venerdì 28 febbraio 2014

12 anni schiavo. Steve McQueen e i polpacci di Fassbender

12 anni schiavo (12 years slave) è l’ultimo film di Steve McQueen, uscito in Italia lo scorso 20 febbraio.
Siamo negli Stati Uniti della metà del XIX secolo: Solomon Northup (interpretato da uno splendido Chiwetel Ejiofor), un nero libero, che vive con la famiglia nel Nord del Paese, viene rapito per essere fatto schiavo nel Sud, dove la schiavitù è legale. 
Come già per Hunger (del 2008, il primo lungometraggio di McQueen), 12 anni schiavo è ispirato a una storia vera, tratta dall’omonimo libro di Northup. Diversamente da Hunger prima e da Shame dopo (2011, il secondo lungometraggio) non è un film che racconta un’ossessione. 
Solomon, a cui verrà cambiato il nome in Platt, lavorerà in due piantagioni: la prima retta da un padrone relativamente liberale, William Ford (Benedict Cumberbatch), la seconda gestita dal re del male: Edwin Epps (Michael Fassbender).
Fassbender, ormai un habitué dei film di McQueen – e forse qui torna l’attenzione del regista per i comportamenti ossessivi – è feroce, completamente pazzo, alcolizzato e con perversioni sessuali al seguito. Violenza gratuita e abusi sono alla base della sua filosofia sociale, basata sulla Bibbia e sullasupremazia dell’uomo bianco. Invaghito di una delle sue schiave (Patsy, Lupita Nyong'o), le rende la vita un incubo: dallo stupro alle sevizie fisiche, il tutto inframezzato da carinerie morbose. 
12 anni schiavo è un film violento, di una violenza sottile e oppressiva, per niente splatter, che resta una costante per tutta la pellicola. Notevole la scena di Ejiofor che, appeso dopo un tentativo di impiccagione, per non soffocare si regge diverse ore sulle punte dei piedi, con gli altri schiavi, intorno, che continuano a lavorare.
Un cameo di Brad Pitt (che ha anche co-prodotto il film), nella parte di un costruttore nordamericano, idealista e generoso, chiude un cast fatto di ottimi attori.
Il film è stato criticato perché troppo “mainstream” e “strappalacrime” – sì, le strappa, la storia è straziante – rispetto ai lavori precedenti di McQueen: che il tema sia meno di “nicchia” o che il film possa essere visto da un pubblico più vasto di quello di Shame, ad esempio, è una realtà. Perché è più “facile” dei precedenti, in effetti. Ma non è un difetto.
Va detto, inoltre, che McQueen ha lavorato con un budget molto più consistente rispetto ai suoi precendenti lavori: per 12 anni schiavo sono stati spesi 20 milioni di dollari, per Shame 6,5, mentre perHunger solo 3,1. 
12 anni schiavo ha ben 9 nomination all’oscar: attore protagonista per Chiwetel Ejiofor, attore non protagonista per Fassbender, attrice non protagonista Lupita Nyong'o, miglior film, miglior regia, miglior montaggio, migliore scenografia, migliori costumi e migliore sceneggiatura non originale. Tra le altre cose, ha già vinto i Golden Globe e i Bafta awards.
Inutile soffermarsi più di tanto sulla storia o sulla critica (andate a vederlo, è bellissimo): meglio continuare a parlare di Michael Fassbender, che in questo film ci ha colpito per la perfetta armonia dei suoi polpacci. Dopo avercelo ridotto all’osso in Hunger, celebrato in armonie spartane in Shame, ora McQueen ce lo regala in camicione coloniale e pantaloni da lavoro. Ma grazie a dio ci mostra i polpacci.
Curiosità. Per chi si chiede perché il regista si chiama come il famoso attore americano – chi d’altronde non ha pensato, almeno una volta, se quando si parla dell’ultimo film di Steve Mcqueen non ci si riferisca alCacciatore di Taglie (1980)? - la risposta arriva da un’intervista rilasciata al Daily Mirror:
“Sono nato lo stesso anno dell’uscita di Bullitt, nel 1969. Allora i nomi dei bambini venivano indicati in fondo al letto e sulla mia culla c'era scritto "McQueen". Le infermiere passavano e chiedevano a mia madre: ‘Come sta Steve?’ Mia madre rispondeva: Non si chiama Steve, perché lo chiamate così?’. Alla fine ci si è abituata, perché suonava bene”.

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Spike

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