domenica 27 marzo 2022

NIKITA KRUSCEV, IL DOPO STALIN




Il 27 marzo 1958 Nikita Sergeevič Kruscev diventava Capo del Governo dell’Unione Sovietica, definizione informale che sino al 1946 era denominata ufficialmente Presidente del Consiglio dei commissari del popolo dell'URSS e dal 1946 al 1991 Presidente del Consiglio dei ministri dell'URSS. Kruscev succedeva a Nikolaj Bulganin, nella carica che fu tra gli altri anche di Vladimir Lenin, Vjačeslav Molotov e Iosif Stalin.


Nato a Kalinovka nel 1894 nell’occidente della Russia zarista, da una famiglia di contadini, Kruscev visse la sua giovinezza, dopo il trasferimento a Juzovka, l’odierna Donetsk, nella regione del Donbass. Combatté per l’Armata Rossa durante la guerra civile russa che portò al potere la fazione bolscevica. Il suo nome diviene famoso soprattutto con la Seconda guerra mondiale, in cui servì come ufficiale politico, equivalente militare di tenente generale. Durante i mesi dell’Operazione Barbarossa entrò in contrasto con Stalin riguardo le tattiche da applicare nell’offensiva di Charkov prima che lo stesso Stalin lo inviasse a Stalingrado come commissario politico. In seguito partecipò sino al 1944 all’avanzata delle truppe sovietiche verso l’Ucraina in direzione ovest a fianco del generale Vatutin.


Dopo la morte di Stalin, fu Kruscev a diventare, nel 1953, suo successore come Primo Segretario del PCUS. Si trattò di una svolta storica: sorprese infatti i delegati del XX Congresso del PCUS il 25 febbraio 1956 col famoso "discorso segreto", sul culto della personalità e le sue conseguenze, in cui denunciava appunto il culto della personalità di Stalin e i crimini commessi durante la Grande Purga, dando avvio al cosiddetto processo detto "destalinizzazione". In politica interna Kruscev promosse una maggior produzione dell’industria pesante mentre, se da un lato i rapporti con la Cina (sino a quel momento alleata) andarono raffrendandosi sempre di più (il regime di Mao Zedong rimase tenacemente stalinista e accusò di revisionismo l’URSS che portò alla rottura diplomatica nel 1960), si ebbe un netto miglioramento del dialogo con gli Stati Uniti (incontri con il vicepresidente Nixon), sino a quel momento dominato dalla “guerra fredda” e ora invece caratterizzato da una “coesistenza pacifica”.


Momenti di grave tensione internazionale furono per Kruscev la “rivoluzione ungherese” nel 1956 e conseguente repressione, e la sua approvazione alla costruzione del muro a Berlino nel 1961. La sua fine politica fu sancita dalla crisi dei missili di Cuba nel 1962 in cui la flotta sovietica che trasportava missili per il governo di Castro dovette fare marcia indietro di fronte al blocco navale imposto dagli Stati Uniti del presidente J.F. Kennedy.


Il PCUS accusò Kruscev di aver commesso errori troppo pesanti durante la crisi dei missili di Cuba e di aver organizzato male l'economia sovietica. Inoltre fu certamente considerata troppo grave la visita, da parte della figlia e del genero di Kruscev, a papa Giovanni XXIII, probabilmente avvenuta senza aver consultato il partito. Di fatto i suoi avversari politici ebbero vita facile nel farlo cadere. Il 15 ottobre 1964 il Presidio del Soviet Supremo accettò le dimissioni di Kruscev da premier dell'Unione Sovietica. A succedergli come Segretario generale del Comitato centrale del PCUS fu Leonid Brežnev mentre come Presidente del Consiglio dei ministri dell'URSS fu Aleksej Kosygin. In seguito alle dimissioni, l’ex leader sovietico trascorse il resto della sua vita come pensionato a Mosca. Rimase nel comitato centrale fino al 1966 e sino alla morte fu sorvegliato a vista dal KGB.


Kruscev morì a Mosca l'11 settembre 1971 a causa di un attacco cardiaco. Fu seppellito al cimitero di Novodevičij. Gli furono infatti negati i funerali di Stato e la sepoltura dentro al Cremlino.

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