Ieri è morto il Cardinal Martini. E' morto rifiutando l'accanimento terapeutico. Un segnale, una lampadina accesa all'interno della Chiesa, un monito nei confronti di quell'arroganza, anche e soprattutto parlamentare, che si professa liberale ma che poi pretende di poter disporre della vita di tutti in un senso così totalitario da avere giurisdizione perfino sul dolore e sul destino biologico. I familiari di Piergiorgio Welby, prima ancora della famiglia di Eluana Englaro, avranno sicuramente apprezzato.
Cosa si fa quando una persona stimata abbandona questa valle di lacrime (e spread)? Si reclina il capo, si pronunciano formule di rito, si resta attoniti, annichiliti di fronte al mistero della morte, che non fa altro che ricordare a tutti che non è il caso di darsi tante arie. Buon gusto e decenza vorrebbero che non si mettessero in bocca ai defunti parole, di nessun tipo, dette o non dette, innanzitutto perché il rischio di una loro strumentalizzazione è elevato (non potendo i soggetti interessati negare o anche solo meglio specificare, puntualizzare, fare opportuni distinguo), ma anche e soprattutto perché di fronte a un evento così ineluttabile, così angoscioso, così assoluto e irreversibile come la fine della vita, è necessario nutrire un profondo rispetto, e tale rispetto è incompatibile con le bassezze delle miserie umane, specialmente quelle dell'agone politico. Una questione di classe. E proprio l'atteggiamento che teniamo in casi come questi, il fatto di violare o meno la sacralità della morte per mere ragioni di opportunità, è certamente rivelatorio delle inclinazioni, della sensibilità e dei valori e dunque delle priorità che albergano in ciascuno di noi.
Oggi Mario Monti scrive un editoriale sul Corriere della Sera in omaggio a Carlo Maria Martini. Dopo qualche formula di rito, magari sincera ma non di certo originale ("Carlo Maria Martini lascia un vuoto incolmabile tra coloro che hanno trovato in lui una guida intellettuale e spirituale"), l'elogio funebre inizia a prendere tuttavia una piega sospetta: "va a prendere il posto che gli compete tra i grandi italiani ed europei che hanno contribuito a forgiare il pensiero religioso e la vita civile della nostra epoca."
Cosa c'entrano, adesso, gli europei? E che cos’è quel "grandi italiani", se non un escamotage retorico per arrivare ad introdurre gli "europei"? Non bastava dire "grandi uomini"? Evidentemente no, perché la lettera di Monti ottiene così di trasformarsi in un vero e proprio endorsment a sostegno dei suoi obiettivi politici.
"Serberò
per sempre la memoria, l'impronta e l'emozione degli incontri con il
cardinale Martini, delle conversazioni con lui [...] sul valore dell'Europa unita, sull'impegno incessante necessario per avanzare verso quell'obiettivo,
sulla forza d'animo che occorre per riprendersi dopo le inevitabili
battute d'arresto. Poche persone, desidero riconoscerlo in questo
momento, hanno influenzato i miei orientamenti e le mie scelte come
Carlo Maria Martini. Sull'Europa, soprattutto. Un tema che Martini ha sempre coltivato con passione, spesso in modo profetico. Sul Corriere della Sera del 1° maggio 1998, salutando la nascita dell'euro, egli esortava l'Europa a dare prova di un «supplemento di responsabilità». A cominciare da quella sfida che «consiste nel mostrare, con programmi concreti, che la moneta unica e lo stare insieme in un certo modo aumentano le prospettive di lavoro per tutti,
in un quadro di autentica solidarietà». [...] «Ritengo si possa dire
che l'Europa si trova di fronte a un bivio importante, forse decisivo,
della sua storia. Da un lato, le si apre la strada di una più stretta
integrazione: le linee per realizzarla sono molte e in gran parte sono
incluse nella sua stessa storia. Dall'altro lato, la strada che può
aprirsi è anche quella di un arresto del processo di unificazione o di
una sua riduzione solo ad alcuni aspetti non pienamente rispettosi dei
valori su cui deve fondarsi una vera Unione». «La scelta, dunque, sembra
essere tra un'unità più stretta capace di coinvolgere un maggior numero
di popoli e nazioni e una battuta d'arresto che potrebbe portare alla
disgregazione dell'edificio europeo o alla identificazione di tale
edificio con una sola parte del Continente».
Dilemmi drammatici, intravisti da Carlo Maria Martini con grande lucidità. Sta oggi a noi — sotto la sua perdurante guida, speriamo — batterci affinché gli aspetti negativi delle sue profezie non si avverino."
La necessità, nel giorno stesso della sua morte, di usare le parole
del cardinale Maria Martini – pronunciate, tra l'altro, tra il 1997 e il
1998, in un contesto del tutto diverso e ancora lontano dall'escalation
della crisi odierna - per perorare la propria causa politica, arrivando
a sostenere che il cammino di integrazione totale (con la cessione di sovranità che comporta e con tutto il disastroso e perverso meccanismo dei salvataggi a cascata per ottenerla) avverrebbe addirittura sotto la sua perdurante guida,
sarebbe perlomeno giudicato scorretto, inopportuno, una caduta di stile
per chiunque usasse il pulpito di un funerale per sostenere le proprie
(indimostrate e faziose) tesi. Nel caso in cui a farlo sia un presidente
del Consiglio, diventa una dimostrazione di cinismo, di opportunismo,
di dubbia statura politica e di scarsa sensibilità umana, tale da far
riflettere sulle reali motivazioni che guidano il percorso complessivo
sul quale ha incamminato, come in un biblico esodo che conduce i popoli
al sacrificio, in adorazione del vitello d'oro, i cittadini italiani.Dilemmi drammatici, intravisti da Carlo Maria Martini con grande lucidità. Sta oggi a noi — sotto la sua perdurante guida, speriamo — batterci affinché gli aspetti negativi delle sue profezie non si avverino."
http://www.tzetze.it/2012/09/e-monti-usa-il-cardinal-martini-per-fare-propaganda.html
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