USCITA DALL’EURO, UNO CHOC FORTE MA BREVE
Roberto Lorenzetti su Facebook chiede se ho letto il libro di Alberto Bagnai e quello di Antonio Rinaldi sulla crisi dell’euro. La risposta è affermativa sul primo che si intitola “Il tramonto dell’euro” ed è stato pubblicato l’anno scorso da Imprimatur. Negativa, invece per il lavoro di Antonio Rinaldi (“Il fallimento dell’euro”) che, comunque, si può stampare gratis da internet. Fra l’altro entrambi insegnano all’Università Gabriele D’Annunzio di Pescara che, a questo punto, diventa il “pensatoio” più attrezzato per quanti ritengono indispensabile la revisione dei trattati sulla moneta unica. A questo proposito vorrei anche rispondere a Roberto Dragonetti che, sempre su Facebook, lega il ritorno alla lira alla “pubblicizzazione” di Banca d’Italia. È un passaggio non indispensabile. Banca d’Italia è sempre stata formalmente partecipata dalle banche che erano anche vigilate. All’origine soprattutto Casse di Risparmio e Istituti di Diritto Pubblico come la Banca Nazionale del Lavoro o il Montepaschi. Poi c’è stata la privatizzazione ma nella realtà non è mai cambiato nulla. Quindi questo non è un ostacolo. Né, come emerge dallo studio di Bagnai, lo sono molti dei fantasmi agitati per mettere paura a quanti sostengono l’uscita dall’euro.
I più pubblicizzati sono due: la caduta del Pil (addirittura il 30% secondo Giorgio Squinzi, Presidente di Confindustria) e il destino del debito pubblico e privato. Sul primo aspetto la risposta è molto semplice: inevitabile qualche squilibrio iniziale. Tuttavia come insegna l’esperienza di altri Paesi (Russia e Argentina) già dall’anno successivo la ripresa del Pil è certa.
Problema del debito: i difensori dell’euro sostengono che il cambio di valuta comporterebbe automaticamente il default dell’Italia. Tesi falsa. Intanto dal punto di vista giuridico: la Lex Monetae, incorporata nei codici di tutto il mondo, attribuisce agli Stati totale sovranità sulla moneta. Ma anche da un punto di vista finanziario: fino a quando l’Italia paga capitale e interessi non cambia nulla per il sottoscrittore dei Btp. Anzi, l’altissima volatilità potrebbe essere una buona opportunità d’affari per la speculazione.
Per il debito privato non ci sarebbero differenze: un mutuo da 100 mila euro diventerebbe un mutuo da 100 mila nuove lire. La rata di 200 euro diventerebbe 200 lire. Certo Bagnai non nasconde che le turbolenze sarebbero notevoli anche perché la rottura di una unione monetaria delle dimensioni dell’euro non ha precedenti. Tuttavia l’alternativa è fra uno choc forte ma di breve periodo e la lenta agonia attuale. L’ultima conferma con i dati Istat sui consumi di giugno. Risulta che sono calati ancora del 3%.
I più pubblicizzati sono due: la caduta del Pil (addirittura il 30% secondo Giorgio Squinzi, Presidente di Confindustria) e il destino del debito pubblico e privato. Sul primo aspetto la risposta è molto semplice: inevitabile qualche squilibrio iniziale. Tuttavia come insegna l’esperienza di altri Paesi (Russia e Argentina) già dall’anno successivo la ripresa del Pil è certa.
Problema del debito: i difensori dell’euro sostengono che il cambio di valuta comporterebbe automaticamente il default dell’Italia. Tesi falsa. Intanto dal punto di vista giuridico: la Lex Monetae, incorporata nei codici di tutto il mondo, attribuisce agli Stati totale sovranità sulla moneta. Ma anche da un punto di vista finanziario: fino a quando l’Italia paga capitale e interessi non cambia nulla per il sottoscrittore dei Btp. Anzi, l’altissima volatilità potrebbe essere una buona opportunità d’affari per la speculazione.
Per il debito privato non ci sarebbero differenze: un mutuo da 100 mila euro diventerebbe un mutuo da 100 mila nuove lire. La rata di 200 euro diventerebbe 200 lire. Certo Bagnai non nasconde che le turbolenze sarebbero notevoli anche perché la rottura di una unione monetaria delle dimensioni dell’euro non ha precedenti. Tuttavia l’alternativa è fra uno choc forte ma di breve periodo e la lenta agonia attuale. L’ultima conferma con i dati Istat sui consumi di giugno. Risulta che sono calati ancora del 3%.
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