopra l’aereo da due poliziotti militari che lo fecero sedere e gli allacciarono le cinture di sicurezza.
Dopo un periodo trascorso in Francia, José raggiunge gli Usa dove entrò a far parte di Amnesty International e si unì a un gruppo di esuli cileni che cercavano di sensibilizzare sulla situazione dei diritti umani nei paesi dell’America del Sud. Di Amnesty International, divenne presidente del Comitato esecutivo internazionale e poi vicesegretario generale.
Ci vollero 15 anni prima che José potesse tornare nel suo paese.
Paura e repressione: l’eredità di Pinochet
Nel 1990 Pinochet lasciò il potere, a seguito del referendum del 1988 che portò a elezioni e a un governo democraticamente eletto.
José ebbe un ruolo di primo piano nella Commissione Rettig, incaricata di indagare sulle violazioni dei diritti umani commesse durante il regime militare.
Sebbene molte sfide siano ancora aperte, le cose sono cambiate in meglio. Anche grazie al suo lavoro, 160 membri della polizia e dell’esercito sono stati arrestati e, insieme a molti altri, sono in attesa del processo.
“In Cile, nessuno mette in discussione quello che è accaduto. I quotidiani che sostenevano il regime militare hanno smesso di parlare di ‘presunti’ scomparsi, ora parlano degli scomparsi. Persino i canali televisivi privati mandano in onda documentari su quel periodo. La verità è acclarata”.
“Oggi, Pinochet è una cattiva memoria. Fu il volto pubblico di una giunta che governò il paese per 17 anni. Una vergogna biasimevole per il paese e per il mondo”.
Fonte: amnesty.it

Nessun commento:

Posta un commento