giovedì 10 maggio 2012

I veri vincitori delle elezioni? I tecnocrati europei

 
 
Gli ultimi dati elettorali, dall'Italia e dall'Europa, fanno emergere con chiarezza la crisi profonda della democrazia della rappresentanza così come si è compiutamente raffigurata nella seconda metà del Novecento nel Vecchio Continente. Non è stato semplicemente un voto contro i governi in carica o contro l'austerity imposta da Bruxelles. È stato un voto contro la politica che non convince e non attrae, quasi una dichiarazione di fatto della sua liquidazione. I partiti tradizionali sono i principali sconfitti: dove non perdono, non aumentano comunque i loro consensi. La disaffezione dei cittadini si manifesta, quindi, con l'astensionismo o con il voto a raggruppamenti populisti o antagonisti, di destra o di sinistra, che vogliono fare piazza pulita dell'attuale sistema dei partiti.

Questo favorisce di fatto le élite tecnocratiche di Bruxelles, proprio perchè, mancando una politica forte e autorevole, esse potranno continuare a teleguidare Monti - ma anche Rajoy e Hollande - e a giustificare il ricorso, appunto, ai "tecnicismi", che altro non sono se non politica mascherata in tempi di emergenza.

Nelle elezioni amministrative italiane, il rifiuto del modello partitico tradizionale si manifesta in varie forme. C'è un forte aumento dell'astensione (-7% di votanti rispetto alle elezioni precedenti), soprattutto al Nord e nelle regioni "rosse". Il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo fa il boom di voti, conquistando il primo sindaco e il ballottaggio a Parma, mentre si afferma come secondo partito con il 14% a Genova. Il Pdl in caduta libera è fuori da tutte le partite importanti. La Lega Nord, travolta dagli scandali, dimezza i Sindaci, anche in città simbolo, e tiene soltanto in Veneto e a Verona. Lo scardinamento dell'asse Pdl-Lega non trova però uno sbocco nel Terzo Polo, che fatica a rimanere terzo. Per il Partito Democratico non si tratta di una vittoria, piuttosto di una sconfitta dei suoi avversari-alleati. I dati elaborati dall'Istituto Cattaneo danno, ad eccezione di Grillo, tutti i partiti in forte calo, incluso il Pd, che si attesta come primo partito, ma perde il 29% dei voti effettivi rispetto alle regionali 2010. In calo anche Idv e Sel, mentre l'Udc perde soltanto lo 0,2%. Secondo una proiezione Swg, i partiti che sostengono Monti, insieme raggiungono a malapena il 50% dei voti. Se si conta anche il non-voto, è chiaro che la maggioranza di governo attuale riscuote consensi ben al di sotto della metà degli italiani.

hollande 2
Le elezioni locali nella "virtuosa" Gran Bretagna non sembrano offrire scenari più rassicuranti. La vittoria del Labour Party (al 38%) è dovuta tanto alla pesante sconfitta dei Tories (al 31%) e dei suoi alleati liberali (al 16%) quanto ad un astensionismo record (ha votato soltanto il 32% degli aventi diritto). Che il segnale sia preoccupante lo dimostrano proprio le prime reazioni del leader Labour Ed Miliband, che ha subito affermato: "L'obiettivo del Labour deve essere quello di recuperare consensi tra gli astenuti". Se i britannici, frustrati da tagli e recessione, dubitano che Cameron abbia le ricette giuste per la ripresa, la strada per il Labour è, in ogni caso, tutta in salita. Tra gli anti-politici "rappresentati", ne trae vantaggio il UK Independence Party, che chiede l'uscita del Regno Unito dall'Europa e politiche molto più severe per ridurre l'immigrazione, conquistando un significativo 13% nei Comuni dove ha presentato sue liste.

In Francia, la vittoria di François Hollande va anch'essa letta in una chiave meno propagandistica rispetto ai proclami ottimistici e beneaugurali del centrosinistra italiano. Prima di tutto, non va assolutamente sottovalutato il risultato impressionante di Marine Le Pen, con il Front National al 17.9% al primo turno, quasi il doppio rispetto alle presidenziali del 2007. La destra populista e xenofoba riesce ad interpretare i sentimenti di vaste fette della popolazione che vive l'Europa dei tecnici (e delle frontiere aperte) come una minaccia. C'è stato anche un significativo aumento dell'astensione rispetto alle elezioni precedenti e una consistente percentuale di schede bianche (5.8% al secondo turno). Le schede bianche sono più di due milioni, quasi il doppio dei voti di vantaggio di Hollande su Sarkozy, a significare la fragilità di questa vittoria, più risicata delle aspettative.

Nel land tedesco dello Schleswig-Holstein, la Cdu mantiene di pochissimo la leadership, perdendo però molti seggi, e la maggioranza in Parlamento, visto che gli alleati liberali della Fdp perdono quasi il 7% dei voti. Stallo, quindi, e prospettiva quasi obbligata di "grande coalizione" con l'Spd. I Piraten, raggruppamento fuori dagli schemi di destra e sinistra che si muove con forte padronanza nel web, entrano per la terza volta consecutiva in un Parlamento regionale, e incassano uno strabiliante 8.2%.

Anche in Germania, dunque, sembra delinearsi un quadro di incertezza generale, con l'indebolimento della coalizione di governo ma senza un vero sorpasso degli avversari. E si attendono con trepidazione gli esiti del ben più importante test del prossimo weekend in Renania Settentrionale-Westfalia, il land più popoloso del Paese.

La Grecia di questi giorni fa paura perchè sembra quasi indicare plasticamente un possibile allarmante futuro che l'Italia, ma anche altri Paesi europei, dovrebbero esorcizzare quasi fosse il diavolo in terra. All'aumento dell'astensionismo (+5.9% rispetto al 2009) si aggiunge una frammentazione micidiale tutta a favore di partiti e movimenti di destra e di sinistra radicalmente alternativi allo statu quo. Seppur non tutti anti-europeisti ad oltranza, concordano nel rifiutare comunque i termini degli accordi già stretti per il bailout. I neonazisti entrano in parlamento con il 7%; Syriza, coalizione di movimenti della sinistra radicale, diventa il secondo partito con il 16.8%. I partiti di "governo", Nuova Democrazia e Pasok, liquefatti, insieme non prendono il 32% (nel 2009 contavano il 77.4%). Tra astensionismo e voto anti-politico, populista o radicale, la vera sconfitta è la democrazia tradizionale: nessuno ha i numeri per governare, e ci si avvia verso nuove elezioni a giugno.

Se in Italia e in Europa il modello democratico classico è stato messo più o meno in "minoranza", accompagnato da forti venti anti-austerity e spinte anti-europee e anti-tecnocratiche, quali sono gli effetti reali sulla politica e sulla economia delle singole nazioni?

monti barroso
Il primo fatto che emerge da questi risultati è l'indebolimento della politica tradizionale rappresentata dai leader dei partiti di governo. I politici moderati, di destra, centro e sinistra, avranno sempre meno margini per poter negoziare le politiche economiche e le risposte alla crisi con trasparenza e in maniera coordinata, sia all'interno dei propri Paesi sia in Europa. Sotto il ricatto delle derive populiste e del malcontento dilagante, la propaganda anti-crisi aumenterà, mentre i confronti veri si terranno sempre più in forma ristretta e carbonara, senza la trasparenza e l'informazione diffusa che sono il sale della democrazia. Le nuove trattative tra Merkel e Hollande vanno lette in questo senso: difficilmente si discosteranno dalla rosa di ricette che Bruxelles può offrire, sia per il rigore sia per la crescita.

Lo spettro Grecia - punta dell'iceberg dell'equazione più movimenti "anti" uguale più potere alla tecnocrazia - sarà agitato per mantenere in riga anche l'Italia e la Spagna. L'avanzata inesorabile della nuova potente élite tecnocratica europea, mai confrontatasi in una competizione democratica, provoca paradossalmente lo stesso "caos" contro cui predica.

Il dissenso si esprime in forma variegata, portando alla ribalta la moltitudine, quella massa informe di individui, cose e sentimenti, che sfugge ai calcoli di Bruxelles, come a quelli di breve termine dei partiti, e che sorpassa ogni logica razionale e illuminista di rigore e anche di crescita. La moltitudine avanza, senza una morale precisa, a volte con buone intenzioni, a volte accecata da odio e disperazione come con il revival terroristico di Genova, ma non riesce ancora a trovare forme di sintesi che possano provocare il cambiamento e/o l'alternativa. Così i tecnocrati europei ancora per molto recapiteranno lettere riservate ai capi di governo di ogni colore per determinare politiche economiche e sociali "obbligatorie".

Vito Laterza
Università di Cambridge

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