martedì 4 febbraio 2014

Senza esclusione di colpi di scena: la vera storia di Frank Dux


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Giovane karateka belga parte senza soldi per Los Angeles, inizia a campare come può e stalkerare persone famose, e un giorno mentre sta facendo il parcheggiatore in un ristorante incontra Menahem Golan e per farsi notare gli tira un calcio in fazza. Vince un contratto, e il resto è storia. Questa, grosso modo, la leggenda sulla nascita della carriera di Jean-Claude Van Damme che tutti conoscono, tramandata da JCVD in persona.
Spostiamoci più in là.
Sheldon Lettich è uno studente di arti marziali che sogna di diventare regista/sceneggiatore. Il suo primo progetto è un film militare chiamato Firefight. Per portarlo a termine, Sheldon chiede aiuto al suo sensei, Frank W. Dux, il quale accetta di investire una cifretta in cambio del ruolo da protagonista. Mentre girano il film, il Frank racconta a Sheldon la sua vita avventurosa: di come abbia studiato ninjutsu, l’arte segreta dei ninja, dal sensei Senzo Tanaka, e di questo torneo semi-clandestino chiamato Kumite – e soprannominato “Bloodsport” – in cui i migliori esperti dalle più disparate arti marziali del mondo si sfidano senza esclusione di colpi. Sheldon dice “ah però”.
Mentre montano Firefight, Sheldon e Frank fanno la conoscenza di Mark DiSalle, impegnato a montare un porno nella sala a fianco. Mark è produttore, e aveva in mente da tempo di girare un film di arti marziali chiamato “Kickboxer”. Sheldon gli dice: “oi, ma se invece di quella cazzatina che dici tu, Kickpizzer, girassimo un film sulla vita del mio amico qui Frank? Eh? Guarda che è una bomba eh? Giuro. Senti il titolo:Bloodsport. Ah no?”
Alla ricerca di un potenziale protagonista i tre si imbattono in No Retreat, No Surrender, notano quello strano personaggio del russo con l’accento francese che apre le gambe come neanche Barbie Aerobica e fanno un accordo con Menahem Golan che l’aveva messo da poco sotto contratto.
Sfondamento morbido
Sfondamento morbido
Bloodsport è decisamente un film dal budget basso e pieno di problemi. A un certo punto Golan perde fiducia nel progetto e lo abbandona, al che salta fuori che era il suo stesso protagonista, Jean-Claude Van Damme, a crederci più di tutti e – racconta sempre JCVD – scongiurarlo in ginocchio di dargli una chance per poi barricarsi in studio a rimontarlo. Il film viene finalmente distribtuito due lunghi anni dopo le riprese, e il resto è storia.
Ma siamo onesti: ok, è un film grezzissimo, pieno di attori terribili (l’acerbissimo Jean-Claude incluso, quando non deve esprimere furore agonistico), con scelte allucinanti tipo quel povero stoccafisso strabico che interpreta Van Damme da giovane – probabilmente l’unico teenager francese di tutta Hong Kong – che si becca un minutaggio sproporzionato, e una scena in cui il microfono perfora l’inquadratura di un buon mezzo metro manco fosse un film di Dolemite.
Ciò nonostante, io non riesco a credere che un tizio che ha creato la sua fortuna sulle spalle di Chuck NorrisMichael Dudikoff e Sho Kosugi non riuscisse a vedere che, nonostante i problemoni, Van Damme era letteralmente un marziano che stava portando il cinema di arti marziali su un altro livello. E non solo: Bloodsport era una carrellata di stili, un circo di arti marziali, una collezione senza precedenti di fazze e atleti uno più pittoresco dell’altro, che omaggiava Bruce Lee ma che avrebbe finito per rivoluzionare addirittura la storia dello sport mettendo la pulce nell’orecchio e stimolando la nascita di quelle che, dopo diversi esperimenti, sono le odierne MMA. E la sceneggiatura aveva anche diversi schizzi di ispirazione mica male, infilando più di uno sketch memorabile: dal Dim Mak che spacca solo l’ultimo mattone della pila a quella tamarrata del fregare la moneta dalla mano, dal selvaggio che fa il gesto del tagliagole al povero Michel Qissi che – due anni prima di truccarsi da Tong Po senza prendersi il meritato credito – si fa uscire la tibia. Ci sono scontri geniali, come quel tizio che saltella come una scimmia contro il mega-ciccione. C’è il colpo di genio di ricordarsi di Yang Sze, il cinese culturista Bolo di Enter the Dragon ribattezzatosi appunto “Bolo Yeung” e rivelatosi cattivo dal carisma elettrizzante, e c’è persino, in mezzo a tanti cagnacci, un piccolo ruolo ingrato per il futuro premio Oscar Forest Whitaker. C’è il synth di Paul Hertzog, c’è la voce eroica di Stan Bush e c’è il coro che urla “Kumite! Kumite! Kumite!”. Ma probabilmente Golan era distratto a raggranellare ogni centesimo a disposizione per riporlo adorante ai piedi di Sylvester Stallone e convincerlo a girareOver the Top – che amo moltissimo, eh? Ma che è pur sempre un drammone che perde gran parte del primo tempo a soffocare Sly con uno dei ragazzini più insopportabili della storia, e non necessariamente il tipo di progetto per cui era il caso di avventurarsi in quel tipo di investimenti record che poi hanno portato al fallimento della Cannon, almeno secondo la mia umile e personalissima opinione.
25 anni, e ancora fa male soltanto a guardarlo
Sono passati 25 anni, e ancora fa male soltanto a guardarlo
In ultima analisi, in ogni caso, il film lo fa Van Damme.
In un’epoca in cui gli eroi di arti marziali tendevano al basso e nervosetto (Bruce Lee, Jackie Chan, Chuck Norris, Sho Kosugi) ecco spuntare dal nulla un 26enne belga dal viso delicato, il fisico da culturista, i movimenti eleganti da ballerina e una flessibilità atletica fuori dal comune. Un vero e proprio extraterrestre, capace di mosse senza il minimo senso come il famoso calcio volante con spaccata. Il figlio ideale di una scopata violenta tra il concetto di mazzate e il concetto di cinema, con la trollata dell’accento francese quasi a voler dire “vaffanculo, Godard”. Non mi dilungo oltre, esistono libri interi sull’argomento.
Bloodsport esce negli USA il 26 febbraio 1988, 25 anni fa, e in Italia – con il titolo Senza esclusione di colpi – soltanto nel settembre 1990, dopo quel Kickboxer che Mark DiSalle riuscì poi finalmente a girare con lo stesso Van Damme protagonista. Nei successivi 20 anni cambierà sia la storia del cinema che quella dello sport che, tanto per non farsi mancare nulla, quella dei videogiochi.
Passiamo quindi ai colpi di scena.
Frank W. Dux, quello vero
Frank W. Dux, quello vero
Fin dalla prima volta che lo vidi, in sala nel 1990, Bloodsport mi sembrò in primo luogo la cosa più mondiale che avessi mai visto in vita mia e, in secondo luogo, la più classica delle esagerazioni hollywoodiane spacciate per storie vere.
Capite quindi anche voi quanto ci sono rimasto di merda nello scoprire, nel documentario intitolato JCVD Bloodsport: the Story, che era quasi tutto vero.
Dove per vero si intende:
- sì, Frank Dux era nell’esercito;
- sì, Frank Dux prese lezioni dal maestro Tanaka imparando il ninjutsu;
- sì, partecipò al Kumite;
- sì, al suo primo incontro al Kumite frantumò il record del KO più veloce;
- sì, amava fare quel giochetto in cui ti frega una moneta dalla mano prima che tu la richiuda.
E sì, lo giuro, sì, eseguiva il Dim Mak, il tocco della morte, e lo faceva spaccando solo l’ultimo mattone in fondo. L’ha fatto in tv. Esiste il filmato. E ne faceva anche altre, tipo spaccare una bottiglia di Jack colpendola per la lunga, o sfondare un vetro antiproiettile con un pugno solo.
La faccenda, ovviamente, inizia a scricchiolare quasi subito.
Un giovane Frank Dux viene mostrato in un filmato che pubblicizza il suo talento di guaritore, imparato in Oriente (prima di Steven Seagal!). In un altro, lo si vede affrontare quattro avversari in una stanza ad occhi bendati, mentre la voce fuori campo sottolinea l’importanza di sviluppare udito, tatto e olfatto per rimediare alla pigrizia sensoriale a cui ci ha abituati la vista.
Un Dux post-Bloodsport racconta di essere stato un agente CIA, assunto per un’operazione speciale nell’ex URSS con il falso nome “Fedor Duchovny” e il compito di recuperare un’arma biologica. Scrive un intero libro al riguardo, intitolato The Secret Man, e va in tv a pubblicizzarlo. In un’occasione, una donna tra il pubblico gli chiede apertamente: “Ma, ecco, scusa se te lo chiedo, eh? Ma se tu sei una spia segreta, che ci fai esattamente in tv?” e lui risponde “Uh… Eh… Oh… Cioè, io quando l’ho scritto ecco, devi sapere che ero tipo in punto di morte… Non sapevo che sarebbe stato pubblicato… Però alla fine è stato pubblicato e… Insomma, il mio agente mi ha chiesto di promuoverlo…” Il documentario mostra però prove importanti a sostegno della storia: un tizio mascherato e con voce alterata che racconta di essere stato suo collega, un “Ministro della Difesa” ucraino (senza nome), un “Ministro della Salute” ucraino (anch’esso senza nome)… Tutti quanti le sparano piuttosto grosse, se proprio devo essere onesto.
"Fedor Duchovny" e i suoi colleghi di spionaggio
“Fedor Duchovny” e i suoi colleghi di spionaggio
Nel 1995 Frank viene colpito da tumore al cervello: l’operazione che segue gli salva la vita ma lo lascia con la parte sinistra del viso semi-paralizzata. Su questo non si scappa: è una cosa abbastanza difficile da fingere per vent’anni.
L’anno seguente Dux denuncia Van Damme per averlo truffato su una sceneggiatura scritta insieme nel 1991 e poi trasformata alle sue spalle nel film La prova. Gli vengono riconosciuti i crediti di co-sceneggiatore, ma nient’altro: ogni prova incriminante che Dux sosteneva di avere era infatti sfortunatamente andata distrutta nel terremoto di Los Angeles del 1994. Inoltre, Dux ammette che l’operazione al cervello ha confuso i suoi ricordi. Prevedibilmente, perde la causa.
È soltanto adesso che il documentario inizia a indagare seriamente sulla possibile marea di panzane che Frank Dux può aver raccontato in carriera.
Le sue operazioni militari erano tutte casualmente segrete e non documentate, e la sua carriera alla CIA totalmente invisibile.
Nessun altro, all’infuori di lui, sembra conoscere il Kumite. Senzo “Tiger” Tanaka condivide sospettosamente il nome con un personaggio della saga di James Bond. Un presunto documento indicherebbe come sede del Kumite l’indirizzo di casa di Frank Dux, e spunta addirittura uno scontrino secondo il quale Frank avrebbe commissionato il trofeo a un negozio di North Hollywood.
Le sue esibizioni in tv e nei palazzetti in giro per il mondo vengono sbugiardate come show di “illusionismo marziale”, e non parliamo di quel video in cui fa il guaritore.
In generale, ogni personaggio citato nelle sue storie compare su Google solo negli articoli che parlano di lui.
Nelle interviste, anche i suoi stessi amici iniziano a parlare di lui come una persona i cui racconti autobiografici erano, come minimo, poco affidabili.
Un mitomane. Un incallito, compulsivo cazzaro professionista, di quelli talmente dentro alle loro stesse invenzioni da “dimenticare” che stanno mentendo.
Spuntano articoli di giornale scritti da persone che si sono disturbate a fare un minimo di ricerca: il più famoso è quello del Los Angeles Times scritto nel 1988 sull’onda della curiosità per Bloodsport.
Qualcuno insiste comunque a difenderlo, qualcuno tira fuori documenti loschi con firme sospette, ma sono dettagli che giustificano a fatica singoli episodi, figurarsi un’intera vita di aneddoti incredibili non verificabili.
La narrazione nonostante tutto non si schiera e anzi, il tutto si chiude con un premio alla carriera nelle arti marziali a Frank Dux. Le arti marziali: l’unica cosa in cui la sua abilità, grazie alle sue scuole e ai suoi occasionali seminari a gruppi militari, è – al netto delle iperboli – indiscutibile.
Ma alla fine, di lui affascina proprio questo.
Come dimostrato in apertura del documentario, è fin troppo facile intervistate un atleta di MMA e scoprire che ha iniziato la sua carriera in seguito a una fulminazione perBloodsport.
I libri strabordano di storie di gente che ha cambiato il mondo con passione, ambizione e determinazione: Frank Dux ha innestato una reazione a catena rivoluzionaria con una serie di fantasiose panzane che, grazie al loro fascino stimolante, si sono autotrasformate in immortali verità.
La sua reputazione è ormai irrimediabilmente alla stregua di una barzelletta, ma il suo posto nei libri di storia, per quel che mi riguarda, è ampiamente meritato.
Jean-Claude e Frank nemici-amici
Jean-Claude e Frank nemici-amici

Nanni Cobretti
Autore del post: 
"Tu sei il male, io sono un autarchico"



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