Venti anni dal vile omicidio del giudice Falcone, di Francesca Morvillo e degli uomini della scorta, ma il Paese non è cambiato e, malgrado tutto, il clima sembra lo stesso...
Perché ci costringe a fare i conti con un Paese che non sembra affatto cambiato. Con i mille nodi irrisolti dei rapporti fra istituzioni, criminalità organizzata e zone d'ombra. Con il cancro della corruzione e del malaffare che devasta la sfera pubblica. Con il cammino impervio e sempre interrotti della lotta alla criminalità organizzata. Con l'impossibile (almeno fintanto che…) radicamento nella coscienza collettiva di concetti come legalità e onestà. Con una classe politica che non riesce, ma proprio non riesce, ad andare oltre le parole di facciata e mettersi al servizio dei cittadini. Con il clima d'odio, di intolleranza in cui proliferano contrapposizioni, sospetti e “complotti veri o presunti”.
Perché ci costringe a fare i conti con un Paese che resta sempre uguale a se stesso. Nel suo volto peggiore, per giunta. E ci costringe ad una spiazzante ammissione di responsabilità. Perché è anche nostra la colpa. La colpa di non aver abbattuto steccati, ribaltato scrivanie, rivoluzionato il nostro modo di essere cittadini, di intendere la cittadinanza. Di aver subito, in silenzio, la lenta involuzione della nostra Italia. Di non essere riusciti a trasmettere quello sdegno, quella rabbia, quella voglia di giustizia, di integrità che abbiamo provato e proviamo ancora nel rivedere le immagini di venti anni fa. E averne consapevolezza è solo il primo passo, ammettere di essere coinvolti in un fallimento è solo la precondizione di un riscatto che è assieme spirituale, morale, civile e tremendamente concreto.
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