Lo
scorso ottobre il Consiglio federale della Svizzera ha avviato la
procedura per vietare la presenza di compagnie militari private sul
suolo svizzero. Una decisione importante perché segna una prima, piccola
battuta d’arresto per un settore – quello delle società private che
forniscono mezzi, logistica e mercenari (i cosiddetti “contractors”) –
che negli ultimi anni è cresciuto economicamente come pochi altri. Anche
riguardo alla capacità di influenzare le scelte della politica
di Roberto Roveda
Dimentichiamoci l’immagine tradizionale del “soldato di
ventura”, che trascorre il suo tempo in bar fumosi ed esotici in attesa
di un ingaggio. Oggi si parla di compagnie militari private, aziende
moderne e modernamente organizzate, con sedi in diversi Paesi, entrature
importanti nei Dipartimenti della Difesa di nazioni come gli Stati
Uniti e la Gran Bretagna e contatti politici ad altissimo livello. Per
andare sul pratico, società di un comparto che ha un giro di affari tra i
50 e i 100 miliardi di dollari all’anno secondo i dati di un recente
rapporto dell’ONU, tanto che oggi si calcola che il 20-25% delle
operazioni militari NATO vengano appaltate all’esterno.
Aziende che prosperano sulla guerra quindi, ma che ben conoscono le
regole del marketing e sanno quanto sia importante avere una certa
rispettabilità presso l’opinione pubblica. Così i loro siti Internet
sono tutto un trionfo del politically correct e a emergere sono solo
temi digeribili come la sicurezza e il peacekeeping (cioè le operazioni
di mantenimento della pace), quando in realtà le compagniemilitari
private vivono e si arricchiscono sul contrario, cioè sull’instabilità e
l’insicurezza. Ne parliamo con Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Italiana per il Disarmo (www.disarmo.org) e autore del volume Mercenari S.p.a (Bur, 2004) oltre che curatore del blog “I Signori delle guerre” per Altreconomia (www.altreconomia.it/signoridelleguerre).
D. - Dottor Vignarca,
oggi quasi un terzo del bilancio del Dipartimento per la difesa
americano viene destinato a società militari e di supporto logistico
private. Eppure qualche decennio fa l’epoca dei mercenari sembrava
tramontata. Che cosa è cambiato negli ultimi anni?
“Come altri analisti di questi fenomeni, penso che la guerra o il
modo di fare la guerra sia l’ultima cosa che si trasforma. Prima si
modifica l’economia, poi si trasformano le modalità, i meccanismi di
gestione del potere o comunque di gestione internazionale di quelle che
possono essere le dinamiche politiche. Infine si trasforma il modo di
fare la guerra. Negli anni Ottanta, con Ronald Reagan e Margaret
Thatcher, è iniziata la cosiddetta deregulation. Privatizzare ed
esternalizzare sono diventate le parole d’ordine, un’idea economica che è
stata applicata alla politica e che ha abbattuto uno dei capisaldi
dello Stato-nazione così come è stato inteso in epoca moderna, cioè la
gestione dell’esercito, della violenza, in ultimo della guerra. In
questo quadro si sono inserite le compagnie militari private, che sono
aziende all’avanguardia, che hanno associazioni di categoria a livello
internazionale. Soprattutto parliamo di società che offrono una vasta
gamma di servizi: combattere è solo una e non certo la principale delle
loro attività”.
D - Quali servizi offrono?
“Addestrano i combattenti, ma soprattutto hanno a che fare con quello
che è il compito fondamentale di un esercito moderno: la logistica. Il
generale Omar Bradley diceva «Di strategia parlano i dilettanti, i
professionisti
della guerra parlano di logistica». In pratica, se io non sono capace
di spostare mezzi e materiali, non so spostare i soldati, non so dare il
vettovagliamento, non so creare una struttura in grado di gestire tutto
ciò, non posso mettere un esercito moderno in grado di operare. La
logistica è un settore dove oggi sono in gioco interessi enormi. Per
intenderci, nei due anni precedenti l’invasione dell’Iraq del 2003 tutto
il mercato delle navi roll-on/roll-off – traghetti e ferry, per capirci
- è stato completamente «drogato» dal fatto che gli statunitensi hanno
spostato tutte queste navi nell’area del Golfo. Ci hanno, infatti, messo
due anni a predisporre la logistica di Camp Doha da cui poi è partita
l’invasione. E di questo enorme meccanismo si sono occupate le compagnie
militari private, che inoltre hanno interessi economici nei vari teatri
di guerra. Si fanno pagare i loro servizi, infatti, sotto forma di
concessioni minerarie o estrattive nelle zone dove operano. E hanno
interessi a monte perché si faccia la guerra in determinate aree”.
D - Questo è un punto interessante. In che senso lo afferma?
“È un mio parere, però, ma considerare la decisione di Bush di
attaccare l’Iraq finalizzata al solo interesse per il petrolio è
limitativo. Chi ha deciso è stato qualcun altro, cioè la Halliburton,
multinazionale che ha al suo interno anche alcune compagnie militari
private e che fino al 2000 è stata guidata da Dick Cheney, poi
vicepresidente degli Stati Uniti. La Halliburton ha vinto, prima che
iniziasse il conflitto del 2003, l’appalto per la ricostruzione dei
pozzi iracheni. Attenzione: ha vinto l’appalto per ricostruire pozzi che
non erano ancora stati distrutti, dato che la guerra doveva ancora
cominciare! Quindi la Halliburton aveva interessi forti a un nuovo
conflitto iracheno. Come le dicevo all’inizio prima viene la decisione
economica, che in seguito si trasforma in scelta politica...”.
D - Perché queste compagnie private hanno tanto successo?
“Perché hanno costi minori rispetto a un esercito regolare, ma
soprattutto perché con il gioco degli appalti è più facile per militari e
politici gestire tangenti, giri strani. Sulle attività di queste
società private c’è poco controllo, infatti. Qualsiasi bilancio
pubblico, soprattutto se riguarda il settore militare, ha comunque un
tipo di controllo, mentre nel caso delle compagnie private una volta
firmato un contratto nessuno verifica più. Se durante le operazioni un
camion perde una ruota le compagnie private lo lasciano lì, tanto che
torni indietro o no, viene comunque pagato in base al contratto di
appalto. In questo modo le ruberie sono infinite. Poi se muore un
contractor non torna certo a casa con la bara avvolta in una bandiera e
quindi non c’è nessun tipo di pressione da parte dei media e
dell’opinione pubblica. Lo stesso vale se commette delitti o porcherie
nel luogo in cui opera. Niente polveroni, niente inchieste che
coinvolgano le sfere militari e politiche”.
D - Le conseguenze della
privatizzazione della guerra La tendenza attuale è di servirsi sempre di
più di queste società private. Così però si nega una delle basi su cui
si regge l’idea di Stato come è stata elaborata da due secoli a questa
parte: il monopolio della violenza.
“Esattamente, non c’è più questa concezione. Il potere dello stato
nazionale si sta man mano erodendo e non solo in campo militare. Sempre
più spesso le autorità nazionali devono sottostare a decisioni imposte
da organismi sovranazionali, soprattutto economici come per esempio il
Fondo Monetario Internazionale. Lo stiamo vedendo negli ultimi tempi in
Italia: la situazione economica impone un governo tecnico che decide in
totale autonomia dalla politica. La Svizzera, nei mesi scorsi, è stata
obbligata a firmare degli accordi internazionali sulla trasparenza
bancaria per non perdere, diciamo così, un asset economico molto
importante. Nel settore bellico il peso, anche decisionale, degli attori
privati è molto aumentato negli ultimi anni. Per intenderci, in Iraq, a
un certo punto i contractors erano il secondo contingente presente sul
campo, meno numerosi degli statunitensi ma più numerosi dei britannici. E
vi era una totale confusione perché queste compagnie private non
avevano alcun tipo di coordinamento e controllo”.
D - E come si è risolto il problema?
“Non si è trovato di meglio che affidare il coordinamento a un’altra
società privata, l’inglese Aegis Defence Services, fondata da Tim
Spicer, personaggio ambiguo, per usare un eufemismo. Uno che si
autodefinisce un «soldato non ortodosso» nella sua biografia, che ha
tentato un colpo di stato in Papua Nuova Guinea, ha contrabbandato armi
provando di sovvertire il governo in Sierra Leone, un personaggio che
però fondando questa compagnia si è riciclato diventando un uomo molto
potente e molto ricco. Gli Stati Uniti hanno affidato un contratto di
300 milioni di dollari alla Aegis per gestire le
altre compagnie private. Il risultato è che la decisione sul campo non è
più in mano a una linea di comando militare «regolare» che agisce in
base a un’indicazione politica ma è in mano a queste agenzie, le quali
come primo scopo non hanno un obiettivo politico, giusto o sbagliato che
sia, di gestione del territorio, di contrasto ai ribelli ecc, ma
operano in base a criteri unicamente economici. Devo gestire un
territorio? Non mi interessa di farlo legalmente o illegalmente. Non mi
interessa se per star tranquillo nella zona in cui opero devo pagare i
ribelli che poi usano quei soldi per comprare armi e attaccare le forze
regolari, alimentando così di fatto la guerra. L’importante è essere
liberi di operare nelle zone di competenza e dove ho degli interessi
perché magari in quella zona ho una miniera da far rendere oppure dei
pozzi petroliferi da ricostruire”.
D - Quello che poi succede al di fuori del loro ambito di azione non ha rilevanza quindi...
“C’è solo il contratto, ci sono i costi da minimizzare. Siamo di
fronte a un vero sovvertimento della concezione dello Stato moderno come
organismo che deve porre al primo posto il bene collettivo rispetto
agli interessi del privato. Stiamo tornando al privateering, cioè alle
compagnie private come nel Seicento erano la Compagnia delle Indie, la
compagnia delle Antille olandesi, i corsari che avendo il mandato da
parte di una nazione di compiere delle azioni di pirateria, pagavano
delle royalties e facevano quello che D volevano”.
D - La decisione svizzera di avviare una procedura legale per vietare le compagnie militari private che importanza ha?
“È una decisione rilevante, perché è la prima volta che si fa
qualcosa per regolamentare questo settore a livello sia nazionale, sia
internazionale. È importante perché il segnale arriva dalla Svizzera. Le
compagnie militari private i contratti li ottengono negli Stati Uniti
oppure in Gran Bretagna. Vengono in Svizzera per motivi fiscali e perché
la Confederazione gode di una grande reputazione di affidabilità e
prestigio a livello internazionale. Se mi presento come società svizzera
vengo preso in considerazione, sono più rispettato e rispettabile. La
decisione svizzera quindi delimita uno spazio in cui le compagnie
private non sono libere di agire e toglie loro una sorta di biglietto da
visita importante. Poi è una decisione simbolica che dice «non vogliamo
questa gente sul nostro territorio». È un segnale, ma molto
importante”.
www.altreconomia.it
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