Insieme a Paul Newman e a Warren Beatty, Steve McQueen fu la più grande star maschile che emerse negli anni Sessanta. In Inghilterra c'erano un bel po' di nomi nuovi - come Michael Caine, Sean Connery, Albert Finney e Terence Stamp - in grado di reggere parti da protagonista, ma negli Stati Uniti c'erano loro tre: McQueen, Newman e Beatty. Un gradino più in basso c'erano James Garner, George Peppard e James Coburn. Ma di solito, quando uno del secondo gruppo otteneva una parte, era perché era stata rifiutata da uno del primo gruppo. I produttori volevano Newman o McQueen, e si accontentavano di Peppard. Volevano McQueen, e si accontentavano di Coburn. Volevano Beatty, e si accontentavano di Goerge Hamilton. James Garner era abbastanza noto da ricevete ogni tanto sceneggiature che non erano già state proposte ai primi tre, ma non capitava spesso.
Un gradino ancora più sotto, c'erano giovani in ascesa come Robert Redford, George Segal e George Maharis, e star della canzone come Pat Boone e Bobby Darin, che negli anni Sessanta si vedevano spesso sugli schermi. Di fatto, l'unica giovane star che, se avesse preso seriamente la propria carriera cinematografica, avrebbe potuto dare del filo da torcere al trio dominante, era Elvis Presley. Ma Elvis era prigioniero sia del colonnello Tom Parker sia del proprio successo. Faceva due film all'anno, e nessuno perdeva mai i soldi. Ora, non che tutti i suoi film fossero brutti. Alcuni erano meglio di altri. Ma non si sbaglia dicendo che non erano veri e propri film: erano "film di Elvis Presley".
Uno dei motivi per cui Steve McQueen era così popolare negli anni Sessanta, a parte la sua immagine molto cool e il suo innegabile carisma, era che dei tre era lui a girare i film migliori.
Una volta che diventò una star con "La grande fuga", fece una serie di film che spaccavano. L'unico flop in cui incappò all'epoca fu "L'ultimo tentativo", più che altro perché nei panni di un cantante folk era piuttosto ridicolo. Nella sua carriera, Paul Newman girò una quantità incredibile di brutti film, alternati ad altri che sono entrati nella leggenda. Siamo onesti: Newman ha accettato di comparire in film che sono davvero sconcertanti. Immagino fosse un pretesto per non stare a casa. Dopo "Splendore nell'erba", Beatty non girò più nulla di decente fino a "Gangster Story" (d'accordo, facciamo un'eccezione per "Lilith - La dea dell'amore", a fianco di Jean Seberg). Ma i copioni che sceglieva McQueen, rispetto ai suoi due concorrenti, avevano una qualità media decisamente più alta.
Il motivo di ciò non va cercato nel fatto che McQueen esaminasse una caterva di roba e avesse un fiuto incredibile nello scegliere il progetto giusto. McQueen non amava la lettura. Si dubita che abbia mai letto un libro, a meno che non fosse obbligato. Probabilmente apriva i giornali solo se si parlava di lui. E leggeva le sceneggiature solo quando era proprio necessario. Non che fosse analfabeta. Neile McQueen, la sua prima moglie, mi ha detto che leggeva riviste di automobili.
E non era neanche un troglodita. Ti poteva parlare di armi da fuoco, carburatori di motociclette e motori finché non stramazzavi.
Semplicemente, non gli piaceva leggere.
E allora chi leggeva i copioni?
Neile McQueen.
L'importanza di quest'ultima nel costruire il successo di Steve non sarà mai sopravvalutata.
Era lei a leggere le sceneggiature. Era lei a scremare e capire che cosa fosse meglio per Steve. Se arrivavano dieci copioni, il suo agente Stan Kamen faceva una prima scelta e ne passava cinque a Neile. Lei li leggeva tutti e cinque, ne faceva un riassunto e restringeva la scelta ai due che le piacevano di più, dopodiché raccontava a Steve le storie spiegandogli perché le erano piaciute. E di solito finiva con Steve che leggeva ciò che era piaciuto di più a Neile. (Steve detestava leggere i copioni a tal punto che, anni dopo, chiedeva un milione di dollari agli studios solo per leggerne uno).
Ovviamente altri fattori da prendere in considerazione erano il regista, l'entità del cachet, dove si sarebbero svolte le riprese. Ma anche su di ciò Neile aveva voce in capitolo. Ovviamente i registi con cui Steve aveva già lavorato e che gli stavano simpatici avevano una corsia preferenziale. Ma se a Neile non piaceva la sceneggiatura, la lotta era durissima. Fu grazie al gusto di Neile e alla sua capacità di bilanciare il talento di suo marito con la sua nascente mitologia che, a partire da "Cincinnati Kid", nella seconda metà degli anni Sessanta Steve McQueen infilò una serie di successi ineguagliati. Magari ci fosse stata una come lei a fianco di Elvis"
Neile inoltre capiva una cosa che mi ha confermato Walter Hill, che prima lavorò come secondo aiuto regista sul set del "Caso Thomas Crown" e di "Bullit" e poi scrisse la sceneggiatura di "Getaway!".
"Una delle cose che ti sarebbero piaciute di Steve", mi ha detto, "è che, anche se era un bravo attore, non si considerava solo un attore". Al contrario di Paul Newman, che si considerava un attore teatrale newyorkese. "Steve si vedeva come una star del cinema. Ed era uno dei suoi tratti più affascinanti. Sapeva ciò che era capace di fare. Sapeva cosa voleva da lui il pubblico, ed era ciò che voleva dargli. Sul serio, ammiravo Steve. E' stata l'ultima delle star del cinema di una volta".
Ed è vero: McQueen non voleva scomparire dietro caratterizzazioni troppo marcate, o cambiare faccio con una barba finta (come Paul Newman in "L'uomo dai 7 capestri" o Robert Redford in "Corvo rosso non avrai il mio scalpo!"). Nei suoi film, voleva essere la star assoluta. Non voleva che ci fossero altri con un ruolo migliore del suo. Non voleva dividere lo schermo con nessuno, e voleva venire fuori sempre nel modo migliore. McQueen conosceva il suo pubblico, e sapeva che pagavano per vederlo vincere.
(Quentin Tarantino, Cinema Speculation, La nave di Teseo Editore)
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