mercoledì 11 aprile 2012

Spread da emergenza L’Italia resta un problemino dentro un problema enorme La ricetta rigorista fa traballare Piazza Affari sulla scia dell’Europa tutta


Ancora una volta la tregua sui mercati internazionali si è interrotta e con essa scompare anche l’illusione che la cura rigorista imposta da Berlino possa, da sola, stabilizzare l’Eurozona ed evitarne il tracollo. Così almeno pare, osservando i segnali negativi che vengono dalle principali piazze finanziarie europee al rientro dalla pausa pasquale. Ieri Milano ha registrato la performance peggiore del Vecchio continente, cedendo il 5 per cento. Non molto meglio hanno fatto però Parigi (meno 3) e Francoforte (meno 2,49). A trascinare verso il basso gli indici sono stati in particolare i titoli del settore bancario italiano e spagnolo che risentono del rialzo dello spread. Il differenziale di rendimento tra Btp italiani con i Bund tedeschi ha infatti toccato i 400 punti base per la prima volta in due mesi. Ancor peggio il rapporto tra Bonos spagnoli e Bund, in salita oltre i 425 punti, con un tasso al 6,35 per cento. Gli investitori sembrano allarmati dalla spirale recessiva in cui potrebbe presto entrare la Spagna a causa delle misure eccezionali di austerity annunciate la scorsa settimana dal premier Mariano Rajoy. Sfiducia che si trasmette anche al nostro paese. 

Il sollievo apportato dalle misure straordinarie
della Bce è già finito? Dopo aver acquistato per tutta l’estate titoli del debito pubblico sul mercato secondario, nel dicembre scorso l’istituto di Francoforte presieduto da Mario Draghi ha abbassato il tasso di interesse al minimo storico (l’1 per cento) e, modificando il programma Ltro (Long Term Refinancing Operation), ha allargato l’orizzonte temporale dei prestiti agli istituti di credito da un anno a tre. Un piano di rifinanziamento digerito da Berlino soltanto perché si era ormai giunti sull’orlo di una stretta creditizia. A quattro mesi di distanza dal varo, i dati dicono che le banche hanno approfittato delle condizioni di maggior favore per fare incetta di titoli di stato, ma, come ha osservato di recente la maggior parte degli analisti, non per ampliare l’offerta di credito. Al punto che le imprese europee, secondo il Wall Street Journal, si affiderebbero con sempre maggiore frequenza al mercato dei capitali (leggi: emissione dei bond) per finanziarsi, in assenza di banche disposte a prestare denaro. Tra novembre e febbraio, ricordava lunedì il New York Times, le banche spagnole hanno acquistato fino a 68 miliardi di euro di titoli di stato e quelle italiane circa 58 miliardi di euro, comprando soprattutto bond dei rispettivi paesi.
Tutto sulle Banche centrali
In una fase così critica, aggravata a livello globale da una ripresa americana meno robusta del previsto e una crescita cinese non più roboante per i suoi standard, tornano quindi a levarsi le voci di quegli osservatori economici che suggeriscono di unire al consolidamento fiscale negli stati in difficoltà un nuovo stimolo monetario da parte della Bce, questa volta magari più aggressivo, sull’esempio della Fed statunitense. Conscia del fatto che questa eventualità è tutto fuorché remota, nelle settimane scorse la Germania ha cercato di correre ai ripari, criticando la deriva lassista presa da Francoforte negli ultimi mesi. Dopo le parole di Jens Weidmann, presidente della Bundesbank ed ex consigliere economico della cancelliera, il quale, ai primi di marzo, aveva messo in guardia il collega dal proseguire in una politica del denaro a buon mercato, i quotidiani tedeschi hanno inaugurato di recente una serie di editoriali molto critici nei confronti di Draghi. “Sarà l’uomo che ci condurrà all’inflazione?”, si chiedeva a fine marzo la conservatrice Faz, mentre Frank Schäffler, euroscettico del liberale Fdp, sbottava: “Una colomba travestita da falco”. I dubbi nei confronti dell’azione risolutiva delle Banche centrali vengono anche da chi ne ha, senza remore, consentito l’intervento. Secondo l’agenzia governative inglese Debt management office, l’alleggerimento quantitativo portato avanti dalla Bank of England ha reso il mercato dei titoli di stato pericolosamente poco liquido. Ora il rischio è che, anziché abbassare i rendimenti, un’azione prolungata della Banca centrale contribuisca a innalzarli.

Fonte: Il Foglio

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