mercoledì 23 maggio 2012

Palermo ha scelto Leoluca Orlando: il sacrificio di Falcone è già stato dimenticato

Leoluca Orlando è diventato sindaco di Palermo per la quarta volta. Nonostante questo ha la faccia tosta di definirsi “il nuovo che avanza” e “il sindaco anti-casta”. Non ha più parlato, come ai tempi d’oro, di “primavera palermitana”, forse solo perché all’abusata retorica nessuno crede più, ma conserva ancora l’abitudine di delegittimare gli avversari politici a colpi di accuse.
Ci ha provato al termine delle primarie, quando la “sua” candidata Rita Borsellino è stata sconfitta dal vendoliano Ferrandelli, accusando di brogli e irregolarità. Ci ha riprovato nelle due settimane che hanno separato la chiamata alle urne per il primo turno e quella per il ballottaggio, accusando l’entourage del rivale Ferrandelli di “comprare i voti”.
Leoluca Orlando ha vinto al secondo turno con il 76% dei voti (al primo si era fermato al 48%), una percentuale quasi bulgara. Se è vero l’assunto che quando in Sicilia vince un candidato di centro-destra vuol dire che “prende i voti dalla Mafia”, non capiamo perché i plebisciti per Leoluca Orlando Cascio non debbano mai essere considerati sospetti.
Cascio, peraltro, è il secondo cognome di Leoluca Orlando. O meglio, in realtà è il cognome del padre, celebre notabile Dc considerato il collegamento tra i politici e le famiglie mafiose palermitane nel dopoguerra. Le colpe dei padri non devono ricadere sui figli, ma allora perché nascondere il cognome?
Leoluca Orlando Cascio, in ogni caso, è riuscito negli anni a costruirsi l’immagine di Paladino dell’Antimafia. In un modo, a onor del vero, un po’ strano, come riportato su questo articolo del Giornale a firma Mariateresa Conti, dall’eloquente titolo “Orlando, il paladino dell’antimafia che impallina chi è contro i boss”. Nel mirino di Leoluca Orlando Cascio, oltre ad Andreotti e ad un Salvo Lima che in ogni caso lo appoggerà in occasione della sua prima elezione a sindaco di Palermo (tanto che lo stesso Orlando non mancherà di ringraziarlo), ci finisce ad esempio il maresciallo Antonino Lombardo, che il 4 marzo 1995 si spara un colpo di pistola in testa, lasciando una lettera in cui respinge le accuse di collusioni con la Mafia.
E nelle grinfie di Orlando ci finisce anche Giovanni Falcone. Un argomento già trattato su Qelsi. Inizialmente amichevoli, i rapporti tra i due si deteriorano quando Giovanni Falcone fa arrestare Vito Ciancimino, accusato da Falcone in persona di essere tornato a fare “affari” con Palermo, il cui sindaco era proprio Orlando. Un bel riassunto della guerra che Orlando comincia a scatenare contro Falcone è stato scritto da Filippo Facci, qui il link.
Il 16 dicembre 1987 la Corte d’Assise di Palermo commina 19 ergastoli nel “maxi-processo” voluto da Falcone, ma da quel momento la vita per il magistrato diventa impossibile. Giovanni Falcone ha tutti contro: il Csm, colleghi magistrati, Magistratura Democratica, e anche politici come Orlando.
Soltanto l’allora Ministro della Giustizia Claudio Martelli crede in lui, affidandogli di dirigere l’Ufficio Affari Penali. Apriti cielo, cominciano a piovere le accuse.
In una puntata di Samarcanda del 1990, Leoluca Orlando accusa Falcone di “tenere chiusi nei cassetti una serie di documenti su delitti eccellenti”. L’attendibilità di Orlando è discutibile, basti pensare che accuserà di “vicinanza con Andreotti” un altro magistrato, Roberto Scarpinato, che pochi anni dopo istruirà il processo per Mafia proprio contro l’attuale senatore a vita.
Nel 1989 il sindaco di Palermo fa peggio:  il pentito Giuseppe Pellegriti accusa Salvo Lima di essere il mandante di una serie di delitti palermitani, Falcone capisce che è una “bufala” ma Orlando si convince che il giudice voglia proteggere Lima e Andreotti.
Nel settembre del 1991, racconta Facci:
Alfredo Galasso assieme a Carmine Mancuso e a Leoluca Orlando, l’11 settembre precedente, aveva fatto un esposto al Csm che sarà il colpo finale: si chiedevano spiegazioni sull’insabbiamento delle indagini sui delitti Reina, Mattarella, La Torre, Insalaco e Bonsignore e anche sui rapporti tra Salvo Lima e Stefano Bontate e sulla loggia massonica Diaz e poi appunto sulle famose carte nei cassetti. Così, dopo circa un mese, il 15 ottobre, Falcone dovette vergognosamente discolparsi davanti al Csm. Non ebbe certo problemi a farlo, ma fu preso dallo sconforto: «Non si può andare avanti in questa maniera, è un linciaggio morale continuo… Non si può investire della cultura del sospetto tutto e tutti. La cultura del sospetto non è l’anticamera della verità, la cultura del sospetto è l’anticamera del komeinismo». Racconterà Francesco Cossiga nel 2008, in un’intervista al Corriere della Sera: «Quel giorno lui uscì dal Csm e venne da me piangendo. Voleva andar via.
Quello stesso mese, il 26 settembre, in una puntata del Maurizio Costanzo Show  Alfredo Galasso ha un battibecco con Falcone: “Non mi piace che stai al Ministero”. Il video è riproposto sotto.
Ma chi è Alfredo Galasso, l’uomo coi baffi che nel video accusa e quasi intimidisce Falcone? Un avvocato, docente universitario, dal 1981 al 1986 componente del Csm e dal 1989 al 1991 deputato regionale siciliano eletto in quota Pci. Una “toga rossa”. E un fedelissimo di Orlando, assieme al quale fonda il movimento “La Rete” e sarà eletto alla Camera dei deputati.
Ecco cosa diceva Giovanni Falcone di Leoluca Orlando:
È un modo di far politica che noi rifiutiamo. Se Orlando sa qualcosa faccia i nomi e i cognomi, citi i fatti, si assuma la responsabilità di quel che ha detto, altrimenti taccia. Non è vero che le inchieste sono a un punto morto. È vero il contrario: ci sono stati sviluppi corposi, con imputati e accertamenti

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