mercoledì 25 settembre 2013

Il sistema di cavi di Internet: come funziona la rete

L’infografica interattiva


Uno scoiattolo mangia il cavo internet di Andrew Blum e lui scopre come funziona fisicamente il web
La mappa dei cavi sottomarini, particolare


Quando uno scoiattolo ha rosicchiato un cavo e messo fuori uso la sua connessione, il giornalista Andrew Blum ha cominciato a chiedersi di cos’era veramente fatto Internet. Quindi ha deciso di andare a vedere -- i cavi sottomarini, gli interruttori e gli altri elementi fisici di cui è fatta la rete.
Ecco la trascrizione della sua TED conference.
Nei miei scritti ho sempre trattato soprattutto di architettura, di edifici. La trattazione scritta di questi argomenti si basa su alcuni presupposti. Un architetto progetta un edificio che diventa un luogo, e molti architetti progettano molti edifici che diventano una città. A prescindere da questo complicato mix di forze, di politiche, cultura ed economia che danno forma questi luoghi, voi potete comunque andare a visitarli. Potete percorrerli. Potete sentirne l’odore. Potete sentirli. Potete sperimentare la sensazione di un luogo.
Ma quello che mi ha colpito negli ultimi anni è che meno me ne andavo in giro per il mondo, più stavo seduto davanti al computer. E in particolare a partire dal 2007, da quando ho un iPhone, non solo restavo seduto davanti allo schermo tutto il giorno, ma mi alzavo alla fine della giornata e guardavo quel piccolo schermo che tenevo in tasca. Il fatto sorprendente era quanto rapidamente fosse cambiata la mia relazione con il mondo fisico. In quel breve periodo di tempo, che li chiamiate gli ultimi 15 anni in cui siamo online, oppure gli ultimi 4 o 5 anni in cui siamo continuamente online, la nostra relazione con ciò che ci circonda è cambiata, nel senso che la nostra attenzione è costantemente divisa. Ora guardiamo sia dentro gli schermi, che nel mondo che ci circonda.
E quel che più mi ha colpito, e quello su cui mi sono fissato, è che il mondo dello schermo sembrava non avere nessuna presenza fisica propria. Cercando immagini di Internet, questo è tutto quello che si trova, questa famosa immagine di Opte di Internet come una Via Lattea, questa espansione infinita in cui sembra che noi non siamo da nessuna parte. Sembra che non lo afferriamo mai completamente. Mi ha sempre ricordato l’immagine della terra dall’Apollo, l’immagine della biglia blu, e nello stesso modo sembra suggerire che non possiamo veramente comprenderla interamente. Siamo sempre piccoli di fronte alla sua immensità. Se ci fosse questo mondo su questo schermo, e se ci fosse il mondo fisico intorno a me, non potrei averli entrambi nello stesso posto.
E poi è successo questo. Un giorno, Internet mi si è guastato, come di tanto in tanto succede, e il tizio dell’assistenza che è venuto a ripararlo ha cominciato con quell’ammasso di cavi polverosi dietro il divano, lo ha seguito di fronte al mio palazzo, nel piano interrato e nel cortile, dove c’era questo grosso fascio di cavi contro il muro. Poi ha visto uno scoiattolo correre lungo il cavo, e mi ha detto: “Ecco il suo problema. Uno scoiattolo si sta rosicchiando la sua rete Internet”. E sembrava una cosa assurda. Internet è un’idea trascendente. È una serie di protocolli che hanno cambiato tutto, dallo shopping, agli appuntamenti, alle rivoluzioni. Senza dubbio non era qualcosa che uno scoiattolo poteva rosicchiare. Ma in realtà era proprio così. Uno scoiattolo aveva rosicchiato la mia rete Internet. E poi mi è venuta in mente l’immagine di cosa sarebbe successo se avessi strappato via il cavo dal muro per iniziare a seguirlo. Dove sarebbe andato? Internet è in realtà un luogo che si possa visitare? Posso andarci? Chi incontrerei? C’è veramente qualcosa là fuori?
E la risposta, a detta di tutti, è no. Questo era Internet, questa scatola nera con la lucina rossa, rappresentata in questa sitcom “The IT Crowd”. Di solito sta in cima al Big Ben, perché lì c’è la migliore ricezione, ma hanno negoziato perché il loro collega potesse prenderlo in prestito per il pomeriggio per usarlo in una presentazione in ufficio. Gli anziani di Internet erano disposti a condividerlo per un po’, e lei lo guarda e dice: “Questo è Internet? Tutto Internet? È pesante?” Loro rispondono: “Certo che no, Internet non pesa niente”.


Io ero imbarazzato. Cercavo questa cosa che solo gli stupidi sembravano cercare. Internet era quel blob amorfo o era una stupida scatola nera con una lucina rossa. Non era un mondo reale che sta là fuori. Ma, in realtà lo è. C’è un vero mondo di Internet là fuori, ed ecco quello che ho visitato negli ultimi due anni, questi luoghi di Internet. Sono stato in questi grandi data center che usano tanta energia quanta quella delle città in cui hanno sede, e ho visitato luoghi come questo, 60 Hudson Street a New York, uno degli edifici al mondo che fa parte di una lista molto breve, circa una dozzina di edifici, dove si collegano tra loro il maggior numero di reti Internet al mondo. E quella connessione è indubbiamente un processo fisico. Sono i router di una rete, un Facebook o un Google o un B.T. o un Comcast o una Time Warner, o altro, che si connettono di solito con un cavo a fibra ottica giallo in un soffitto e giù nel router di un’altra rete, ed è indubbiamente fisico, ed è sorprendentemente intimo. Un edificio come quello della Western Union, e un’altra dozzina, hanno 10 volte più reti che si connettono, rispetto al livello successivo di edifici. C’è una lista molto breve di posti come questo. E la Western Union in particolare è interessante perché è la sede di circa una mezza dozzina di reti importanti, le reti che servono i cavi sottomarini che viaggiano in fondo all’oceano che connettono l’Europa e l’America e connettono noi tutti. E sono quei cavi in particolare su cui voglio concentrarmi.
Se Internet è un fenomeno globale, se viviamo in un villaggio globale, è perché ci sono cavi sottomarini, cavi come questo. E in questa dimensione, sono incredibilmente piccoli. Si possono tenere in mano. Sono come un tubo di irrigazione. Ma nell’altra dimensione sono incredibilmente ampi, quanto potete immaginare. Si stendono attraverso l’oceano. Sono lunghi 4.000, 6.000, 12.000 chilometri, e se la scienza dei materiali e le tecnologie informatiche sono così complicate, il processo fisico di base è semplicissimo. La luce penetra in una zona dell’oceano esce dalla parte opposta, e di solito arriva da un edificio chiamato “landing station”, spesso nascosto in una zona vicino al mare. E ci sono degli amplificatori sul fondale dell’oceano che assomigliano a un tonno pinna blu, e ogni 80 km amplificano il segnale. Poiché la velocità di trasmissione è incredibilmente elevata, l’unità di base sono 10 gigabit al secondo la lunghezza d’onda della luce, quasi 1000 volte la vostra connessione, e in grado di trasmettere uno streaming di 10 000 video. Ma non solo, non si mette solo una lunghezza d’onda della luce in una fibra, si mettono magari 50 o 60 o 70 diverse lunghezze d’onda o colori di luce in una singola fibra, e magari avrete 8 fibre in un cavo, 4 per ogni direzione. Sono sottili come un capello.
E connettono i continenti, tramite un pozzetto come questo. Letteralmente, qui è dove si collegano cavi da 8000 km. Questo è a Halifax, un cavo che va da Halifax all’Irlanda. E il paesaggio sta cambando. Tre anni fa, quando ho cominciato a pensarci, c’era un cavo dalla costa occidentale dell’Africa, rappresentato da questa sottile linea nera in questa mappa di Steve Song. Ora ci sono 6 cavi e altri sono in arrivo, 3 su ogni costa. Perché una volta che un paese è collegato con un cavo, si rende conto che non è sufficiente. Se vuole costruirci intorno un’industria, deve sapere che la connessione non è inconsistente, ma permanente, perché se un cavo si rompe bisogna mandare una nave in mare, buttare un gancio in mare, tirarlo su, trovare l’altro capo, saldare i due pezzi e rimandarlo giù. È un processo fisicamente intenso.
Questo è il mio amico Simon Cooper, che fino a poco tempo fa lavorava per Tata Communications, il ramo comunicazioni di Tata, il grande conglomerato industriale indiano. Non l’ho mai incontrato. Abbiamo comunicato tramite sistemi di telepresenza, il che mi fa sempre pensare a lui come all’uomo all’interno di Internet. È inglese. L’industria dei cavi sottomarini è dominata dagli inglesi che sembrano tutti avere 42 anni. Perché hanno cominciato tutti contemporaneamente, con il boom, circa 20 anni fa. E Tata ha cominciato nel ramo delle comunicazioni quando ha comprato due cavi, uno che attraversava l’Atlantico e uno che attraversava il Pacifico, ed è andata avanti aggiungendone dei pezzi, fino a che non hanno fatto il giro del mondo, il che significa che mandano i vostri bit a Est o a Ovest. È letteralmente un raggio di luce intorno al mondo, e se un cavo si rompe nel Pacifico, manderà i dati nell’altra direzione. E fatto questo, hanno cominciato a cercare altre zone da cablare. Hanno cercato zone non cablate, e questo significa a Nord o a Sud, principalmente la cablatura dell’Africa. Ma quello che mi stupisce è l’incredibile immaginazione geografica di Simon. Pensa al mondo in questo modo così esteso.
Ecco la mappa dei cavi sottomarini che collegano i Paesi e continenti a livello globale. Si tratta di una serie di reti lunghe migliaia di chilometri. La Submarine Cable Map è una risorsa gratuita elaborata da TeleGeography. I dati nell’infografica interattiva sono aggiornati di continuo.
Mi interessava particolarmente perché volevo vedere la costruzione di uno di questi cavi. Volevo rappresentarmi quegli attimi passeggeri di connessione che sperimentiamo online, queste specie di brevi adiacenze, un tweet o un post su Facebook o una email, e sembra che ci sia un corollario fisico a tutto questo. Sembra che ci sia un momento in cui il continente è collegato, e volevo vedere quello. Simon stava lavorando su un nuovo cavo, il WACS, il West Africa Cable System, che partiva da Lisbona verso la costa occidentale dell’Africa, la Costa d’Avorio, il Ghana, la Nigeria, il Camerun. E mi ha detto che stavano per posarlo, dipendeva dalle condizioni atmosferiche, ma mi avrebbe fatto sapere, e con 4 giorni di preavviso, mi ha detto di andare su questa spiaggia di Lisbona, e poco dopo le 9, un tizio esce fuori dall’acqua. Trasportava un filo di nylon verde, molto leggero, chiamato “messenger line”. Quello era il primo collegamento tra il mare e la terra, quel collegamento che sarebbe poi stato sfruttato per il percorso di luce di 14 000 km. Poi un bulldozer ha cominciato a tirare il cavo da una particolare nave per posare cavi,e veniva fatto galleggiare su queste boe fino ad essere posizionato nel punto giusto. Vedete questi ingegneri inglesi che osservano. E poi, una volta nel posto giusto, è tornato in acqua con un grosso coltello a staccare le boe e le boe saltavano fuori per aria, e il cavo è affondato nel fondale marino. E lo ha fatto lungo tutto il percorso, fino alla nave, e quando è arrivato là, gli hanno dato un bicchiere di succo di frutta e un biscotto, e si è buttato di nuovo in acqua, ha nuotato fino a riva e poi si è acceso una sigaretta.
E poi una volta posizionato il cavo a riva, si sono preparati a collegarlo all’altro capo, al cavo che era stato messo giù alla landing station. Prima hanno cominciato con un seghetto, poi hanno spellato la plastica interna con un -- lavorano come degli chef e poi finiscono per lavorare come gioiellieri per allineare queste fibre sottili con il cavo che hanno posizionato, e con questa macchina foratrice li saldano insieme. Quando vedete questi ragazzi lavorare su questo cavo con un seghetto, smettete di pensare a Internet come alla nuvola. Comincia a sembrare una cosa incredibilmente fisica. Quello che mi ha sorpreso è anche che, per quanto tutto si basi sulle tecnologie più sofisticate, e siano cose assolutamente nuove, il processo fisico stesso esiste da molto tempo e la cultura è sempre la stessa. Vedete gli operai locali. Vedete gli ingegneri inglesi che danno indicazioni sul fondo. E ancora più importante, i luoghi sono gli stessi. Questi cavi continuano a collegare i classici porti di città, luoghi come Lisbona, Mombasa, Mumbai, Singapore, New York.
E per il processo a terra ci vogliono 3 o 4 giorni, e poi, una volta fatto, mettono un coperchio sulla botola e la ricoprono di sabbia, e ce ne dimentichiamo tutti. E mi sembra che parliamo molto della nuvola, ma ogni volta che mettiamo qualcosa sulla nuvola, cediamo parte delle responsabilità. Siamo meno collegati. Lasciamo che siano gli altri a preoccuparsene. E non mi sembra giusto. C’è una grande frase di Neal Stephenson in cui dice che le persone cablate dovrebbero saperne qualcosa di cavi. E dovremmo sapere, credo, da dove viene Internet, e dovremmo sapere cosa fisicamente ci connette tutti.

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