Robespierre e noi. Pensare l’uguaglianza, capire il Terrore
da Wu Ming
1775. Diciassettenne, Maximilien de Robespierre viene incaricato di tenere un discorso di benvenuto davanti al Re, che deve visitare il collegio dove il giovane vive e studia. Tutti schierati, studenti e tutori attendono Luigi XVI e Maria Antonietta sotto una pioggia battente, e l’attesa dura ore. La carrozza come dio vuole giunge; la coppia reale non ne scende per paura di bagnarsi.
Se si dovesse indagare il personaggio per renderlo un carattere da film o da romanzo, questo sarebbe un buon punto di partenza. La camera inquadra in primo piano gli occhi dell’adolescente, che sono fermi, inespressivi. Poi si allontana, lenta, rende prima la figura intera, poi il gruppo, finché Robespierre giovane non è che una figura tra le tante nell’aria diaccia.
Un’altra scena topica potrebbe essere quella del suo arresto. La mattina del 28 luglio 1794 le Guardie Nazionali irrompono all’interno dell’Hotel de Ville e arrestano Saint-Just. Il fratello di Robespierre, Augustin, si getta dalla finestra. Viene raccolto moribondo, nella polvere della via. E Maximilien? C’è chi dice che oppose resistenza, ma il gendarme Charles-Andrè Merda, dicono, gli fracassò la mascella con una pistolettata. Altri sostengono che tentò il suicidio. Altri ancora, che il colpo partì accidentalmente dalla pistola di Robespierre, mentre tentava la fuga. Il regista, o il romanziere, dovrebbe scegliere.
E una volta fatta la scelta, che cosa avrebbe in mano?
Un personaggio da film, o da romanzo.
C’è un sito francese che consente di parlare con i morti. SuDialogus2.org la gente fa domande ai personaggi del passato e ottiene risposte che hanno un certo grado di verosimiglianza stilistica e psicologica. E’ un’idea divertente, ci sono esempi interessanti e risposte pregevoli.
Tra i personaggi più richiesti in una ricchissima costellazione c’è proprio l’Incorruttibile, che viene interpellato a proposito di svariate questioni e che fornisce sempre domande filologicamente e stilisticamente impeccabili.
I contemporanei sembrano avere molto da chiedere a Maximilien de Robespierre. Domande sulla sua vita sentimentale, sulla sua dieta: qualche domanda che riguarda snodi politici ed episodi della storia della Rivoluzione; quella con il maggior peso specifico riguarda proprio il presunto tentativo di suicidio poco prima del suo arresto.
Le domande che i contemporanei pongono a Robespierre ottengono quasi sempre risposte di circostanza. L’impressione è che si giri attorno a un argomento. All’Argomento centrale, come se la contemporaneità non avesse nulla, in realtà, da chiedere. Annegato in un profluvio di parole Robespierre, con tutta la sua capacità oratoria, è costretto a tacere.
Tra i contemporanei, non spiccheremmo per profondità. Abbiamo avuto voglia di chiedere all’Incorruttibile cosa pensasse sotto quella pioggia, in piedi davanti al collegio, all’epoca dei suoi diciassette anni, come se l’inquadratura del nostro regista mentale non bastasse, come se avessimo bisogno di parole per confermare ciò che istinto e ragione suggeriscono.
Maximilien-François-Marie-Isidore de Robespierre, nato alle due di notte nel nord della Francia, cresciuto per diventare avvocato, che aveva un fratello anche lui rivoluzionario, anche lui finito male, Robespierre l’oratore, Robespierre l’inflessibile, il pacifista contrario all’esportazione della rivoluzione, il politico che esclude le donne dalle categorie filosofiche homme e citoyen, il suscitatore di incontrollabili demoni storici, e, poiché esiste infine una giustizia poetica nella storia, l’uomo travolto dalla stessa dinamica che aveva assecondato, è un personaggio del tutto fuori moda. Sotto quella parrucca si fa fatica a riconoscere un uomo. C’è solo l’eco, distorto, di un’idea. C’è solo un nome sui libri di storia, quelli che in genere ci dicono che la questione dei diritti umani, delle libertà civili eccetera si poteva affrontare e risolvere in maniera meno brutale, con meno sprechi, meno violenza, meno fanfare, meno retorica. Tanto la borghesia avrebbe vinto ugualmente, perché tanto sconquasso?
Il 1789 senza il 1793, quindi. E’ una tendenza del tutto contemporanea. Coca cola senza caffeina, sigarette che si possono fumare in aereo perché non si accendono e non fanno fumo, yogurt senza grassi, dolcezza senza zucchero, sensazioni senza corpo, Guerra apparentemente senza Guerra, nel senso che non tocca noi, Rivoluzione senza Rivoluzione: l’edulcorazione prima di tutto. Secondo il filosofo sloveno Slavoj Zizek questo è un tratto costitutivo del presente, o meglio del “gusto” che forma il presente. Il gusto non sarebbe che una predisposizione ideologica di base. Il gusto dei contemporanei di Robespierre ci è alieno almeno quanto il garum, la salsa di pesce marcio alla base della cucina degli antichi romani.
Ai rivoluzionari, è noto, l’antica Roma piaceva molto.
Il punto è che Robespierre è all’inizio delle incarnazioni moderne di quella che Alain Badiou chiama “Idea Eterna”: la prospettiva di una emancipazione radicale, ugualitaria, che riguardi tutti quanti, proprio tutti, nessuno escluso. Questo gusto per l’uguaglianza ha attraversato il secolo scorso, ed è esattamente ciò contro cui il mondo di cui facciamo parte ha combattuto con ogni mezzo e senza quartiere, fino alla vittoria e all’ingresso nella fase storica che si trascina davanti ai nostri occhi, e che contiene il peso delle nostre vite. Il nostro tempo, che confonde aggressore e aggredito, vittima e carnefice, che tende ad assegnare ad entrambi le stesse ragioni, non è a proprio agio di fronte a certe idee e alle persone che le incarnano. Per noi, schiacciati sull’eterno presente della merce senza caffeina, senza grassi, senza nicotina, con il minimo di effetti collaterali, ciò che Robespierre rappresenta è intollerabile.
Se domani si aprissero i cieli e, come nel film di Vittorio De Sica con Paolo Stoppa, Vittorio Gassman, Fernandel e – inevitabilmente – Alberto Sordi una voce annunciasse il Giudizio Universale, allora quello sarebbe Terrore. Certo molti di noi continuerebbero, come nel film, a fare esattamente quello che fanno, come Sordi, che continua a vendere bambini in America. Molti confonderebbero il terrore con la paura, cioè con l’abitudine, con il nostro quotidiano di incertezze, e chiederebbero un azione dell’amministrazione contro il degrado che un Giudizio imporrebbe alle nostre strade, ma quando l’idea di Giustizia appare nella storia, come un fulmine, non ci sono politiche possibili che prevengano dal terrore, e Robespierre lo sapeva. Quando la Giustizia smette di essere un problema, e viene confusa con la moralità dei governanti, è il tempo delle politiche che amministrano la paura.
Se si dovesse indagare il personaggio per renderlo un carattere da film o da romanzo, questo sarebbe un buon punto di partenza. La camera inquadra in primo piano gli occhi dell’adolescente, che sono fermi, inespressivi. Poi si allontana, lenta, rende prima la figura intera, poi il gruppo, finché Robespierre giovane non è che una figura tra le tante nell’aria diaccia.
Un’altra scena topica potrebbe essere quella del suo arresto. La mattina del 28 luglio 1794 le Guardie Nazionali irrompono all’interno dell’Hotel de Ville e arrestano Saint-Just. Il fratello di Robespierre, Augustin, si getta dalla finestra. Viene raccolto moribondo, nella polvere della via. E Maximilien? C’è chi dice che oppose resistenza, ma il gendarme Charles-Andrè Merda, dicono, gli fracassò la mascella con una pistolettata. Altri sostengono che tentò il suicidio. Altri ancora, che il colpo partì accidentalmente dalla pistola di Robespierre, mentre tentava la fuga. Il regista, o il romanziere, dovrebbe scegliere.
E una volta fatta la scelta, che cosa avrebbe in mano?
Un personaggio da film, o da romanzo.
C’è un sito francese che consente di parlare con i morti. SuDialogus2.org la gente fa domande ai personaggi del passato e ottiene risposte che hanno un certo grado di verosimiglianza stilistica e psicologica. E’ un’idea divertente, ci sono esempi interessanti e risposte pregevoli.
Tra i personaggi più richiesti in una ricchissima costellazione c’è proprio l’Incorruttibile, che viene interpellato a proposito di svariate questioni e che fornisce sempre domande filologicamente e stilisticamente impeccabili.
I contemporanei sembrano avere molto da chiedere a Maximilien de Robespierre. Domande sulla sua vita sentimentale, sulla sua dieta: qualche domanda che riguarda snodi politici ed episodi della storia della Rivoluzione; quella con il maggior peso specifico riguarda proprio il presunto tentativo di suicidio poco prima del suo arresto.
Le domande che i contemporanei pongono a Robespierre ottengono quasi sempre risposte di circostanza. L’impressione è che si giri attorno a un argomento. All’Argomento centrale, come se la contemporaneità non avesse nulla, in realtà, da chiedere. Annegato in un profluvio di parole Robespierre, con tutta la sua capacità oratoria, è costretto a tacere.
Tra i contemporanei, non spiccheremmo per profondità. Abbiamo avuto voglia di chiedere all’Incorruttibile cosa pensasse sotto quella pioggia, in piedi davanti al collegio, all’epoca dei suoi diciassette anni, come se l’inquadratura del nostro regista mentale non bastasse, come se avessimo bisogno di parole per confermare ciò che istinto e ragione suggeriscono.
Maximilien-François-Marie-Isidore de Robespierre, nato alle due di notte nel nord della Francia, cresciuto per diventare avvocato, che aveva un fratello anche lui rivoluzionario, anche lui finito male, Robespierre l’oratore, Robespierre l’inflessibile, il pacifista contrario all’esportazione della rivoluzione, il politico che esclude le donne dalle categorie filosofiche homme e citoyen, il suscitatore di incontrollabili demoni storici, e, poiché esiste infine una giustizia poetica nella storia, l’uomo travolto dalla stessa dinamica che aveva assecondato, è un personaggio del tutto fuori moda. Sotto quella parrucca si fa fatica a riconoscere un uomo. C’è solo l’eco, distorto, di un’idea. C’è solo un nome sui libri di storia, quelli che in genere ci dicono che la questione dei diritti umani, delle libertà civili eccetera si poteva affrontare e risolvere in maniera meno brutale, con meno sprechi, meno violenza, meno fanfare, meno retorica. Tanto la borghesia avrebbe vinto ugualmente, perché tanto sconquasso?
Il 1789 senza il 1793, quindi. E’ una tendenza del tutto contemporanea. Coca cola senza caffeina, sigarette che si possono fumare in aereo perché non si accendono e non fanno fumo, yogurt senza grassi, dolcezza senza zucchero, sensazioni senza corpo, Guerra apparentemente senza Guerra, nel senso che non tocca noi, Rivoluzione senza Rivoluzione: l’edulcorazione prima di tutto. Secondo il filosofo sloveno Slavoj Zizek questo è un tratto costitutivo del presente, o meglio del “gusto” che forma il presente. Il gusto non sarebbe che una predisposizione ideologica di base. Il gusto dei contemporanei di Robespierre ci è alieno almeno quanto il garum, la salsa di pesce marcio alla base della cucina degli antichi romani.
Ai rivoluzionari, è noto, l’antica Roma piaceva molto.
Il punto è che Robespierre è all’inizio delle incarnazioni moderne di quella che Alain Badiou chiama “Idea Eterna”: la prospettiva di una emancipazione radicale, ugualitaria, che riguardi tutti quanti, proprio tutti, nessuno escluso. Questo gusto per l’uguaglianza ha attraversato il secolo scorso, ed è esattamente ciò contro cui il mondo di cui facciamo parte ha combattuto con ogni mezzo e senza quartiere, fino alla vittoria e all’ingresso nella fase storica che si trascina davanti ai nostri occhi, e che contiene il peso delle nostre vite. Il nostro tempo, che confonde aggressore e aggredito, vittima e carnefice, che tende ad assegnare ad entrambi le stesse ragioni, non è a proprio agio di fronte a certe idee e alle persone che le incarnano. Per noi, schiacciati sull’eterno presente della merce senza caffeina, senza grassi, senza nicotina, con il minimo di effetti collaterali, ciò che Robespierre rappresenta è intollerabile.
Se domani si aprissero i cieli e, come nel film di Vittorio De Sica con Paolo Stoppa, Vittorio Gassman, Fernandel e – inevitabilmente – Alberto Sordi una voce annunciasse il Giudizio Universale, allora quello sarebbe Terrore. Certo molti di noi continuerebbero, come nel film, a fare esattamente quello che fanno, come Sordi, che continua a vendere bambini in America. Molti confonderebbero il terrore con la paura, cioè con l’abitudine, con il nostro quotidiano di incertezze, e chiederebbero un azione dell’amministrazione contro il degrado che un Giudizio imporrebbe alle nostre strade, ma quando l’idea di Giustizia appare nella storia, come un fulmine, non ci sono politiche possibili che prevengano dal terrore, e Robespierre lo sapeva. Quando la Giustizia smette di essere un problema, e viene confusa con la moralità dei governanti, è il tempo delle politiche che amministrano la paura.
(Articolo apparso sulla rivista GQ – Italia, luglio 2010)
http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=984
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