martedì 17 settembre 2013

Il Feeling dell’Aikido – Intervista a Seijuro Masuda (1990)

Seijuro Masuda Sensei a Milano (1990)
Dagli archivi di Simone Chierchini, Aikido Italia Network vi ripropone un’intervista del 1990 con Masuda Seijuro Shihan, 8 Dan Aikikai Hombu Dojo
Nel mese di dicembre si e’ concretizzato uno degli appuntamenti più importanti degli ultimi anni per I’Aikido italiano: l’arrivo del Maestro Masuda, VII Dan, accompagnato da undici studenti giapponesi dell’Università’ Nitaidai di Tokyo. Aikido vi propone una rapida rassegna sullo stage milanese e una fondamentale intervista rilasciata da Masuda Sensei al nostro inviato.
di SIMONE CHIERCHINI
Da alcuni mesi l’attivita’ preparatoria e l’attesa per l’arrivo del Maestro Masu­da ferveva negli ambienti Aikikai: l’occasione era realmente ghiotta, dal mo­mento che si presentava l’opportunità’ da un lato di praticare diretti da uno dei più affermati insegnanti dell’Hombu Dojo, dall’altro di trovarsi in continuo contatto con un folto gruppo di giovani universitari, aikidoka di non lunghissima esperienza, ma già tutti oltre lo shodan. Aggiungeva un sapore particolare all’avvenimento la consapevolezza di trovarsi al cospetto di una delle più im­portanti guide del Maestro Fujimoto, nostro Direttore Didattico unitamente al Maestro Hosokawa; Masuda Sensei fino ad allora era poco conosciuto dalla platea italiana.
A questo appuntamento, che fin dalle premesse si annunciava denso di contenuti e di insegnamenti, l’organizzazione, curata dall’Aikikai Milano, poteva garantire uno scenario davvero inusuale per bellezza e funzionalità rispetto agli abituali standard delle nostre riunioni, ossia un attrezzato centro sportivo, gentilmente messo a disposizione da uno degli istituti bancari più noti d’ltalia.
A dicembre l’attesa si e’ finalmente concretizzata e la curiosità dell’ambiente e’ stata degnamente ripagata nel corso di un seminario ricco di situazioni e di suggerimenti tecnici, forte della presenza di un uomo, il Maestro Masuda, la cui urbanità e simpatia hanno presto conquistato i gusti del pur esigente pubblico aikidoistico italiano, rappresentato a Milano da oltre centosessanta praticanti giunti un po’ da ogni dove. Il corso tenuto dal Maestro Masuda si e’ segnalato tra i numerosi che affollano il nostro calendario per la continuità della tensione fisica ed emotiva, che ha tenuto vivo in ogni istante l’uditorio milanese; per la varietà di soluzioni tecniche mostrate, che hanno suggerito il loro essere infi­nite; per l’assenza di fatica, di qualsivoglia attrito, frutto della simpatia e della profonda umanità di Masuda Sensei, che nella settimana trascorsa in Italia ha pienamente dimostrato di essere un ve­ro Maestro.
Abbiamo anche potuto osservare dal vivo l’attenzione dedicata da Masuda Sensei ai propri studenti in ogni mo­mento della loro giornata; abbiamo vi­sto, purtroppo non senza ascoltare le sciocche osservazioni di qualcuno, il ri­spetto e la venerazione votata dai medesimi studenti alla loro guida, modo tipicamente nipponico questo per significare amore; ci siamo confusi tra questi ra gazzi, con loro abbiamo praticato Aikido, tra noi poi ne abbiamo lungamente parlato. Un’esperienza fondamentale. Degnamente coronata dalle parole che il Maestro Masuda, a conclusione delle sue lezioni, ci ha consegnato da offrire agli aikidoisti italiani.
CHIERCHINI
Maestro, dal momento che e’ la prima volta che lei viene qui in Italia, credo sarebbe cosa interessante per i nostri lettori fissare un quadro delle sue funzioni e del suo ruolo nel panorama aikidoistico giapponese.
MASUDA
Ormai sono circa quindici anni che sono Shihan. All’Hombu Dojo con Shihan si intende colui che ha conseguito il VI Dan, ed e quindi abilitato ad insegnare; oggi sono VII Dan. Fino a cin­que anni fa sono stato anche Capo del Dojo, non il Dojo-Cho, intendiamoci, che allora era Osawa Sensei e adesso Waka Sensei, e cioè il responsabile della conduzione tecnica, bensì il responsabi­le del settore organizzativo. Si tratta di una struttura del tutto diversa e separa­ta da quella didattica, che ha il compito di occuparsi, internamente, della piccola organizzazione, ossia di risolvere i problemi pratici: preparazione di una dimostrazione, direzione di una cerimonia, conduzione di una festa; questo e’ stato per anni il mio contributo al buon andamento dell’Hombu Dojo, unitamente alla collaborazione nell’insegnamento.
Sono cinque anni ormai che ho lasciato quest’incarico, dal momento che adesso sono stato scelto come Direttore Tecnico del Settore Aikido delle Università’ giapponesi, di cui il presidente e’ il Doshu. Le Università in Giappone so­no riunite in quattro gruppi divisi per zona geografica; ognuno di questi ha una sua Federazione di Aikido, e tutte insieme sono riunite nel Settore Aikido Università che io ho il compito di gestire.
CHIERCHINI
Una delle cose che più ha colpito chi ha frequentato il suo corso di questi giorni, e’ la particolarità del sistema didattico da lei adottato, basato, per quan­to si sia potuto vedere qui in Italia, su una notevole varietà di esemplificazioni tecniche e sull’intendimento di creare un’atmosfera ricca di asobi, divertimen­to, piacevolezza nella pratica. Da dove nasce questo metodo?
MASUDA
Questa e’ una domanda cui e’ diffi­cile rispondere. Certo, forse il mio tipo di insegnamento e’ un po’ particolare, anche se le peculiarità di esso le ha forse esaltate il clima italico! Non pensate che quando insegno a Tokyo faccio sempre cosi: sono venuto qui dal Giappone, magari per una volta nella vita, o almeno questa e’ la prima, e quindi ho cercato di mostrare tanti aspetti di me e del mio Aikido per interessare la gente, anche da più punti di vista, di modo che tutti fossero soddisfatti, principianti, avanzati e anche insegnanti. Per questo ho fatto così tante cose, ma e questo il mio metodo abituale. Quando insegno all’Hombu Dojo, generalmente mi trovo di fronte due categorie di allievi: gli uni pensano che l’Aikido sia un’Arte Marziale; gli altri ritengono, si, che l’Aikido e’ pur sempre un’Arte Marziale, però che la cosa più importante sia divertirsi. Divertimento in questo caso non va inteso come atteggiamento dissacratore, ossia lo scherzare o il ridere sul tatami; significa, semmai, essere in grado di di­re una volta finita la lezione: — Bene. Oggi sono contento, molto contento, quindi domani ritorno —. Questa e’ la via per capire il vero feeling dell’Aikido. Io personalmente cerco, e mi rivolgo, soprattutto a questo gruppo di persone.
CHIERCHINI
Nel corso degli anni ritiene di aver modificato il suo sistema didattico?
MASUDA
Rispetto all’epoca in cui Fujimoto Sensei studiava da me, si, sicuramente. Quel periodo era molto diverso da adesso: nel frattempo il mondo e’ cambiato, ma non ho voluto cambiarlo io. D’altronde ne’ io, ne’ il vostro Sensei siamo gli stessi di un tempo.
CHIERCHINI
Com’era Masuda Sensei a quell’epoca?
MASUDA
Anche a quell’epoca studiavo tan­te cose, ed esternamente ero simile ad adesso; ma la mia mentalità, l’approccio con gli altri era del tutto differente: oggi sono tutto teso verso gli allievi, gli studenti, allora pensavo più a me stesso. In quel periodo era molto più importante che io imparassi, studiassi, praticassi l’Aikido. Oggi come oggi mi sono evoluto, seguendo il cambiamento della gente, del mondo.
CHIERCHINI
In quindici anni di insegnamento ha avuto la possibilità di osservare tantissime persone, specie giovani. Gli ultimi anni le hanno mostrato qualcosa di nuovo?
MASUDA
Non solo in Giappone, ma in tutto il mondo la società e’ mutata profondamente. Tutti noi siamo cambiati, non solo i giovani; ma e’ difficile dire che cosa c’e di nuovo, perche’ l’evoluzione, in quanto generale, ha preso dentro anche noi.
CHIERCHINI
Uno sguardo sull’Hombu Dojo: come vive Masuda Sensei il suo rappor­to quotidiano con l’uomo cui guarda tutto l’Aikido mondiale, il Doshu?
MASUDA
Con una semplice espressione, potrei definire questo contatto quotidia­no come rapporto maestro-allievo. Però’ tanti anni fa, quando ero giovane e ancora studiavo l’Aikido, Ueshiba Kisshomaru Sensei non era ancora Doshu (Guida), era Waka Sensei (Giovane Maestro) e Hombu Dojo-Cho. All’epoca gli ero veramente molto vicino, come d’altra parte ad altri grandi maestri, Tada Sensei, Tamura Sensei o anche altri insegnanti anziani. In quel periodo l’Aiki­do non aveva conosciuto quella gran diffusione che ha oggi, ed era un picco­lo fenomeno: capitava cosi che ovunque mi recassi per studiare Aikido, il Maestro fosse lui, l’allora Waka Sensei. Potete capire dunque come potesse nascere uno stretto rapporto. Adesso e’ diverso. Lui e’ il Doshu, quindi e’ diventato molto più importante: inevitabile e giusto che le distanze siano cresciute.
CHIERCHINI
Una sua opinione sull’attuale Gio­vane Maestro (Waka Sensei).
MASUDA
Ueshiba Moriteru, attuale «Giovane Maestro», e’ un uomo molto generoso. A lui piace praticare Aikido, insegnare, aiutare la gente normale, gli allievi comuni. A parer mio e’ una figura che si adatta perfettamente al ruolo che dovrà ricoprire in futuro, quando verrà per lui il momento di diventare Doshu.
Credo però di intuire, dietro a questa domanda, un quesito che qui in Occidente molti si saranno posti: per quale motivo la Guida dell’Aikido mondiale debba essere scelta seguendo la linea del sangue, di padre in figlio, come una faccenda di sangue blu. Ebbene, la risposta e’ questa: noi, nel nostra paese, il Giappone, siamo abituati da sempre a fare così. Finché e’ possibile, e’ meglio continuare secondo la linea della discendenza diretta, perché almeno così non ci sono problemi. In questo modo tutti sono d’accordo, perché da secoli la nostra cultura ci mostra di agire cosi.
CHIERCHINI
Una figura che da sempre ha conquistato l’immaginario degli allievi occi­dentali, e’ quella dell’uchideshi, lo studente interno dell’Hombu Dojo. Cosa rimane oggi di questa «romantica» istituzione?
MASUDA
Uchideshi e’ colui che vive insieme alla famiglia del Maestro, mangia con lui, ci sta insieme ventiquattro ore su ventiquattro. Attualmente all’Hombu Dojo uchideshi di questo tipo non ne esistono piu. Nel Dojo c’e ancora una stan­za per dormire, ma e’ diventata un po’ come un albergo per gli ospiti della pa­lestra; ci sono ancora degli allievi che vengono chiamati uchideshi, ma non e’ più come prima. Ormai sono venti anni che quel tipo di rapporto continuo non esiste piu’.
CHIERCHINI
Ci vuole dire con questo che il rap­porto maestro-allievo all’Hombu Dojo si va allentando?
MASUDA
Questo no. In realtà l’Hombu Do­jo, la casa del Doshu e quella di Waka Sensei sono vicinissime, raccolte in un fazzoletto di terra. Però quando il Mae­stro Ueshiba torna a casa, fine: chiude la porta e non ci sono piùuchideshi. Quan­do poi al mattino esce, gli allievi, che lo stavano aspettando, subito gli si fanno incontro.
CHIERCHINI
Lei, Maestro Masuda, ricopre la massima carica nell’organizzazione aikidoistica universitaria giapponese. Sarebbe quindi interessante sapere qual­cosa da lei sugli indirizzi di studio degli universitari del Giappone, e sul perché alcuni si rivolgono all’Aikido.
MASUDA
Le materie di studio in Giappone sono numerose, ma in fondo non credo che esistano differenze rimarchevoli nei criteri di scelta rispetto all’Occidente; in generale tutte le facoltà sono abbastanza frequentate. Per quanto riguarda l’Ai­kido, magari qualcuno degli allievi continuerà e finirà per divenire insegnante, ma la maggior parte dopo i quattro anni di corso universitario, smette. Perché allora si rivolgono all’Aikido? Sarà perché tutti ne sono innamorati? O perché in questi quattro anni pensano di poterne studiare qualche aspetto? Comunque, secondo me, i motivi della scelta dell’Aikido sono uguali ovunque: tutto il mondo e’ paese.
CHIERCHINI
Come e’ inserito l’Aikido nel programma universitario? E’ una disciplina della Facoltà di Educazione Fisica, unitamente ad altre attività?
MASUDA
No, non e’ così. In Giappone ogni scuola ha, internamente, corsi di musica, sports, Arti Marziali, etc.; c’e un po’ di tutto, organizzato autonomamente dalla scuola e fruito con il sistema del doposcuola dagli studenti. Questo non esiste solo all’Università, ma in ogni scuola di ordine e grado.
CHIERCHINI
La scelta delle attività e’ lasciata al­lo studente?
MASUDA
Certamente. Gli allievi scelgono liberamente tra tantissime attività, anche culturali, ad esempio Ikebana o Cha no yu. Gli studenti che ho portato con me a Milano hanno scelto l’Aikido.
CHIERCHINI
Insegnare all’Hombu Dojo o al­l’Università’ per lei e la stessa cosa? Utilizza lo stesso approccio didattico?
MASUDA
Esiste di sicuro una netta differenza. E’ difficile spiegare in cosa consista, ma principalmente dipende dal fatto che io mi reco a far lezione all’Università’ solo due volte a settimana; il resto lo fanno gli studenti, che devono continuare il training diretti dal loro allenatore, un universitario scelto per questo compito. Dopo che ho fatto lezione, lascio una sorta di compiti, una materia da studiare. Gli studenti si applicano per una settimana su questa lezione; quando ritorno, se sono sicuro che le tecniche che hanno studiato funzionano bene, passo a qualcosa d’altro. In realtà quindi mi occupo esclusivamente di organizzare il lavoro di questi studenti, ma sono loro che portano personalmente avanti l’attività. Questa e una caratteristica comune ad ogni corso universitario: sono gli studenti che producono cultura, i professori e gli assistenti sono li solo per aiutarli.
All’Hombu Dojo il mio ruolo e quello del Sensei che tutti voi conoscete.
CHIERCHINI
Come nasce il Club Aikido dell’Università Nitaidai?
Masuda Sensei si volta verso il M°Fujimoto e dice: — Chiedi a lui!
FUJIMOTO
Il Club e’ nato venti anni fa, quan­do divenne ufficiale; mi ricordo che era morto da poco tempo O’Sensei. Prima e’era solo un gruppetto di una trentina di amici; l’iniziativa fu la mia. Allora non sapevo neppure che sarei venuto in Italia; il nostro gruppo di Aikido non e­ra riconosciuto dalla Nitaidai, e per allenarci dovevamo girovagare per molte palestre. Ad un certo punto decidemmo di organizzarci per fare allenamento interamente all’Università; e stato allora che ho scelto questo Maestro, Masuda Sensei; per far sviluppare l’Aikido tra le attività del doposcuola, era l’unica per­sona che mi sembrasse adatta.
Eh, si! — Interrompe Masuda Sensei — Mi hai proprio fregato! Lui mi aveva detto: «Maestro, e’ sufficiente che lei venga da noi per qualche anno: il Club ha bisogno di aiuto, e’ stato appena fondato e abbiamo alcune difficoltà ad inserirci, dato che alla Nitaidai il Judo va molto forte. Ma basta un po’ di tem­po… Fujimoto, mi hai condannato! Altro che un po’ di tempo: sono passati venti anni e sono ancora lì…
Scoppio generale di ilarità. I due Maestri sembrano trovarsi veramente bene insieme. Ci vuole un po’ perche l’ambiente ritorni consono ad un’intervista. Decido di aggirare l’ostacolo con una «originale» domanda.
CHIERCHINI
Che impressione fa il paese Italia agli occhi di un giapponese?
MASUDA
L’ltalia e’ una nazione di civiltà antichissima, e vi sono tantissime cose rimaste fino ad oggi da quei tempi lontanissimi. Questo per noi giapponesi e un po’ spaventoso. Abbiamo potuto visitare Roma, Città del Vaticano, Venezia e Milano: e tutti non facevano altro che ripetere: «Mille anni fa, duemila anni fa!». Gli studenti erano veramente colpiti dal fatto che vi fossero ancora così tante testimonianze di quelle epoche passate, ancora li, davanti ai loro occhi. E non posso dire di non aver provato anch’io una certa emozione. Anche in Giappone vi sono paesi dalla lunga storia, come Kyoto, ove qualcosa del passato e rimasto; ma sono due cose totalmente diverse, in ogni senso. Comunque sono veramente contento di questo viaggio, perché anche se visito moltissimi paesi, dentro e fuori il Giappone, normalmente non faccio queste gite, non riesco a trovare il tempo di guardarmi un po’ intorno. Questa e’ forse la prima volta che interpreto così a lungo il ruolo del turista.
CHIERCHINI
Rimaniamo in Italia: una sua impressione sull’allenamento da lei diretto nel nostro paese: ritiene che quello che ha voluto comunicare agli allievi dell’Aikikai d’ltalia riuniti a Milano sia sta­to compreso?
MASUDA
E’ la cosa più normale per un allievo acquisire un tipo di movimento similare a quello del proprio maestro, anche se e’ un altro discorso se divengano bravi o meno. Se un praticante non diventa simile al proprio Sensei, la cosa e’ molto brutta, assolutamente negativa. Ma non e’ di questo che qui volevo trattare. Du­rante i miei stages, sia in Giappone che all’estero, di solito non decido mai in anticipo un programma delle tecniche da svolgere, lasciando aperto il campo delle possibilità. Qui in Italia ho visto dei gruppi che si muovono seguendo lo stile del Maestro Tada, altri del M°Hosokawa, altri ancora del M°Fujimoto; mentre stavo praticando, non pensavo che gli allievi mi avrebbero accettato così velocemente. Come ho detto prima, non avevo programmato nulla, ma vedevo che tutti accettavano e capivano rapidamente. Quindi mi sono detto: se gli studenti ricevono così velocemente, io do ancora più velocemente. Perciò forse in questo Raduno ho dato troppo, ma sentivo che gli allievi volevano mangiare, che avevano fame e sete di Aikido. Solitamente non e’ così; quando una persona e’ abituata ad un certo maestro, una volta che si trova di fronte ad un al­tro, l’approccio diviene molto difficile, e non e’ semplice per quel maestro proporre nuovi insegnamenti: magari possono non essere accettati, perché gli al­lievi pensano: «Il mio Maestro non fa cosi!».
Questo in Italia non si e’ assoluta­mente verificato ed io ne sono stato felice.
Altre note tecniche? C’e’ un’altra cosa che mi ha colpito, e anche un po’ spaventato: i praticanti italiani piegano tutti molto bene le gi­nocchia, ossia lavorano con l’anca bas­sa. Come in tutto il resto del mondo, oggi anche in Giappone si e’ quasi abbandonato il sistema tradizionale di sedere, quindi le ginocchia sono meno flessibili di un tempo. Invece gli allievi dell’Aikikai d’ltalia che ho visto in que­sto stage piegavano tutti assai bene le ginocchia. Questo fa ritenere che il fu­turo del vostro Aikido sarà molto interessante. In Giappone, quando si studia alle scuole elementari, si usa il compasso con le due braccia rigide, più facile da utilizzare per i principianti perche si piega poco. Poi, più avanti, quando si diviene esperti, ci si serve di un compasso dotato di un braccio con snodi, che si piega molto, molto di più, ed e molto più difficile da usare. Lavorare con le ginocchia basse e una cosa fondamentale.
CHIERCHINI
Quando tornerà, Sensei?
MASUDA
Sono un sottoposto, e quindi dovrà decidere il mio superiore, il Doshu. Non posso dire, quindi, quando tornerò, ma certamente non dico che non riverrò più: sono troppo curioso di rivedervi in un prossimo futuro.
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