Era stato chiamato a deporre in seguito alle dichiarazioni della vedova del giudice Paolo Borsellino, Agnese Piraino Leto, la quale aveva testimoniato, davanti ai magistrati di Caltanissetta che indagano sulla strage di Via d’Amelio, di aver appreso dal marito che quel militare fosse ‘punciutu’. Ma all’udienza odierna del processo Mori, l’ex comandante del Ros dei Carabinieri, Antonio Subranni, si è rifiutato di rispondere.
Da un uomo di Stato, quale Subranni
ufficialmente dovrebbe essere (meglio dire dovrebbe essere stato, visto
che è pensionato), non ci si sarebbe aspettato un atteggiamento simile,
sebbene, essendo indagato in un procedimento connesso, fosse una sua
legittima facoltà. Ma in questi casi vige generalmente una regola
morale: chi non ha nulla da temere, non ha problemi a raccontare ciò che
sa. E invece il generale Subranni, del quale conosciamo la storia e i
trascorsi da depistatore (fu lui, infatti, a depistare le indagini
sull’omicidio di Peppino Impastato, facendolo passare
per un terrorista suicida), ha scelto ancora una volta di tacere dentro
un’aula di giustizia, di fronte ai magistrati. Eppure ci sarebbe tanto
piaciuto conoscere la sua versione sulla trattativa tra mafia e Stato.
Anche perché nell’inchiesta della Procura di Palermo su quella
trattativa, il Generale Subranni è, appunto, indagato (l’avviso di
garanzia gli è stato notificato due giorni fa) ed accusato di “violenza o
minaccia a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario”. Con lui
sono indagati lo stesso Mori, il senatore Marcello Dell’Utri e l’ex ministro Dc, Calogero Mannino, oltre che i boss mafiosi Salvatore Riina e Bernardo Provenzano.
Questa mattina, nell’aula dove si celebra il processo al generale dei carabinieri Mario Mori e al colonnello Mauro Obinu, accusati di favoreggiamento aggravato alla mafia,
i magistrati (e non solo loro) avrebbero voluto sentire Subranni
proprio perchè nel periodo delle stragi del 1992 era alla guida del
Raggruppamento Operativo Speciale dell’Arma e quindi aveva un ruolo di
garante, mentre il suo subordinato Mori, all’epoca numero due di quel
raggruppamento, avviava i contatti con Vito Ciancimino
(vecchia conoscenza di Subranni, come risulta dagli affettuosi biglietti
augurali che l’ufficiale mandava al mafioso ex sindaco di Palermo)
probabilmente per raggiungere un accordo finalizzato a far cessare la
strategia stragista di Cosa Nostra.
Un silenzio tanto più indecente e
immorale, quello del generale, perché immediatamente successivo alle
dichiarazioni del collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo,
il quale nella stessa aula, pochi istanti prima, in videoconferenza,
aveva raccontato circostanze importanti ai giudici del tribunale, prima
tra tutte la consapevolezza di Borsellino di una trattativa in atto nel luglio del 1992 tra mafia e Stato e la sua indignazione nell’apprendere della possibilità di dissociazione
che si voleva offrire ai mafiosi, quando alla strage di Via D’Amelio
mancavano ormai solo due giorni e Mutolo era al suo cospetto per
l’ennesimo interrogatorio. Mutolo, oggi, ha raccontato anche
dell’incontro tra Borsellino e Nicola Mancino
(quell’incontro che l’ex Ministro, poi vicepresidente del peggior CSM
della storia, non riesce proprio a ricordare) e ha riferito che in
quella occasione al Viminale il magistrato si era trovato davanti pure Bruno Contrada e Vincenzo Parisi.
Infine, Mutolo ha riferito un altro aneddoto piuttosto significativo:
“ricordo che gli uomini della Dia che mi trasportavano erano, con mia
sorpresa, più preoccupati di essere seguiti da persone dei ‘servizi’ che
da appartenenti alla criminalità organizzata”.
Morale della favola: a volte un rappresentante dello Stato riesce ad essere più omertoso di un mafioso o ex-mafioso. Si potrebbe concludere sostenendo che oggi abbiamo visto l’omertà dello Stato e la verità della mafia. Inconcepibile: in questo Paese la realtà supera di gran lunga la più fervida fantasia. L’immagine che fa più male, comunque, rimane quella di un magistrato integerrimo come Borsellino
che va incontro a morte certa. Da solo. Avendo contro di sé buona parte
di quello Stato per la dignità del quale egli si batteva.
L’udienza di oggi si è completata con la produzione, da parte del pm Di Matteo, di un’annotazione di servizio di un funzionario di polizia. Molti ricorderanno quello
che avevo scritto in occasione dell’ultima udienza del processo, quando
aveva testimoniato il figlio del maresciallo Guazzelli. Quel che
avevo percepito io dopo l’udienza è niente rispetto a quanto percepito
dal funzionario prima dell’udienza. L’ANSA scrive: “E’ stata inoltre
depositata una nota del raggruppamento operativo del 19 giugno 1992 a
firma di Subranni in cui si fa riferimento a delle fonti fiduciarie che
su Calogero Mannino e Salvo Andò dicevano che ‘potessero essere vittime
di Cosa nostra’ e un’annotazione di un agente della Dia su quanto
accaduto poco prima della deposizione, nella scorsa udienza, di
Giluliano Guazzelli, maresciallo dei carabinieri, con Obinu e Giuseppe
Scibilia. Scibilia gli avrebbe detto: ‘mi raccomando, eh?’ e Guazzelli
avrebbe risposto ‘stia tranquillo’”. Cosicché scopriamo che quel maresciallo Scibilia responsabile della mancata cattura di Nitto Santapaola nel barcellonese
poco tempo dopo l’uccisione di mio padre, quel maresciallo Scibilia in
servizio al Ros di Messina ma incaricato nel 1993 di supervisionare nei
primi tempi la collaborazione con la giustizia di Salvatore Cancemi
(che nei primi tempi fu particolarmente reticente, soprattutto su
Berlusconi e Dell’Utri), quel maresciallo Scibilia in servizio al Ros di
Messina ma prescelto da Mori nel febbraio 1995 per sostituire il
maresciallo Antonino Lombardo nelle strane trasferte americane per i colloqui investigativi con Gaetano Badalamenti (il boss agevolato dai depistaggi di Subranni sull’omicidio Impastato), quel maresciallo Scibilia coinvolto negli scandalosi fatti seguiti alla strage di Alcamo Marina,
quel maresciallo Scibilia definito in un libro dal generale Mori
“fratello maggiore” (essendo solo un sottufficiale e per giunta più
giovane di Mori), ecco, quel maresciallo Scibilia ha pure commesso subornazione testimoniale
del figlio del maresciallo Guazzelli, il cui impaccio, infatti, nel
corso dell’ultima udienza, era stato colto e stigmatizzato pure dal
presidente del tribunale.
Ecco, non sarebbe male che quello strano
“fratello maggiore” di Mori venga chiamato quanto prima a testimoniare e
costretto a giustificare il suo inqualificabile comportamento. Sempre
che riesca a trovare una giustificazione.
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Inoltre, qui di seguito pubblico il comunicato lanciato da Giovanna Maggiani Chelli, presidente dell’Associazione tra i familiari delle Vittime della strage di Via dei Georgofili, che ha colto perfettamente il senso delle dichiarazioni di Gaspare Mutolo. Chi ha memoria, sa a chi si riferisce quando scrive: “Figuriamoci
quanto ci siamo sconvolti noi quando il 3 luglio del 1996 – dalle
pagine di riviste quali Famiglia Cristiana, e quotidiani importanti,
abbiamo letto le parole di soggetti che invocavano una legge sulla
Dissociazione“.
Gaspare Mutuolo testimonia che il Giudice Borsellino nel 1992, poco prima di morire era sconvolto all’idea che uomini dello Stato volevano la Dissociazione per la mafia. Figuriamoci quanto ci siamo sconvolti noi quando il 3 luglio del 1996 – dalle pagine di riviste quali Famiglia Cristiana, e quotidiani importanti, abbiamo letto le parole di soggetti che invocavano una legge sulla Dissociazione. Infatti , il 12 giugno del 1996 eravamo appena andati all’udienza preliminare per la strage di via dei Georgofili contro “cosa nostra” che aveva massacrato i nostri figli e pensare ad una dissociazione dei mafiosi stragisti come fu per le BR ci sconvolse a tal punto che pensammo al tradimento per vili trenta denari. Secondo alcuni che non vogliamo neppure nominare, senza dire nulla , senza pagare il giusto prezzo in termini di rivelazioni ed economici, “ cosa nostra” poteva semplicemente dire con una norma ad hoc “non appartengo più alla mafia”. Ancora oggi inorridiamo al pensiero di ciò che abbiamo sofferto in quei momenti davanti alla richiesta di una legge che sotto il tritolo non seppelliva solo le nostre vittime, ma anche le nostre speranze di giustizia. Gaspare Mutuolo ha rinnovato oggi tutta la nostra rabbia contro chi della dissociazione concessa alla mafia con una norma, voleva fare una bandiera di garantismo e della confisca dei beni alla mafia, solo un ritorno elettorale e non il sostegno alle vittime di cosa nostra. Quello del 1996 non fu l’unico tentativo di consentire alla mafia la dissociazione, ci hanno provato oltre anche fino al 2002 e chissà quante altre volte ancora. Siamo più vicini che mai alla figura del Giudice Borsellino, che ben conosceva la mafia e così anche la politica , gli siamo riconoscenti per quanto ha cercato di fare per tutti noi. Purtroppo Borsellino ha pagato un prezzo altissimo in quel luglio 1992, come poco dopo pagheranno i nostri figli a maggio del 1993, perché Borsellino non fu ascoltato, ma ucciso.
http://www.soniaalfano.it/2012/06/01/processo-mori-omerta-di-stato-e-verita-di-mafia/
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