Il regista spiega i motivi del suo "schiaffo da elettore" dopo il
discorso
di sabato a Piazza Navona
Moretti e gli errori dell'Ulivo "I leader imparino ad ascoltarci"
LA LETTERA
"Mi hanno detto: non era quello il modo? Ma se non ora, quando? Che
altro
aspettare?" IO SONO un moderato. Infatti voto Democratici di sinistra;
ma
essere moderati non significa essere passivi, rassegnati, abituati
alle
peggiori anomalie e anormalità italiane. Del mio intervento di sabato
scorso, qualcuno ha detto: non era quello il modo, non era quello il
luogo.
Rispondo: ma se non ora, quando? Cos'altro dobbiamo aspettare?
Non mitizzo quella che viene chiamata "società civile". Penso che la
politica debba essere fatta dai politici di professione, che sappiano
però
ascoltare il loro elettorato. Noi siamo imbarazzati, siamo a disagio
di
fronte all'inadeguatezza dei dirigenti dell'Ulivo. L'espressione è un
po'
brutale, ma noi elettori siamo i datori di lavoro di quei parlamentari;
se
prima non sono stati capaci di intuire il nostro disagio, oggi devono
saper
ascoltare quando cominciamo a parlare.
Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, è stato processato e lo
è
tuttora per accuse gravissime. All'estero basterebbe un centesimo dei
punti
interrogativi che gravano sulla sua carriera di imprenditore per
fargli
smettere di fare politica. La situazione italiana è pazzesca, anormale,
e
però è irreversibile: a Berlusconi è stato permesso, unico caso nel
mondo
democratico, di avere tre reti televisive nazionali; è stato
permesso,
contro una legge esistente, di essere eletto, poi di diventare
presidente
del Consiglio (e tra alcuni anni, chissà, anche presidente della
Repubblica). Sì, c'è una legge che vieta l'eleggibilità di chi abbia
concessioni pubbliche, e giustamente Sylos Labini ce lo ricorda da
tanti
anni. Ma ormai c'è una situazione di fatto: ci sono state elezioni
legittime
che hanno visto vincere una persona che illegittimamente siede in
Parlamento. Oggi bisogna fare i conti con questa situazione assurda in
una
democrazia.
c'è uno speciale – e nuovo, rispetto alla vecchia Democrazia Cristiana
–
rapporto tra Berlusconi e il suo elettorato. Un rapporto di
identificazione
da parte di persone che nulla hanno a che vedere con lui. Il suo
elettorato
crede che i comunisti abbiano governato per cinquant'anni perché lo
dice
Berlusconi, crede che la maggioranza dei giornali e delle televisioni
siano
in mano alla sinistra, crede che Berlusconi sia perseguitato dalla
magistratura, crede che il capo di un'azienda possa far bene il capo
dell'"azienda Italia" (anche se la crescita e l'affermazione delle
sue
aziende è viziata, secondo molte inchieste, da innumerevoli e varie
irregolarità – ma questa non è materia politica).
Qualsiasi cosa Berlusconi dica o faccia che metta in dubbio la sua onestà
o
capacità, non gli provoca la perdita di un solo voto. Berlusconi fa il
pieno
del suo elettorato potenziale (riuscendo a trascinare anche i seguaci
di
Alleanza nazionale, che con il partitoazienda di Berlusconi non
c'entrano
proprio niente). Nel centrosinistra c'è bisogno di qualcuno che con la
sua
autorevolezza riesca a fare il pieno dell'elettorato potenziale del
proprio
schieramento, che sappia parlare all'anima, alla testa, al cuore
degli
elettori. Ci sono tante persone che sembra non aspettino altro che un
segnale di tranquilla fermezza, di serena decisione. Devono ricominciare
a
sentirsi rappresentate, mentre l'impressione è che i dirigenti
dell'Ulivo
siano in attesa degli errori di Berlusconi, senza che a loro tocchi
fare
nulla.
Paradossalmente, dopo la vittoria di Prodi e dell'Ulivo nel '96, è
stato
proprio il centrosinistra a riqualificare politicamente Berlusconi,
che
veniva in quegli anni considerato come perdente dal suo stesso
schieramento,
che infatti si era già messo alla ricerca di un nuovo leader. Dopo il
'96,
alcuni dirigenti del centrosinistra hanno cercato addirittura di
riscrivere
la Costituzione assieme a lui, regalandogli la patente di "statista". Ora
a
me sembra che Berlusconi sia proprio il contrario dell'uomo di Stato:
la
democrazia è qualcosa che gli è estranea, che non riesce bene a
comprendere,
e comunque gli fa perdere tempo. Sta facendo delle leggi a suo uso e
consumo – e a questo proposito è sconcertante come dai partiti suoi
alleati
non giungano voci di dissenso.
Altri errori sono stati fatti in quegli anni, dal centrosinistra:
mancata
legge antitrust, mancata legge sul conflitto d'interessi. Credo, e la cosa
è
ancora più grave, più per sciatteria che per calcolo. Ma il governo
Prodi
aveva un'autorevolezza e una credibilità inimmaginabili per un
governo
italiano. Il declino dell'Ulivo è cominciato dalla caduta del suo
governo,
voluta in Parlamento da Rifondazione comunista (autunno '98). In quei
mesi
si poteva (e si doveva) andare alle elezioni politiche anticipate.
L'Ulivo
non ha avuto quel semplice coraggio, anzi, un dirigente della sinistra
ha
dichiarato pubblicamente: "Non possiamo andare alle elezioni, perché
altrimenti consegneremmo il paese alla destra". Che concezione della
democrazia può avere una persona che dice una cosa del genere? Non
andando
alle elezioni, l'Ulivo ha permesso a Berlusconi di battere e ribattere
per
anni sullo stesso tasto: il governo D'Alema non è legittimo.
Un governo è legittimato dai voti che trova in Parlamento, però è vero
che
dalle elezioni del '94 è come se sulla scheda noi elettori indicassimo
il
nome del candidato premier. Era insomma un governo più che legittimo
in
Parlamento ma, è vero, il premier D'Alema non era legittimato dal
voto
popolare. Ed è necessario ricordare che l'elettorato cattolico dell'Ulivo
ha
vissuto come un tradimento, dopo la caduta di Prodi, la nascita del
governo
D'Alema.
Nelle elezioni del maggio scorso, Rifondazione comunista sembrava
indifferente al risultato finale delle votazioni, che vincesse Rutelli
o
Berlusconi. Temo fosse un sentimento comune al partito e ai suoi
elettori,
tutti più che altro interessati al raggiungimento del quattro per cento
che
gli avrebbe garantito una rappresentanza in Parlamento. Ma i politici
dell'Ulivo dovevano ugualmente tentare, avevano il dovere di cercare
di
coinvolgere quel partito e la lista Di Pietro in uno schieramento più
ampio.
Mentre invece apparivano rassegnati a gestire una sconfitta che loro
stessi
avevano annunciato da mesi.
In quella campagna elettorale, a poche settimane dalle votazioni, lo
"statista" Berlusconi aveva dichiarato che l'Ulivo aveva vinto nel
'96
grazie ai brogli elettorali (e in quell'occasione forse sarebbe stata
opportuna una parolina del Presidente della Repubblica, non
genericamente
rivolta a svelenire gli animi, ma particolarmente rivolta a un uomo
politico
che minava le basi della democrazia).
Mi è stato detto: "Non era quello il luogo, non era quello il modo".
Ma
anche nel mio lavoro non ho mai avuto paura che le mie critiche alla
sinistra potessero essere usate o strumentalizzate dalla destra. Non
sono
mai stato d'accordo con la pratica stalinista della doppia verità, che
dice:
"Le critiche ce le dobbiamo fare in privato, in pubblico invece
dobbiamo
apparire monolitici, tutti d'accordo". No, secondo me i "panni
sporchi"
vanno lavati in pubblico. E, a giudicare da alcune reazioni, mi sembra
che
il mio sfogo non sia stato inutile.
I dirigenti del centrosinistra hanno preso tanti (troppi) schiaffi
dagli
avversari, forse sarà salutare lo schiaffo di un elettore.
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