La rivoluzione inglese contro lo Stato. Manchester e Liverpool guidano il fronte delle città per la devolution. La crescita, dicono, può arrivare solo con il potere nelle mani dei sindaci. E il governo di David Cameron comincia a crederci
Sono grandi, sono rosse, sono pronte a combattere. Hanno fatto la storia dell’Inghilterra e adesso non vogliono restare dietro le quinte. Sono otto città – Liverpool, Bristol, Manchester, Sheffield, Leeds, Nottingham, Newcastle, Birmingham – che oggi chiedono più potere al governo di Londra e pensano di poter trainare una nuova rivoluzione industriale. È l’ultimo capitolo della devolution britannica, cominciata con i laburisti nel 1997 e finita di nuovo in mano ai laburisti, che controllano tutti e 8 i Consigli delle città ribelli.
L’autonomia, Oltremanica, è un valore sacro. Ma anche se le velleità indipendentiste di Scozia e Galles sono sempre state trattate con rispetto, nel cuore dell’Inghilterra la centralità di Londra non è mai stata messa in discussione. Gli organi di governo locale, sempre deboli e poco rappresentativi, confusi e sovrapposti perché considerati inutili, solo adesso si sono risvegliati, e hanno deciso di darsi nuove regole. «Abbiamo capito che è inutile puntare su un’identità regionale che non esiste», ci spiega Nick Small, assessore al Lavoro a Liverpool, «e che invece ha senso recuperare quella delle città. È questo il livello giusto di federalismo, i municipi che hanno diritti a gestire una maggior quota di entrate fiscali».
E allora 8 tra le maggiori città d’Inghilterra, tutte a nord di Londra, hanno deciso di organizzarsi. Se la Scozia ha ottenuto la convocazione di un referendum sull’indipendenza e il Galles è riuscito a farsi trasferire il potere di riscuotere le tasse su discariche e bolli, allora c’è un vento di decentralizzazione che va sfruttato. Le otto città hanno fondato Core cities, un’associazione che si batte per dare potere alle autorità locali, convinta che la devolution non sia il trionfo dell’individualismo ma un bene per la collettività e – soprattutto – per la crescita. «Sono le città inglesi che hanno dato al mondo la rivoluzione industriale», recita il loro programma. «Sono loro che ne faranno un’altra: verde, hi tech e digitale». Nel mondo, sostengono i rappresentanti delle otto city, le autorità locali hanno più potere che in Inghilterra. Ed è anacronistico “concedere” alle città solo il 5 per cento del gettito fiscale nazionale, come avviene in Gran Bretagna. «Da sole produciamo il 27 per cento della ricchezza inglese e diamo casa a un terzo della popolazione totale. Se contiamo tutti i grandi centri urbani della Gran Bretagna arriviamo al 60 per cento dell’economia e al 72 per cento dei lavoratori qualificati, eppure nel processo decisionale non contiamo niente».

http://andreagiacobino.wordpress.com/2013/10/25/la-santanche-al-bancomat/