“Il potere di dire: tutto è mio e niente mi
appartiene”
E’ morta Wislawa Szymborska, la gentile signora
polacca, la più grande poetessa del novecento, premio Nobel per la
poesia.
Questa è la conferenza che feci per lei nel 96, venne
un folto pubblico di italiani, ma molti più polacchi, che ascoltarono con
passione, emozionati con le lacrime negli occhi di chi ama un proprio figlio
diletto.
La prima credenziale con cui si mostra è la
modestia.
E' il poeta un animale narciso, che sempre si
rispecchia e ama il suo riflesso.
Un poeta modesto è una realtà paradossale. Il poeta
si proietta sul suo sentimento esibito, nella parola ostentata, nello strappo ad
effetto, nella sorpresa lanciata. E' un eterno bambino, che tenta di estendere
la propria psiche in un dramma eclatante o intimista, per cui la parola è
brandita o danzata per costruire a frammenti l'enorme palcoscenico
dell'Io.
Ma qui questo non è. "Preferisco il ridicolo di
scrivere poesie\ al ridicolo di non scriverne" . E, in altro luogo:
"Preferisco il tempo degli insetti a quello siderale".
La signora Szymbroska era una vera signora, elegante
e modesta.
L'altra caratteristica del poeta è che, pur
manifestando perennemente se stesso, tende a stare in compagnia, filone,
corrente, metrica, indirizzo, credo, scuola...così da poter dire "io sono un
poeta surrealista" o "postmoderno" o "pop", non tanto per amore del gruppo, ma
per cercare una individuazione di sé che lo rafforzi e lo distingua da quelli
che non sono poeti o non lo sono come lui.
Wislawa Szymborska non ha bisogno di entrare in
queste comunanze. E' semplicemente se stessa. Dice:
"Vorrei che ognuno di noi
conservasse il bene più prezioso: l'unicità"
Colui che è unico, è individuato, non somiglia a
nessun altro.
In una ipotetica epigrafe:
"Qui giace come virgola
obsoleta
l'autrice di qualche
poesia. La terra l'ha degnata
dell'eterno riposo, sebbene
la defunta
dai gruppi letterari sia
stata distante".
Cosa fa una persona semplice, schiva e modesta? Che è
poetessa ma non ama esibirlo? Vive. Cioè pensa. Sente. Ama. Con grazia, con
finezza. Esprimendo la sua unicità.
Un buddhista direbbe che il massimo della possibilità
umana è l'uomo che vive qui-ora. Il poeta, invece, sta perennemente nella
nostalgia o sofferenza del passato o nel presentimento o paura del futuro,
sprofonda nell'inconscio o veleggia sull'ideale, è sempre da qualche altra
parte. Questa gentile e colta signora polacca invece sta qui. Con noi. E il suo
qui è il nostro. Il suo ora è il distacco di chi ha fortemente sofferto un
dolore di popolo, un dolore partecipativo per la 'gente', vissuta come carne e
ossa e persone e non come concetto astratto: "Preferisco me che
vuol bene alla gente a me che amo l'umanità".
Su questo qui-ora vi racconto una sua parabola:
"Dei pescatori pescarono una bottiglia dall'abisso.
Dentro c'era una carta e sulla carta questa parole: "Aiuto, salvatemi! L'oceano
mi ha gettato su un'isola disabitata. Sto sulla costa e aspetto aiuto. Fate in
fretta. Sono Qui!"
Il primo pescatore disse: "Manca la data. Certo ormai
è troppo tardi. La bottiglia può aver viaggiato in mare a lungo"
.
E il secondo aggiunse: "Il luogo non è indicato.
Persino l'oceano non si sa quale sia"
Ma il terzo replicò: "Non è troppo tardi, né troppo
lontano. L'isola Qui è ovunque". L'atmosfera si fece imbarazzata. Cadde il
silenzio.
Questa è Proprio una delle verità
universali."
Si è detto di lei che è distaccata E ironica, ma
'distaccata', che non vuol dire 'staccata'. Il distacco buddhista, come il
distacco cristiano, viene dopo una lunga elaborazione sul dolore. L'umanità è
un'astrazione; la gente, invece, è l'uomo vicino a me; se io sento
lui in me, il suo dolore è il mio, e io non posso essere solo 'io' mai più.
L'altro, come me, è l'uomo che non fa la storia, ma la subisce. E' l'uomo che
vede passare le guerre, le ideologie, le perversioni di un potere che cambia i
suoi nomi ma conserva la sua schizofrenia, perché l'uomo che si è separato
dall'uomo sarà sempre schizofrenico, e allora riempirà di fragore di cannoni e
di proclami di potere la sua alienazione e schiaccerà gli altri per essere di
più, in un delirio continuo di disconoscimento, perché il riconoscimento di noi
stessi passa attraverso il riconoscimento degli altri.
L'uomo è nato per essere "uomini", altrimenti sarà
limitato per sempre. L’io deve essere il ‘noi’ o non
sarà.
"Ritto in abbagliante semplicità l'albero della
Comprensione
sta presso la fonte che si chiama Ah Dunque E'
Così".
Il poeta seicentesco John Donne scriveva: "
Nessun uomo è un'isola, |
completo in sé stesso; | ogni uomo è un pezzo del continente, | una parte del
tutto. | Se anche solo una zolla | venisse lavata via dal mare, | l'Europa ne
sarebbe diminuita, | come se le mancasse un promontorio, | come se venisse a
mancare | una dimora di amici tuoi, | o la tua stessa casa. | La morte di
qualsiasi uomo mi sminuisce, | perché io sono parte dell'umanità. | E dunque non
chiedere mai | per chi suona la campana: | suona per
te.
C'è un modo di essere poeta che si pone su questo
livello, e allora colui che non fa la storia, la virgola obsoleta, può diventare
storia.
Wislawa è una signora molto sensibile, saggia e
profonda, moderata e riservata, che vive in modo unitario, semplicemente
qui-ora, dolendo per la diffusione del dolore, rallegrandosi per le briciole
della gioia.
Per lei i critici parlano di "minimalismo metafisico"
e di "semplicità ironica", ma bisogna intendersi. La semplicità non è pochezza.
La pochezza appartiene al mondo del superficiale, infantile o ignaro. Vedere la
complessità del mondo con occhio essenziale è un'altra cosa.
Quando Ungaretti dice: "M'illumino \
d'immenso" abbiamo qualcosa di grandiosamente semplice, qualcosa che sposta
di livello la coscienza, come un koan. Un koan è un mondo, un atto che scardina
le basi della mente razionale e crea un'apertura a un nuovo modo di essere. Il
koan è un paradosso, non parla di ciò che dice. Rimanda, crea. Paradosso è ciò
che sposta nell'altrove. C'è un parlare qui-ora che apre un parlare altro. Ma
solo chi è molto sottile sa aprire il nuovo suono e solo chi è molto aperto può
avvertirlo. Il koan non è un enigma, risolvibile con l'intelletto o percepibile
con i sensi, per la soluzione è necessario essere pronti a un salto mortale, a
un cambio di qualità, a una metamorfosi.
Ugualmente ci sono poeti che aiutano questo passaggio
di qualità.
Ma per chi non ha pronto il giusto ascolto, la
possibilità muore e resta solo una parola troppo semplice. Per questo i critici
parlano di 'minimalismo metafisico'. Qualcuno ha detto addirittura che la
Szymborska è 'ottimista' o che è 'spiritosa'. Io dico che questo è ancora
poco.
L'essenzialità dei due versi di Quasimodo,
essenzialità che non è pochezza, crea un effetto dello
spirito.
Come si può dire che questo è minimalismo, se
l'effetto è gigantesco?
L'essenzialità della Szymborska crea effetti del
cuore, del cuore verde, dell'intelligenza fine, del cuore intelligente, che
comprende ma anche partecipa. E' poco questo?
Il poeta qualche volta riesce ad aprire un'altra
comprensione, un'altra percezione della verità. Ma bisogna essere molto sottili
per capirlo. Bisogna essere pronti. La poesia è sensibilità, percezione, suono.
La vibrazione è molto importante perché crea vibrazione. "Nella prosa può
esserci tutto, anche poesia \ ma nella poesia deve esserci solo
poesia"
Non riesco nemmeno a immaginare come potrebbero
vibrare le parole di Ungaretti tradotte in un'altra lingua. Noi possiamo
tradurre concetti, idee, schemi, formule ma come potremmo tradurre la
musica? Più la poesia è essenziale, sottile, d'anima, più essa è
vibrazione, frequenza, tradurla significa tradirla, sintonizzarsi su bande
diverse, cantare altre musiche, spiegare altri sensi.
Con lei siamo nel mondo dei suoni-anima, non in
quello delle parole ideografiche o delle immagini rappresentative.
Se traduci il suono del flauto in quello del tamburo
hai un'altra realtà. Il suono di uno strumento non è solo rumore, è una linea
dell'Essere, una espressione del vivere, un atonalità dell’anima.
Per questo i totalitarismi usano suoni bassi e
potenti, come linee tozze e squadrate. C'è della politica anche nel modo di fare
poesia, nel modo di resistere sottilmente alla grossolanità, nel modo di fare
ironia o di farsi schermo contro la violenza e
insieme di compiere delle scelte che vadano dalla parte giusta, che siano per
l'uomo, che combinino con gli umili e i sofferenti, c'è politica anche nel modo
di vivere la religione senza esibirla, come afflato di vita.....C'è politica
anche nello stare appartati ma vigili, amici dei nostri amici, e, anche in mondo
prigioniero, restare liberi dentro, vigili, resistenti.
"Preferisco una bontà avveduta a quella
credulona"
Non so se le poesie della Szymborska siano minimali o
ironiche o filosofiche, come hanno scritto. Esse, come i koan, aprono le cortine
dell'intelletto, scansano i lacci dell’intelletto e rivelano l'essenza del
cuore.
Credo che la poesia, come la religione, debba essere
trasformativa e credo anche che l'unica trasformazione che dobbiamo considerare,
dopo i fallimenti della volontà, le disillusioni del sesso e gli inganni della
ragione, sia la trasformazione del cuore. Solo il cuore, ormai, dopo tante
battaglie andate male può costituire un atto di dignità. Tutto il resto è ancora
una propaggine del passato, di un mondo morto che, non sapendo di essere morto,
continua a sbranare.
La poesia di Wislawa è pulita e nitida, la gentile
signora usa parole quotidiane 'le parole delle cose'. Pascoli fu, da noi, il
poeta delle piccole cose, ma qui un’altra preziosità, un’altra
dignità.
Semplicità, profondità, meditazione, calma interiore,
quello che viene al saggio quando ha lungamente meditato il dolore.
Buddha diceva che, se lasci la superficie procellosa
di un mare in tempesta e vai giù, sempre più giù, a poco a poco arrivi nel cuore
tranquillo dell'oceano e ogni tempesta si placa e tutto diventa chiaro e fermo,
la tempesta è sempre sopra di te e tu ne sei cosciente, ma nello stesso tempo
sei in una dimensione di ordine interiore, che ha una diversa
lucidità.
Non diversamente Jung incitava a lasciare le tempeste
della vita come quando si sale in alta montagna e si finisce in mezzo a un
temporale, ma, salendo ancora, potevamo oltrepassare il fronte alto delle nubi e
guardarle dall’alto, nel sole.
Ci sono anime così, vedono tutto e sentono tutto, ma
sono entrate profondamente in se stesse e hanno assunto un altro sguardo, una
sensibilità lucida e sottile, la serenità di chi ha molto visto e molto sentito
ma ha innalzato il cuore saggio al di sopra della sofferenza e del
dolore..
La Szymborska ha questo sguardo fermo, sottile,
armonioso, da mite signora.
I grandi numeri non la sconvolgono, come la lasciano
ferma le velleità della ragione o quelle del sentimentalismo.
"Quattro miliardi di persone su
questa terra
e la mia immaginazione è uguale a
prima
Se la cava male con i grandi
numeri
Continua a commuoverla solo la
singolarità".
Ecco! La persona che incontriamo, la piccola cosa in
cui ci imbattiamo, questo è il segreto del mondo. A chi la guarda con occhio
caldo e partecipativo, ogni cosa comune è prodigiosa, commuove, nella sua
singolarità, è vera, è vita. L’unicum delle piccole cose. Il potere non
commuove, non ha unicità, esso è ripetitivo e fagocitante, distrugge
quell'unicum che sei, è non-vita.
I più grandi spiriti religiosi, siano essi buddhisti
o cattolici o agnostici, hanno rispetto per la vita nella sua più piccola parte.
Non è facile di questi tempi dove la vita fa parte della retorica. Ma qualcuno
può permettersi di essere semplice e di fare a meno dell'orgoglio, delle
passioni, dell'egocentrismo e del melodramma.
E' semplice colui che è distaccato dal proprio ego, e
ha più umanità perché è meno 'Io' e più 'gente', ed egli ha il
dono del sorriso, un sorriso che non è inconsapevole, ma compassionevole,
partecipante, gentile e lievemente distaccato come quello del Buddha. Egli è
sopra se stesso per essere più nel mondo, per essere mondo.
"Chiedo scusa a tutto, di non
poter essere ovunque
Chiedo scusa a tutti, di non
poter essere ognuno".
Il mondo non lo si vive nel salotto
dell'ostentazione, nel teatro dell’orgoglio, o nel mercato dell’avere, lo si
vive nel cuore, che è un altro livello dell'essere, il livello più profondo
dell'Oceano, dove si raggiunge la pace, dove non siamo più isole ma
continenti.
Wislawa, intelligente e modesta, vive nel suo
monolocale, disdegna celebrazioni e incontri, schiva interviste, il suo
isolamento volontario è una leggenda, ma lei è tutt'altro che
sola, i vicini la conoscono, gli amici la amano, i lontani la sognano. Oggi, che
ha preso il Premio Nobel, il premio più prestigioso del mondo (da noi l'ha avuto
solo la Deledda) non si è montata la testa, per quanto il premio l'abbia molto
stupita. Darà i soldi ad alcuni istituti per handicappati. Arrivata a Stoccolma
per ricevere il premio, ha scritto:
"Perché a uno solo tanta
abbondanza?
A
uno e non a un altro
E
perché mi trovo in questa stanza?
In questo giorno di martedì?"
Di lei si sa solo che è nata in un piccolo centro
della Polonia occidentale e a 8 anni si è stabilita a Cracovia. Ha una vita
fatta di pochissimi eventi, come tante vite comuni. Cosa c'è di male in una vita
comune?
"Non c'è vita
che almeno per un
attimo
non sia stata
immortale.
La morte
è sempre in ritardo
di quell'attimo." .
Una signora di 73 anni, senza storia, colta, elegante
dentro, una persona semplice, ma forse la forza sta nei semplici. Non potendo
sottrarsi ai giornalisti ha detto con gentile fermezza: "Non parlerò
di questi argomenti: la mia vita privata, i miei sentimenti, la mia
poetica, i miei amici, le mie letture e la politica." Non so cosa le abbiano
chiesto.
La sua grande intensità di vita è espressa senza
pathos o megalomania, senza aggressività o rancore, senza rabbia o eccesso di
dolore, la sua pena sì ma in modo pudico, attento, con una espressione pensosa,
fragile e discreta.
"Nel fiume
d'Eraclito
il pesce pesca i
pesci
il pesce squarta
il pesce con un pesce affilato
il pesce
costruisce pesce, abita nel pesce,
fugge dal pesce
assediato.........
Nel fiume
d'Eraclito
io pesce al singolare, pesce
distinto
(quanto meno dal pesce-legno e
dal pesce-pietra)
descrivo nei singoli attimi
pesciolini
per così breve
tempo
che forse nell'imbarazzo è
l'oscurità a sfavillare".
Qui avete una delle sue rare foto. Sotto c'è scritto:
"Sarà la poesia a salvare il mondo?" Ma è solo una frase a effetto facile. Il
mondo non vuole essere salvato, vuole solo del sensazionalismo e ogni tanto fa
finta di commuoversi su un piccolo caso, poi torna a correre
sfrenatamente.
"Hanno scoperto una nuova
stella
ma non vuol dire che vi sia più
luce
e qualcosa che prima
mancava
Una stella senza
conseguenze
ininfluente sul tempo, la moda,
l'esito del match
il governo, le entrate e la
crisi dei valori..."
Wislawa diffida delle grandiosità, anche nei
sentimenti. La sua compassione non è mai viscerale, la pena è
pulita e distaccata, leggera anche se saggia. Così anche la sua parola è lieve,
ostentazione, parola senza potere, parola di valore:
"Preferisco i paesi conquistati-
dice- a quelli conquistatori".
E ancora: "Non prendertela a male, lingua, se
prendo a prestito parole patetiche \ per poi a stento farle sembrare
leggere"
Ma se invece noi siamo complessi, il che vuol dire
non ancora evoluti, ci sarà difficile capire questa leggerezza, perché essa è il
dato finale, la conquista.
La leggerezza è la grazia dell’arte. Calvino ha
scritto un saggio sulla leggerezza.
Giotto traccia una O perfetta con un solo tratto
della mano ma nessuno lo comprende. Leonardo racchiude un enigma in un
sorriso.
La leggerezza è semplice. Inesplicabile.
Un imperatore cinese chiamò un grande pittore a corte
e gli chiese di dipingere per lui. Il pittore accettò a patto che l'imperatore
lo pagasse per tutto il tempo necessario. L'imperatore acconsentì. Passarono
cinque anni e il pittore non aveva ancora impugnato il pennello. Passarono altri
cinque anni e il pittore non aveva nemmeno preparato la carta. L'imperatore
fremeva. Dopo altri cinque anni, di colpo, il pittore prese carta e pennello e
con un unico e compiuto tratto della mano disegnò un bellissimo, perfetto,
granchio.
Ma, prima che la penna scriva, occorre che l'anima
veda.
E l'anima può vedere soltanto quando si sia depurata
dalle scorie e sia arrivata alla pura semplicità della luce, come il diamante
che realizza la sua rifrazione perfetta solo quando abbia perduto il carbone e
abbia lasciato gran parte della sua confusa natura primitiva. Solo dopo una
lunga fatica,l'anima può brillare, e la sua non è la luce dell'accrescimento ma
dell'eliminazione.
Solo quando saremo di meno, saremo di più.
Solo quando l'Ego sarà limato, saremo
'noi'.
La luce universale si frammenta in ognuno,
nascondendosi in scorie oscure, e allora la vita è esilio e caduta. Vivere è il
faticoso processo di ritorno dal particolare all'universale. Quanto più
lasceremo le scorie dell'egoismo, tanto più diverremo semplici e
essenziali e ci apriremo alla comprensione e alla compassione.
La parola allora è segna di ciò che è e si fa
rarefatta, sospesa e preziosa, si rivela nel minimo dei mezzi.
Ma la semplicità filosofica e il sentire
partecipativa non sono doni nativi, sono il frutto di una grande elaborazione
culturale ed umana, un lavoro della mente unito a un lavoro dell'anima. E la
cultura di questa gentile signora polacca è vasta e profonda, la sua mente è
fine e sottile, il suo cuore saggio. Lo strumento estetico e formale è dominato
ma anche superato, perché ciò che essa mira non è l'effetto, è il
senso. E cos'è il senso se non il bagliore di un lampo che illumina la
notte della psiche? Il senso non è più nell'assoluto. Il mondo si è incrinato.
Il senso è nelle piccole cose, come specchio dell’intero. E la vita, dunque, può
essere dubbio, ma mai scetticismo totale.
"Preferisco considerare persino la possibilità che
l'essere abbia una sua ragione"
Il bagliore, l'illuminazione, sono al di là dei
nostri strumenti visivi, che altro non svelano che manifeste difficoltà
umane di ciò che è meno rispetto a ciò che è
più.
Cos'è il senso se non qualcosa di ineffabile che
inerisce alla vita e non è maggiormente sulla torre più alta che nel granello di
polvere, perché tutto ciò che è sopra è sotto e il microcosmo rispecchia il
macrocosmo e viceversa. Quindi non ci sono cose piccole o grandi, ma c'è solo la
vita e la nostra capacità di saperla cogliere, comunque la si guardi. Piccolo e
grande sono proiezioni dello sguardo, errori di valutazione, e
trovare grandezza nelle cose minimali, nel quotidiano questo sì che è opera di
saggi, perché solo lì possiamo manifestare quanto valga il nostro rispetto alla
vita, e dunque il nostro essere vivi.
"Mi
meraviglio io stessa, quanto poco di me sia rimasto
Un essere
singolo, temporaneamente fra il genere umano
che ieri in
tram ha perduto soltanto un ombrello".
Il santo, il bambino, l'artista, il saggio, il poeta
possono avere questi modi di guardare alla vita: stupore, partecipazione,
compassione, pena e sorriso, insieme all'ironia che ci salva dalla presunzione.
Sono modi che non coinvolgono la volontà, i sensi o la mente, sono
i modi del cuore
"Dov'è il mio potere sulle
parole?
Le parole sono colate sul fondo
di una lacrima".
Wislava Szymborska è nata nel 1923, oggi la morte
l’ha presa a 88 anni. Ha visto l'occupazione nazista della Polonia, poi quella
comunista, poi quella post-comunista, ha sofferto le vicissitudini di una storia
terribile che si è sfrenata su una parte sofferente dell’Europa, una storia con
cui si può solo protestare.
Ma la sua protesta è sottile, ferma e vibrante e
insieme composta, con un linguaggio spoglio, mai ricercato. Ha di fronte il
potere, ma i poteri passeranno e la verità resterà.
"Da questo bisogna
cominciare: dal cielo.
Finestra senza parapetto,
senza intelaiatura, senza vetri.
Un'apertura e nulla
oltre,
solo
amplitudine.
Non devo attendere una
notte serena,
né alzare la
testa,
per osservare il
cielo.
Il cielo l'ho dietro le
spalle, sottobraccio e sulle palpebre.
Il cielo mi avvolge
ermeticamente
e mi solleva da
sotto..........................
Dividendo il cielo dalla
terra
non si pensa in modo
appropriato
a questa
totalità.
E' solo un modo per
vivere
presso un indirizzo più
esatto,
più facile da
trovare
se dovessero
cercarmi.
I miei segni
particolari
sono l'estasi e la
disperazione".
Sta finendo un tempo, sta finendo un mondo, sta
cedendo il predominio di alcune funzioni umane. Il senso di chiusura e fine non
ci viene dal tempo del calendario ma da quello della storia, dalla sazietà che
abbiamo verso i grandi conflitti, le grandi ideologie distruttive,
le grandi separazioni, i muri contro muri, le eresie, le lotte al
libero pensiero, e tutti i sistemi di negazione delle libertà, delle parità, del
rispetto dell'uomo all'uomo e dell'uomo alle cose, sazietà del grande rifiuto
che ancora i nostri tempi fanno alle donne, ai bambini, ai poveri, ai diversi,
ai non-politici, ai non-potenti, ai non-ricchi. Duemila anni in cui tutte le
grandi palingenesi filosofiche, religiose, politiche, economiche sono fallite in
fiumi di sangue e oceani di sofferenza e ancor oggi altri fantasmi agitano nuove
ideologie assolutamente identiche di odio e separazione, in nome di altri falsi
ideali magniloquenti e volgari in assoluto dispregio della vita comune della
gente. A tutto questo diciamo: basta! Non vogliamo più profeti, o
uomini della provvidenza, o eroi del destino, o salvatori della patria. Se il
mondo sarà salvato non sarà da queste nuove bocche pronte a divorarlo e a
vomitarlo distrutto. Lo salveremo noi tutti! Noi gente comune, dal nome che
nessuno conosce, noi dalle nostre piccole case, dai nostri destini legati, dai
nostro cuori infelici.
E' la storia stessa che ci fa dire: basta! E' lo
spettacolo penoso del mondo che si rotola sempre negli stessi errori e ripete
sempre le stesse atrocità. Essere semplici oggi non è solo difficile, è eroico,
ma è l'unica via che ci resta per salvarci dall'omologazione, dalla
massificazione, dal mercato, dagli autoritarismi, dal potere. Io sono grata ai
signori svedesi che hanno visto del buono in questa via delle persone semplici!
Se l'uomo non torna a essere giustamente umano, dopo tanti cattivi
modi di essere umani, se non riuscirà a vedere un valore nella semplicità là
dove non c'è altro che ostentazione, se non riprenderà ad amare il suo
quotidiano là dove l’uomo errato cerca solo il sovrumano, se non imparerà a
sentirsi partecipe e dolente e insieme non travolto, resistente ma non vinto,
uomo tra uomini, uomo insieme a tutti gli altri uomini, se non tornerà ad
esprimere il sorriso della pace e il calore del rispetto, e non cercherà di
salvarsi con l'autoironia....noi, tutti noi, non avremo speranza.
Per questo mi piace questo premio Nobel della
pace.
E' un simbolo e un monito. Chi ci vede ancora solo
qualcosa di piccolo e perciò stesso di modesto deve fare ancora molto
cammino.
"Quando il male trionfa, il bene si
cela.
Quando il bene si mostra, il male
attende nascosto.
Nessuno dei due può
vincere
o allontanarsi a una distanza
definitiva."
La gioia è sempre pensosa, ma la disperazione va
sorretta.
"Doveva essere migliore degli
altri il nostro ventesimo secolo
non farà più a tempo a
dimostrarlo
ci si doveva avviare verso la
primavera e la felicità, tra l'altro...
Dio doveva finalmente credere
nell'uomo
buono e forte
Ma il buono e il
forte
restano due esseri
distanti."
C'è un dolore sottile tutto intorno. Tutta la
Polonia, tutta l'Europa, tutta la storia hanno il peso di questo dolore. Come si
sanerà questo malessere? Come troveremo la conciliazione? Chi ci darà la vita,
forza del vivere?
"Nulla è cambiato
il corpo prova
dolore
deve mangiare e respirare e
dormire.
Nulla è cambiato
il corpo trema come
tremava
prima e dopo la fondazione di
Roma .....................................
le torture c'erano e ci sono,
solo la terra è più piccola
e qualunque cosa accada, è come
dietro la porta
........L'animale
vaga
sparisce, ritorna, si avvicina,
si allontana.............................
mentre il corpo c'è e c'è e
c'è
e non trova
riparo".
Vivere è un grande atto di resistenza, che si consuma
nelle case, nei luoghi di lavoro, nelle relazioni, nei pensieri, negli atti di
volontà, nel respiro; le nostre pupille incupite devono trovare il breve tratto
di prospettiva che consenta ancora la vista, la voce arrochita deve trovare la
frequenza che renda possibile la comunicazione, il cuore che lotta costantemente
con ciò che lo attanaglia deve avere un suo spazio di possibilità, per battere
né troppo piano né troppo forte, in una precaria posizione di equilibrio, nella
consapevolezza che siamo mischiati all’insieme, nella speranza di far parte di
ciò che la cambia sottilmente in meglio.
"Nessun giorno è simile al precedente, non due notti
ti insegnano cos'è la felicità esattamente, nello stesso modo, con gli stessi
baci...".
"Siamo figli
dell'epoca
l'epoca è
politica.
Tutte le tue, nostre,
vostre
faccende diurne,
notturne,
sono faccende
politiche.
Che ti piaccia o
no
i tuoi geni hanno un passato
politico
la tua pelle una sfumatura
politica
i tuoi occhi un aspetto
politico.
Ciò di cui parli ha una
risonanza
ciò di cui taci ha una
valenza
in un modo o nell'altro
politica.
Perfino per campi, per
boschi
fai passi
politici
su uno sfondo
politico...........................................
Non devi neppure essere una
creatura umana
per acquistare un significato
politico
Basta che tu sia
petrolio
mangime arricchito o materiale
riciclabile.
O anche il tavolo delle
trattative, sulla cui forma
si è disputato per
mesi
se negoziare sulla vita e la
morte
intorno a un tavolo
rotondo o quadrato
Intanto la gente
moriva,
gli animali
crepavano,
le case
bruciavano
e i campi
inselvatichivano
come nelle epoche
remote
e meno politiche."
E allora, in ogni istante, sia o non sia la fine del
millennio, il naufrago va salvato, il bambino sarà fatto nascere, il senza terra
dovrà trovare un nuovi approdo, la stella sarà ancora scoperta, il cielo si deve
aprire, tutto qui-ora, e nel nostro sarà un mondo nuovo, fatto da noi, come
prima nessun mondo è stato fatto da tutti, ma dobbiamo essere
lucidi e non illusi, perché le illusioni hanno prodotto fin troppa rovina. Si
deve essere lucidi e non tremare e anche occorre non vedere troppo
oltre.
"Alla nascita di un
bimbo
il mondo non è mai
pronto..........................
Purché il parto sia
lieve
e il bimbo cresca
sano.
Possa essere talvolta
felice
e scavalcare gli
abissi.
Che abbia un cuore capace di
resistere
e l'intelletto vigile e
lungimirante.
Ma non così
lungimirante
da vedere il
futuro.
Risparmiategli questo
dono,
o potenze
celesti."
Andiamo così per il mondo.
Chi siamo. Chi sei. In quanto esistiamo nel mondo.
E finito il lavoro di questo
vita a Lui ci presenteremo. Ognuno col suo curriculum.
Scrivere un curriculum
Che cos'e' necessario?E' necessario scrivere una domanda,
e alla domanda allegare il curriculum.
A prescindere da quanto si è vissuto
è bene che il curriculum sia breve.
E' d'obbligo concisione e selezione dei fatti.
Cambiare paesaggi in indirizzi
e malcerti ricordi in date fisse.
Di tutti gli amori basta quello coniugale,
e dei bambini solo quelli nati.
Conta di più chi ti conosce di chi conosci tu.
I viaggi solo se all'estero.
L'appartenenza a un che, ma senza perché.
Onorificenze senza motivazione.
Scrivi come se non parlassi mai con te stesso
e ti evitassi.
Sorvola su cani, gatti e uccelli,
cianfrusaglie del passato, amici e sogni.
Meglio il prezzo che il valore
e il titolo che il contenuto.
Meglio il numero di scarpa, che non dove va
colui per cui ti scambiano.
Aggiungi una foto con l'orecchio in vista.
E' la sua forma che conta, non ciò che sente.
Cosa si sente?
Il fragore delle macchine che tritano la carta.
..
Così la storia trita gli
uomini. Eppure ogni foglio e ogni parola su ogni foglio è come se fosse scritta
per l’Eternità.
Non c'è vita
che almeno per un attimo
non sia immortale.
La morte
è sempre in ritardo di quell'attimo.
Invano scuote la maniglia
d'una porta invisibile.
A nessuno può sottrarre
il tempo raggiunto.
che almeno per un attimo
non sia immortale.
La morte
è sempre in ritardo di quell'attimo.
Invano scuote la maniglia
d'una porta invisibile.
A nessuno può sottrarre
il tempo raggiunto.
..
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