Introduzione
Viviamo in un tempo di cambiamenti di regime, dinamici, regressivi. Un periodo in cui sono in piena accelerazione grandi trasformazioni politiche e l’arretramento drammatico di norme legislative di natura socio-economica introdotte un mezzo secolo fa; tutto questo provocato da una crisi economica prolungata e sempre più profonda e da un’offensiva portata avanti dalla grande finanza in tutto il mondo.
Questo
articolo analizza come gli importanti cambiamenti di regime in corso
hanno un profondo impatto sui modi di governare, sulle strutture di
classe, sulle istituzioni economiche, sulla libertà politica e la
sovranità nazionale.
Viene individuato un processo in due fasi di regressione politica.
La
prima fase prevede il passaggio da una democrazia in disfacimento ad
una democrazia oligarchica; la seconda fase, attualmente in atto in
Europa, coinvolge il passaggio dalla democrazia oligarchica ad una
dittatura colonial-tecnocratica.
Si
individueranno le caratteristiche tipiche di ogni regime, concentrando
l’attenzione sulle specifiche condizioni e sulle forze socio-economiche
che stanno dietro ad ogni “transizione”.
Si
procederà a chiarire i concetti chiave, il loro significato operativo:
in particolare la natura e la dinamica delle “democrazie decadenti”,
delle democrazie oligarchiche e della “dittatura colonial-tecnocratica”.
La
seconda metà del saggio puntualizzerà le politiche della dittatura
colonial-tecnocratica, il regime che più si è discostato dal principio
di democrazia rappresentativa sovrana.
Verranno
chiarite le differenze e gli elementi simili tra le dittature
tradizionali militar-civili e fasciste e le più aggiornate dittature
colonial-tecnocratiche, mirando l’analisi sull’ideologia del “tecnicismo
apolitico” e della gestione del potere tecnocratico, come preliminare
per l’esplorazione della catena gerarchica profondamente colonialista
del processo decisionale.
La
penultima sezione metterà in evidenza il motivo per cui le classi
dirigenti imperiali e i loro collaborazionisti nazionali hanno ribaltato
la pre-esistente formula di gestione del potere oligarchico
“democratico”, la ricetta del “governare indirettamente”, a favore di
una presa di potere senza più paraventi.
Dalle
principali classi dominanti finanziarie di Europa e degli Stati Uniti è
stata consumata la svolta verso un diretto dominio coloniale (in buona
sostanza, un colpo di stato, con un altro nome).
Verrà
valutato l’impatto socio-economico del dominio di tecnocrati
colonialisti designati di imperio, e la ragione del governare per
decreto, prevaricando forzatamente il precedente processo di
persuasione, manipolazione e cooptazione.
Nella
sezione conclusiva valuteremo la polarizzazione della lotta di classe
in un periodo di dittatura colonialista, nel contesto di istituzioni
svuotate e delegittimate elettoralmente e di politiche sociali
radicalmente regressive.
Il
saggio affronterà le questioni parallele delle lotte per la libertà
politica e la giustizia sociale a fronte di governi imposti da
dominatori colonialisti tecnocratici, alla fine venuti alla ribalta.
La
posta in gioco va oltre i cambi di regime in corso, per identificare le
configurazioni istituzionali fondamentali che definiranno le
opportunità di vita, le libertà personali e politiche delle generazioni
future, per i decenni a venire.
Democrazie decadenti e la transizione verso democrazie oligarchiche.
Il
decadimento della democrazia è evidente in ogni sfera della politica.
La corruzione ha pervaso ogni settore, i partiti e i leader si
contendono i contributi finanziari dei ricchi e dei potenti; posizioni
all’interno dei poteri legislativo ed esecutivo hanno tutte un prezzo;
ogni parte della legislazione è influenzata da potenti “lobbies”
corporative che spendono milioni per la scrittura di leggi a loro
profitto e per individuare le manovre più opportune alla loro
approvazione.
Eminenti
faccendieri che agiscono nei posti di influenza come il criminale
statunitense Jack Abramoff si vantano del fatto che “ogni membro del
congresso ha il suo prezzo”.
Il
voto dei cittadini non conta per nulla: le promesse elettorali dei
politici non hanno relazione alcuna con il loro comportamento quando
sono in carica. Bugie e inganni sono considerati “normali” nel processo
politico.
L’esercizio
dei diritti politici è sempre più sottoposto alla sorveglianza della
polizia e i cittadini attivi sono soggetti ad arresti arbitrari.
L’élite
politica esaurisce il tesoro pubblico sovvenzionando guerre coloniali, e
le spese per queste avventure militari eliminano i programmi sociali,
gli enti pubblici e i servizi fondamentali.
I legislatori si impegnano con demagogia al vetriolo in conflitti da vere marionette, sul tipo dei burattini Punch (Pulcinella) e Judy (Colombina), in manifestazioni pubbliche di partigianeria, mentre in privato fanno festa insieme alla mangiatoia pubblica.
A
fronte di istituzioni legislative ormai screditate, e del palese,
volgare mercato di compravendita dei pubblici uffici, i funzionari
dirigenti, eletti e nominati, sequestrano i poteri legislativo e
giudiziario.
La
democrazia in decomposizione si trasforma in una “democrazia
oligarchica” come governo auto-imposto di funzionari dell’esecutivo;
vengono scavalcate le norme democratiche e si ignorano gli interessi
della maggioranza dei cittadini. Una giunta esecutiva di funzionari
eletti e non eletti risolve questioni come quelle della guerra e della
pace, alloca miliardi di dollari o di euro presso una oligarchia
finanziaria, e mossa da pregiudizi di classe riduce il tenore di vita di
milioni di cittadini tramite “pacchetti di austerità”.
L’assemblea
legislativa abdica alle sue funzioni, legislativa e di controllo, e si
inchina davanti ai “fatti compiuti” della giunta esecutiva (il governo di oligarchi)
. Alla cittadinanza viene assegnato il ruolo di spettatore passivo –
anche se si diffondono sempre più in profondità la rabbia, il disgusto e
l’ostilità.
Le
voci isolate dei rappresentanti il dissenso sono soffocate dalla
cacofonia dei mass media che si limitano a dare la parola ai prestigiosi
“esperti” e accademici, compari pagati dall’oligarchia finanziaria e
consiglieri della giunta esecutiva.
I
cittadini non faranno più riferimento ai parlamenti, alle assemble
legislative, per trovare soccorso o riparazione per il sequestro e
l’abuso di potere messo in atto dall’esecutivo.
Per
fortificare il loro potere assoluto, le oligarchie castrano le
costituzioni, adducendo catastrofi economiche e minacce assolutamente
pervasive di “terroristi”.
Un
mastodontico e crescente apparato statale di polizia, con poteri
illimitati, impone vincoli all’opposizione civica e politica. Dato che i
poteri legislativi sono fiaccati e le autorità esecutive allargano la
loro sfera di azione, le libertà democratiche ancora presenti sono
ridotte attraverso “limitazioni burocratiche” imposte al tempo, luogo e
forme dell’azione politica. Lo scopo è quello di minimizzare l’azione
della minoranza critica, che potrebbe mobilitare simpateticamente e
divenire la maggioranza.
Come
la crisi economica peggiora, e i detentori di titoli e gli investitori
esigono tassi di interesse sempre più alti, l’oligarchia estende e
approfondisce le misure di austerità. Si allargano le diseguaglianze, e
viene messa in luce la natura oligarchica della giunta esecutiva. Le
basi sociali del regime si restringono. I lavoratori qualificati e ben
pagati, gli impiegati della classe media e i professionisti cominciano a
sentire l’erosione acuta di stipendi, salari, pensioni, il
peggioramento delle condizioni di lavoro e di prospettive di carriera
futura.
Il
restringersi del sostegno sociale mina le pretese di legittimità
democratica da parte della giunta di governo. A fronte del malcontento e
del discredito di massa, e con settori strategici della burocrazia
civile in rivolta, scoppia la lotta tra fazioni, tra le cricche rivali
all’interno dei “partiti ufficialmente al governo”.
L’“oligarchia
democratica” è spinta e tirata nelle varie direzioni: si decretano
tagli alla spesa sociale, ma questi possono trovare solo limitati
appoggi alla loro applicazione. Si decretano imposte regressive, che non
possono venire riscosse. Si scatenano guerre coloniali, che non si
possono vincere. La giunta esecutiva si dibatte tra azioni di forza e di
compromesso: robuste promesse per i banchieri internazionali e poi,
sotto pressioni di massa, si tenta di ritornare sugli errori.
A
lungo andare, la democrazia oligarchica non è più utile per l’élite
finanziaria. Le sue pretese di rappresentanza democratica non possono
più ingannare le masse. Il prolungarsi dello stato conflittuale tra le
fazioni dell’élite erode la loro volontà di imporre a pieno l’agenda
dell’oligarchia finanziaria.
A questo punto, la democrazia oligarchica come formula politica ha fatto il suo corso.
L’élite
finanziaria è già pronta e decisa a scartare ogni pretesa di governo da
parte di questi oligarchi democratici. Sono considerati sì volonterosi,
ma troppo deboli; troppo soggetti a pressioni interne da fazioni rivali
e non disposti a procedere a tagli selvaggi nei bilanci sociali, a
ridurre ancora di più i livelli di vita e le condizioni di lavoro.
Arriva
in primo piano il vero potere che muoveva le fila dietro le giunte
esecutive. I banchieri internazionali scartano la “giunta indigena” e
impongono al governo banchieri non-eletti – doppiando i loro banchieri
privati da tecnocrati.
La transizione verso la dittatura coloniale “tecnocratica”
Il
governo dei banchieri stranieri, alla fine venuto direttamente alla
ribalta, è mascherato da un’ideologia che descrive questo come un
governo condotto da tecnocrati esperti, apolitici e scevri da interessi
privati. Dietro alla retorica tecnocratica, la realtà è che i funzionari
designati hanno una carriera di operatori per- e- con i grandi
interessi finanziari privati e internazionali.
Lucas
Papdemos, nominato Primo ministro greco, ha lavorato per la Federal
Reserve Bank di Boston e, come capo della Banca centrale greca, è stato
il responsabile della falsificazione dei libri contabili a copertura di
quei bilanci fraudolenti che hanno portato la Grecia all’attuale
disastro finanziario.
Mario Monti, designato Primo ministro dell’Italia, ha ricoperto incarichi per l’Unione europea e la Goldman Sachs.
Queste
nomine da parte delle banche si basano sulla lealtà totale di questi
signori e sul loro impegno senza riserve di imporre politiche
regressive, le più inique sulle popolazioni di lavoratori di Grecia e
Italia.
I
cosiddetti tecnocrati non sono soggetti a fazioni di partito, nemmeno
lontanamente sono sensibili a qualsiasi protesta sociale. Essi sono
liberi da qualsiasi impegno politico … tranne uno, quello di assicurare
il pagamento del debito ai detentori stranieri dei titoli di Stato – in
particolare di restituire i prestiti alle più importanti istituzioni
finanziarie europee e nord americane.
I
tecnocrati sono totalmente dipendenti dalle banche estere per le loro
nomine e permanenze in carica. Non hanno alcuna infarinatura di base
organizzativa politica nei paesi che governano. Costoro governano perché
banchieri stranieri minacciavano di bancarotta i paesi, se non venivano
accettate queste nomine. Hanno indipendenza zero, nel senso che i
“tecnocrati” sono soltanto strumenti e rappresentanti diretti dei
banchieri euro-americani.
I
“tecnocrati”, per natura del loro mandato, sono funzionari coloniali
esplicitamente designati su comando dei banchieri imperiali e godono del
loro sostegno.
In
secondo luogo, né loro né i loro mentori colonialisti sono stati eletti
dal popolo su cui governano. Sono stati imposti dalla coercizione
economica e dal ricatto politico.
In
terzo luogo, le misure da loro adottate sono destinate ad infliggere la
sofferenza massima per alterare completamente i rapporti di forza tra
lavoro e capitale, massimizzando il potere di quest’ultimo di assumere,
licenziare, fissare salari e condizioni di lavoro.
In altre parole, l’agenda tecnocratica impone una dittatura politica ed economica.
Le
istituzioni sociali e i processi politici associati con il sistema di
sicurezza sociale democratico-capitalista, corrotto da democrazie
decadenti, eroso dalle democrazie oligarchiche, sono minacciati di
demolizione totale dalle prevaricanti dittature coloniali tecnocratiche.
Il
linguaggio di “sociale / regressione” è pieno di eufemismi, ma la
sostanza è chiara. I programmi sociali in materia di sanità pubblica,
istruzione, pensioni, e tutela dei disabili sono tagliati o eliminati e i
“risparmi” trasferiti ai pagamenti tributari per i detentori di titoli
esteri (banche).
I
pubblici dipendenti vengono licenziati, allungata la loro età
pensionabile, e i salari ridotti e il diritto di permanenza in ruolo
eliminato. Le imprese pubbliche sono vendute a oligarchi capitalisti
stranieri e domestici, con decurtamento dei servizi ed eliminazione
brutale dei dipendenti. I datori di lavoro stracciano i contratti
collettivi di lavoro. I lavoratori sono licenziati e assunti a capriccio
dei padroni. Ferie, trattamento di fine rapporto, salari di ingresso e
pagamento degli straordinari sono drasticamente ridotti.
Queste politiche regressive pro-capitalisti sono mascherate da “riforme strutturali”.
Processi
consultativi sono sostituiti da poteri dittatoriali del capitale –
poteri “legiferati” e messi in attuazione dai tecnocrati designati allo
scopo.
Dai
tempi del regime di dominio fascista di Mussolini e della giunta
militare greca (1967 – 1973) non si era mai visto un tale assalto
regressivo contro le organizzazioni popolari e contro i diritti
democratici.
Raffronto fra dittatura fascista e dittatura tecnocratica
Le
precedenti dittature fasciste e militari hanno molto in comune con gli
attuali despoti tecnocratici per quanto concerne gli interessi
capitalistici che loro difendono e le classi sociali che loro opprimono.
Ma ci sono differenze importanti che mascherano le continuità.
La
giunta militare in Grecia, e in Italia Mussolini, avevano preso il
potere con la forza e la violenza, avevano messo al bando tutti i
partiti dell’opposizione, avevano schiacciato i sindacati e chiuso i
parlamenti eletti.
Alla
attuale dittatura “tecnocratica” viene consegnato il potere dalle
élites politiche della democrazia oligarchica – una transizione
“pacifica”, almeno nella sua fase iniziale.
A
differenza delle precedenti dittature, gli attuali regimi dispotici
conservano le facciate elettorali, ma svuotate di contenuti e mutilate,
come entità certificate senza obiezioni per offrire una sorta di
“pseudo-legittimazione”, che seduce la stampa finanziaria, ma si fa
beffe di solo pochi stolti cittadini. Infatti, dal primo giorno di
governo tecnocratico gli slogan incisivi dei movimenti organizzati in
Italia denunciavano: “No ad un governo di banchieri”, mentre in Grecia
lo slogan che ha salutato il fantoccio pragmatista Papdemos è stato
“Unione Europea, Fondo Monetario, fuori dai piedi!”
Le
dittature in precedenza avevano iniziato il loro corso come stati di
polizia del tutto vomitevoli, che arrestavano gli attivisti dei
movimenti per la democrazia e i sindacalisti, prima di perseguire le
loro politiche in favore del capitalismo. Gli attuali tecnocrati prima
lanciano il loro malefico assalto a tutto campo contro le condizioni di
vita e di lavoro, con il consenso parlamentare, e poi di fronte ad una
resistenza intensa e determinata posta in essere dai “parlamenti della
strada”, procedono per gradi ad aumentare la repressione caratteristica
di uno stato di polizia… mettendo in pratica un governo da stato di
polizia incrementale.
Politiche delle dittature tecnocratiche: campo di applicazione, intensità e metodo
L’organizzazione
dittatoriale di un regime tecnocratico deriva dalle sue politiche e
dalla missione politica. Al fine di imporre politiche che si traducono
in massicci trasferimenti di ricchezza, di potere e di diritti
giuridici, dal lavoro e dalle famiglie al capitale, soprattutto al
capitale straniero, risulta essenziale un regime autoritario,
soprattutto in previsione di un’accanita e determinata resistenza.
L’oligarchia
finanziaria internazionale non può assicurare per tanto tempo una
“stabile e sostenibile” sottrazione di ricchezza con una qualche
parvenza di governance democratica, e tanto meno una democrazia
oligarchica in decomposizione.
Da
qui, l’ultima risorsa per i banchieri in Europa e negli Stati Uniti è
di designare direttamente uno di loro a esercitare pressioni, a farsi
largo e ad esigere una serie di cambiamenti di vasta portata, regressivi
a lungo termine. La missione dei tecnocrati è di imporre un quadro
istituzionale duraturo, che garantirà per il futuro il pagamento di
interessi elevati, a spese di decenni di impoverimento e di esclusione
popolare.
La
missione della “dittatura tecnocratica” non è quella di porre in essere
un’unica politica regressiva di breve durata, come il congelamento
salariale o il licenziamento di qualche migliaio di insegnanti.
L’intento dei dittatori tecnocrati è quello di convertire l’intero
apparato statale in un torchio efficiente in grado di estrarre
continuamente e di trasferire le entrate fiscali e i redditi, dai
lavoratori e dai dipendenti in favore dei detentori dei titoli.
Per
massimizzare il potere e i profitti del capitale a scapito dei
lavoratori, i tecnocrati garantiscono ai capitalisti il potere
assoluto di fissare i termini dei contratti di lavoro, per quanto
riguarda assunzioni, licenziamenti, longevità, orario e condizioni di
lavoro.
Il
“metodo di governo” dei tecnocrati è quello di avere orecchio solo per i
banchieri stranieri, i detentori di titoli e gli investitori privati.
Il
processo decisionale è chiuso e limitato alla cricca di banchieri e
tecnocrati senza la minima trasparenza. Soprattutto, in base a regole
colonialiste, i tecnocrati devono ignorare le proteste di manifestanti,
se possibile, o, se necessario, rompere loro la testa.
Sotto
la pressione delle banche, non c’è tempo per le mediazioni, i
compromessi o le dilazioni, come avveniva sotto le democrazie decadenti e
oligarchiche.
Dieci sono le trasformazioni storiche che dominano l’agenda delle dittature tecnocratiche e dei loro mentori colonialisti.
1) Massicci spostamenti delle disponibilità di bilancio, dalle spese per i bisogni sociali ai pagamenti dei titoli di stato e alle rendite
2) Cambiamenti su larga scala nelle politiche di reddito, dai salari ai profitti, ai pagamenti degli interessi e alla rendita.
3) Politiche fiscali fortemente regressive, con l’aumento delle imposte sui consumi (aumento dell’IVA) e sui salari, e con la diminuzione della tassazione su detentori di titoli ed investitori.
4) Eliminazione della sicurezza del lavoro (“flessibilità del lavoro”), con l’aumento di un esercito di riserva di disoccupati a salari più bassi, intensificando lo sfruttamento della manodopera impiegata (“maggiore produttività”).
5) Riscrittura dei codici del lavoro, minando l’equilibrio di poteri tra capitale e lavoro organizzato.
1) Massicci spostamenti delle disponibilità di bilancio, dalle spese per i bisogni sociali ai pagamenti dei titoli di stato e alle rendite
2) Cambiamenti su larga scala nelle politiche di reddito, dai salari ai profitti, ai pagamenti degli interessi e alla rendita.
3) Politiche fiscali fortemente regressive, con l’aumento delle imposte sui consumi (aumento dell’IVA) e sui salari, e con la diminuzione della tassazione su detentori di titoli ed investitori.
4) Eliminazione della sicurezza del lavoro (“flessibilità del lavoro”), con l’aumento di un esercito di riserva di disoccupati a salari più bassi, intensificando lo sfruttamento della manodopera impiegata (“maggiore produttività”).
5) Riscrittura dei codici del lavoro, minando l’equilibrio di poteri tra capitale e lavoro organizzato.
Salari,
condizioni di lavoro e problemi di salute sono strappati dalle mani di
coloro che militano nel sindacato e consegnati alle “commissioni
aziendali” tecnocratiche.
6)
Lo smantellamento di mezzo secolo di imprese e di istituzioni
pubbliche, e privatizzazione delle telecomunicazioni, delle fonti di
energia, della sanità, dell’istruzione e dei fondi pensione.
Privatizzazioni per migliaia di miliardi di dollari sono sopravvenienze
attive su una dimensione storica mondiale. Monopoli privati
rimpiazzano i pubblici e forniscono un minor numero di posti di lavoro e
servizi, senza l’aggiunta di nuova capacità produttiva.
7)
L’asse economico si sposta dalla produzione e dai servizi per il
consumo di massa nel mercato interno alle esportazioni di beni e servizi
particolarmente adatti sui mercati esteri. Questa nuova dinamica
richiede salari più bassi per “competere” a livello internazionale, ma
contrae il mercato interno. La nuova strategia si traduce in un aumento
degli utili in moneta forte ricavati dalle esportazioni per pagare il
debito ai detentori di titoli di stato, provocando così maggiore miseria
e disoccupazione per il lavoro domestico. Secondo questo “modello”
tecnocratico, la prosperità si accumula per quegli investitori avvoltoio
che acquistano lucrativamente da produttori locali finanziariamente
strozzati e speculano su immobili a buon mercato.
8 ) La
dittatura tecnocratica, per progettazione e politiche, mira ad una
“struttura di classe bipolare”, in cui vengono impoverite le grandi
masse dei lavoratori qualificati e la classe media, che soffrono la
mobilità verso il basso, mentre si va arricchendo uno strato di
detentori di titoli e di padroni di aziende locali che incassano
pagamenti per interessi e per il basso costo della manodopera.
9)
La deregolamentazione del capitale, la privatizzazione e la centralità
del capitale finanziario producono un più esteso possesso colonialista
(straniero) della terra, delle banche, dei settori economici strategici e
dei servizi “sociali”. La sovranità nazionale è sostituita dalla
sovranità imperiale nell’economia e nella politica.
10)
Il potere unificato di tecnocrati colonialisti e di detentori
imperialisti di titoli detta la politica che concentra il potere in una
unica élite non-eletta.
Costoro
governano, supportati da una base sociale ristretta e senza legittimità
popolare. Sono politicamente vulnerabili, quindi, sempre dipendenti da
minacce economiche e da situazioni di violenza fisica.
I tre stadi del governo dittatoriale tecnocratico
Il compito storico della dittatura tecnocratica è quello di far arretrare le conquiste politiche, sociali ed economiche guadagn
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